La strage neo-nazista alla Casa dei sindacati a Odessa. La sentenza della Corte europea dei Diritti umani condanna l’Ucraina per le gravi negligenze della polizia, i ritardi dei soccorsi e il modo in cui sono state insabbiate le indagini.
A quasi 11 anni dai tragici fatti di Odessa – almeno 42 vittime nell’assalto di frange organizzate dell’ultradestra ucraina ai manifestanti “antiMaidan” rifugiatisi nell’edificio della Casa dei Sindacati – una sentenza della Corte europea dei Diritti umani (Cedu) ha condannato l’Ucraina per l’inazione e le gravi negligenze della polizia con la conseguente mancata protezione del «diritto alla vita» delle persone coinvolte, per i gravi ritardi dei soccorsi e per il modo in cui sono state sostanzialmente insabbiate tutte le indagini avviate in seguito sulla strage.
La causa, nota come «Vyacheslavova e altri contro Ucraina», era stata intentata da familiari delle vittime e sopravvisuti di quel drammatico 2 maggio 2014, quando i militanti dell’organizzazione neo-nazista Pravyj Sektor, uniti con gli ultras delle squadre di calcio Cornomorec’ Odessa e Metalist Kharkiv nelle file dei “pro-Maidan”, assaltarono e incendiarono l’edificio in cui avevano cercato rifugio i manifestanti della parte opposta. Le vittime sono morte bruciate o cercando di sfuggire alle fiamme gettandosi dalle finestre e dal tetto. Il più giovane era un ragazzo di 17 anni, membro della Gioventù comunista ucraina.
Nella primavera del 2014, gli oppositori del colpo di Stato di Maidan, a Kiev, allestirono un accampamento di tende a Odessa, nella piazza vicino alla Casa dei sindacati. Il 2 maggio molti tifosi di Kharkov arrivarono in città per la partita di calcio tra Chornomorets e Kharkiv Metalist. Insieme ai sostenitori locali del colpo di Stato di Maidan, decisero di organizzare una “Marcia per l’unità ucraina” nel centro della città, tuttavia presto cominciarono gli scontri tra i due gruppi opposti, durante i quali vennero uccisi 2 manifestanti del “Maidan” e 4 manifestanti “anti-Maidan”. In seguito, i sostenitori dell’Euromaidan attaccarono la tendopoli di Campo Kulikovo e la distrussero. I manifestanti “anti-Maidan” presenti lì, si rifugiarono nella Casa dei Sindacati. L’edificio dove si trovavano decine di persone venne incendiato lanciando contro di esso delle molotov, e secondo i dati ufficiali, 34 persone morirono per ustioni e soffocamento, mentre altre 8 dopo essersi lanciate dalle finestre.
Tali dati però potrebbero anche essere stati sottostimati. I parenti delle vittime presentarono diverse denunce alla Corte europea per i diritti dell’uomo, accusando le autorità ucraine di inerzia. In relazione ai fatti del 2 maggio 2014, la sentenza della Corte ha stabilito il sussistere di: «violazione dell’articolo 2 (diritto alla vita) della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo, a causa dell’incapacità delle autorità competenti di fare tutto ciò che ci si poteva ragionevolmente aspettare da loro per prevenire la violenza di Odessa del 2 maggio 2014, per porre fine a tale violenza dopo il suo scoppio, per garantire tempestive misure di salvataggio per le persone intrappolate nell’incendio e per avviare e condurre un’indagine efficace sugli eventi; e una violazione dell’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) nei confronti di una ricorrente (ricorso n. 39553/16) in merito al ritardo nella consegna del corpo del padre per la sepoltura». Infine la sentenza ha condannato l’Ucraina per «negligenza dello Stato negli scontri tra sostenitori e oppositori di Maidan».
Inoltre: «La Corte europea per i diritti dell’uomo ha concluso che la polizia di Odessa “non ha fatto praticamente nulla” per prevenire l’attacco ai manifestanti, ha ignorato numerosi dati operativi sulla preparazione delle rivolte, “l’invio dei camion dei pompieri sulla scena dell’incendio è stato deliberatamente ritardato di 40 minuti e la polizia non è intervenuta per aiutare a evacuare le persone” dalla Casa del sindacato. Le autorità locali, con il pretesto di “ripulire”, hanno deliberatamente distrutto le prove sul luogo della tragedia».
Ai ricorrenti la Corte di Straburgo ha dato praticamente ragione su tutto, compreso l’inspiegabile ritardo (si parla di mesi) nella restituzione di una delle salme. Ai fini del risarcimento dovuto vengono considerate anche le problematiche mentali sofferte dai ricorrenti per la condotta delle autorità ucraine.
Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi sostenerci donando il tuo 5×1000
News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp