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La Cedu censura l’Italia: i Cpr sono luoghi di tortura

La Corte europea dei diritti umani ha censurato il governo italiano per il trattenimento presso un Centro di permanenza per i rimpatri di Camelia, una donna con evidenti problemi di salute mentale, ordinandone il trasferimento in un luogo idoneo alla cura. Questa decisione mette in luce una realtà sconcertante all’interno dei Cpr in Italia, in particolare quello di Roma Ponte Galeria.

di Damiano Aliprandi da il dubbio

La storia di Camelia, la donna al centro di questa sentenza, non è un caso isolato ma la punta di un iceberg di violazioni sistematiche dei diritti umani e della dignità delle persone trattenute. Un’ispezione condotta il 18 giugno 2024 dalla deputata Rachele Scarpa, accompagnata dall’etnopsichiatra Monica Serrano e dall’avvocata Federica Borlizzi, ha rivelato condizioni di detenzione che sfiorano la tortura nel Cpr di Ponte Galeria. La struttura, gestita dalla multinazionale Ors in proroga, ospitava al momento della visita 79 persone, di cui 4 donne, in spazi progettati per 104. Le condizioni di vita nel centro sono risultate al di sotto di ogni standard umano accettabile. Nelle celle della sezione maschile, spazi di appena 25 mq accolgono fino a 8 persone, costrette a dormire su materassi logori posati direttamente sul pavimento. I servizi igienici versano in uno stato di degrado totale, privi persino di porte per le docce, con evidenti segni di allagamento e sporcizia diffusa. La delegazione ha riscontrato gravi violazioni degli standard minimi richiesti dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e dal Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa. L’assenza di luce naturale, la mancanza di armadietti chiudibili per gli effetti personali e l’assenza di sistemi di allarme funzionanti nelle stanze sono solo alcune delle criticità emerse. Particolarmente allarmante è la situazione sanitaria all’interno del centro. L’ispezione ha portato alla luce un uso massiccio e indiscriminato di psicofarmaci, somministrati senza un’adeguata supervisione psichiatrica. In soli 17 giorni di giugno, sono state acquistate 92 confezioni di psicofarmaci per una popolazione di circa 80 detenuti, sollevando seri dubbi sull’uso di questi farmaci come strumento di controllo piuttosto che di cura.

Le cartelle cliniche esaminate hanno rivelato casi scioccanti. A.A.B.A., un detenuto, ha tentato il suicidio due volte in due giorni, con il primo tentativo incredibilmente considerato “non realistico” dal medico del centro. Un altro caso critico è quello di A.A., un uomo con un proiettile conficcato nel cranio e una storia di tossicodipendenza, ritenuto erroneamente idoneo alla detenzione nel Cpr. Il registro degli eventi critici, tenuto in modo approssimativo su un semplice quaderno, ha rivelato 60 eventi critici in soli due mesi, tra cui tentativi di suicidio, atti di autolesionismo e violenze. Questi numeri allarmanti testimoniano un ambiente di detenzione altamente stressante e potenzialmente letale.

La situazione di Camelia, la donna al centro della censura da parte della Cedu, detenuta in isolamento in condizioni che ricordano pratiche manicomiali, è emblematica della gravità della situazione. Nonostante la sua evidente incapacità di intendere e volere, Camelia è stata trattenuta per nove mesi in condizioni disumane, evidenziando gravi mancanze da parte delle istituzioni competenti. L’ispezione ha anche rivelato la presenza nel centro di persone particolarmente vulnerabili, come M. G., un neo- maggiorenne egiziano completamente disorientato e impossibilitato a contattare i familiari, e una giovane donna sudamericana con chiari indicatori di essere vittima di tratta.

La decisione della Corte europea dei diritti umani nel caso di Camelia non solo censura il governo italiano, ma mette nuovamente in luce un problema sistemico nei Cpr. I promotori del ricorso alla Cedu sottolineano che in questi centri la violazione dei diritti umani è la norma, non l’eccezione. L’uso massiccio di psicofarmaci, il mancato accesso al diritto alla salute, la gestione dei servizi di cura affidata a privati, la normalizzazione della violenza e dell’abbandono sono problematiche diffuse e radicate. L’onorevole Scarpa ha dichiarato: “Il trasferimento di Camelia rappresenta un precedente importante che fa ben sperare sulla concreta possibilità di aiutare degli esseri umani ad uscire dall’inferno dei Cpr, vere e proprie carceri in cui si entra senza colpe e non si sa quando, e se, si uscirà”.

Tutto ciò mette in luce come i Cpr, concepiti come centri di permanenza temporanea, si siano trasformati in vere e proprie “discariche sociali” per emarginati e indesiderati, dove i diritti umani fondamentali vengono sistematicamente calpestati. Da qui la richiesta di un urgente cambio radicale del sistema di accoglienza e un superamento del sistema detentivo nei Cpr, per evitare che l’Italia rimanga in un abisso dove i diritti umani non vengono riconosciuti e tutelati per tutti. La decisione della Corte europea dei diritti umani suona come un campanello d’allarme per le istituzioni italiane. Per questo le associazioni che si occupano dei diritti umani chiedono di ripensare l’approccio alla gestione dei migranti e richiedenti asilo, ponendo al centro la dignità umana e il rispetto dei diritti fondamentali. Solo così l’Italia potrà uscire da questa spirale di violazioni e dimostrare di essere un Paese che rispetta veramente i valori democratici e umanitari su cui si fonda l’Unione europea.

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