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La cancrena razzista che corrode la democrazia

Non si conoscono ancora i retroscena della strage di Firenze. Già leggiamo che l’assassino, autore di scritti su Romualdi e sul folklore nordico, nonché vicino a Casa Pound, era solo e depresso (così come sarebbe squilibrato l’autore della strage in Svezia…). Giureremmo che, nel giro di pochi giorni, l’episodio verrà derubricato ad atto isolato di follia, analogo alle uccisioni di massa nei campus americani. Ma sta di fatto che sui siti di estrema destra dilagano le commemorazioni e i consueti slogan su onore e rispetto per l'”eroe”.
È questo che ora fa paura. Uno fondo di odio per gli stranieri, volta per volta trucemente razzista o genericamente xenofobo, di cui tendiamo a dimenticarci o che viene minimizzato, ma che si è radicato in Europa e naturalmente anche in Italia. Ora, Casa Pound prenderà le distanze, così come, nei giornali di destra, gli intellettuali fascisti riciclati diranno che un atto individuale non ha nulla a che fare con la nobile cultura della destra urbanizzata. Anzi, collegare il neofascismo allo sparatore verrà considerato la solita infame manovra dei comunisti.
E poi, nel giro di qualche giorno, tutto sarà dimenticato, come gli innumerevoli episodi di razzismo che punteggiano gli ultimi vent’anni di storia del bel paese.
Ma non dimentichiamo che pochi giorni fa un campo Rom, o meglio una povera distesa di baracche, è stata bruciata a Torino per ritorsione di uno stupro che non è mai avvenuto. E solo il caso ha voluto che nessuno, magari un bambino, ci lasciasse la pelle. Ci siamo dimenticati dei sette lavoratori africani uccisi nel casertano e dei fatti di Rosarno? Ma la storia del razzismo italiano è ancora da scrivere, non solo nei delitti e nei ferimenti, ma nei dettagli della vita quotidiana di milioni di persone vessate nei Cie, angariate da una legislazione punitiva e ottusa, sottoposte al disprezzo e alla disinformazione. Prive di diritti e di riconoscimento, oggettivamente confinate nell’economia più oscura delle fabbrichette, dell’edilizia in subappalto, dell’agricoltura stagionale e semischiavistica. E per di più odiate.
Certo, nulla collega, all’apparenza, la gentaglia che ha assaltato i Rom di Torino, all’esaltato di Firenze. Ma solo all’apparenza. Perché in comune entrambi hanno la facilità con cui la frustrazione o qualsiasi altra passione triste si scarica sull’altro a portata di mano, e soprattutto su quello che vive peggio, lo homeless preso a calci da qualche ragazzino, lo straniero che campa come ambulante, il Rom che fa da paralfulmine a tutte le paranoie di una società impoverita, incattivita e disorientata. Come mai è stato così “naturale”, così “spontaneo” cha la sedicenne torinese abbia accusato di stupro proprio i Rom?
In Italia, manca una vera consapevolezza del guasto che vent’anni di campagne contro gli immigrati hanno provocato nella società. Tutti continuano a lavarsene le mani, oppure a fare mea culpa di maniera, come il quotidiano “La stampa”, che prima pubblica la bufala dei Rom stupratori e poi si pente e chiede scusa ai lettori (ma non ai rom)
Torino non è una città razzista, ha proclamato immediatamente il solito assessore dopo il rogo delle baracche Rom. “Italia razzista!”, gridavano ieri i senegalesi a Firenze. Dov’è la verità, caro assessore? E che cosa stiamo facendo noi perché tutto questo cambi, perché ragazzine sventate e militanti di destra imbottititi di cattive letture non colpiscano più nel mucchio gli stranieri?
Qui il discorso non può che riguardare il razzismo istituzionale, politico e mediale che nutre il senso comune diffuso, che dà forma e legittimità alle chiacchiere da bar, ai pregiudizi, agli slogan ebeti che leggiamo sui muri o ascoltiamo negli stadi. È quel razzismo, magari nutrito di dotte considerazioni politologiche o sociologiche sull’insicurezza urbana o la “bomba” immigrazione, il problema che una società civile deve affrontare, e prima di tutti la sinistra, che dell’anti-razzismo, a ogni livello, dovrebbe fare la propria bandiera.

Alessandro Dal Lago