La criminalizzazione della solidarietà. Il dossier di Transnational Institute
- ottobre 12, 2018
- in migranti, Rete Dissenso
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La solidarietà verso i migranti e i rifugiati occupa uno spazio sempre più ristretto
La “crisi dei rifugiati” europea (come viene definita da molti osservatori, tralasciando il fatto che si tratta in realtà di una Crisi dell’Europa come progetto politico), simbolizzata dall’immagine di Alan Kurdi, il bambino siriano di tre annitrascinato dal mare sulle spiagge turche, ha innescato un’ondata di solidarietà e azioni di disobbedienza civile sia da parte delle organizzazioni della società civile che da parte dei normali cittadini. Tutti questi sforzi facevano parte di un’ondata di compassione che ha visto l’organizzazione di convogli per recarsi nei centri di accoglienza per rifugiati, calorosi benvenuti presso stazioni ferroviarie tedesche e file in strada per offrire cibo e acqua a chi percorreva l’arduo cammino partendo da zone devastate dalla guerra in Siria e in altre parti del mondo.
Mentre una minoranza degli Stati membri dell’UE dava il benvenuto ai rifugiati, la maggioranza aveva voltato le spalle ai propri obblighi internazionali. Mentre i politici dell’Europa si defilavano dai loro doveri umanitari, i suoi cittadini dimostravano quella compassione, quella solidarietà, quell’impegno nei confronti della giustizia e dei diritti umani tanto radicati nella tradizione europea.
Durante il suo primo discorso sullo Stato dell’Unione, il presidente della Commissione europea Juncker aveva addirittura elogiato i volontari come esempio del tipo di “Europa in cui voglio vivere”. Sono trascorsi solo pochi anni e lo stato dell’Unione è ben diverso, con Juncker che rimane in silenzio mentre quegli stessi attivisti vengono trattati da criminali, invece che da eroi.
Le ricerche condotte da TNI e dall’Institute of Race Relations evidenziano come il modello di intimidazione e repressione sistematiche si sia ora esteso in tutto il territorio dell’Unione europea.
Incoraggiata da leggi europee con ampio raggio di applicazione che criminalizzano il ‘favoreggiamento’ all’ingresso e al soggiorno clandestino, la discrezionalità dell’azione legale è stata ampiamente abusata al fine di ridimensionare le attività legittime delle organizzazioni umanitarie e impaurire chi si occupa di assistenza civile per migranti e rifugiati. Analogamente, è stata proprio la pressione dell’Unione europea sull’Italia a mettere la parola fine, nell’ottobre del 2014, a una delle missioni umanitarie italiane più riuscite. L’operazione di ricerca e soccorso ‘Mare Nostrum’ era riuscita in appena un anno a portare in salvo 130.000 rifugiati sulle spiagge d’Europa. La decisione di terminare l’operazione, allo scopo di ‘scoraggiare’ i futuri rifugiati, creò invece un vuoto a cui le organizzazioni umanitarie cercarono di porre rimedio.
Ciò che sta accadendo alle ONG, ai movimenti sociali e agli attivisti è anche direttamente correlato alla politica europea di “esternalizzazione” dei controlli sull’immigrazione, la cui tendenza è passare il ‘fardello rifugiati’ dall’Europa meridionale alla Turchia e all’Africa settentrionale, dove i finanziamenti dell’Unione europea si riversano nelle mani di milizie e forze di sicurezza a cui è stato affidato il compito di prevenire le partenze dei rifugiati dalla Libia. Bloccare le ONG operative lungo le coste libiche è un modo per garantire che non ci siano testimoni che possano osservare in che modo la ‘guardia costiera’ libica tratta i migranti.
A questo scopo, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (ECBG, precedentemente nota come Frontex) ha screditato il nome delle barche di ‘ricerca e soccorso’ delle ONG insinuando che fossero colluse con i trafficanti, nonostante che un’inchiesta della Commissione del Senato italiano nell’aprile 2017 non abbia trovato riscontro su tali collegamenti. Queste calunnie hanno preceduto un attacco più esteso alle stesse ONG attive nel Mediterraneo da parte di un’alleanza scellerata formata da agenzie dello stato, fascisti e attivisti di estrema destra.
Queste storie inventate sulle ONG e sulla tratta di persone sono state colte al volo da populisti e fascisti; basti pensare alla nave ‘Defend Europe’, finanziata presumibilmente mediante crowdfunding e salpata nel luglio del 2017 allo scopo di interrompere attivamente le operazioni umanitarie delle ONG. In seguito a una serie di intoppi imbarazzanti, tra cui la richiesta di assistenza a una nave di soccorso di rifugiati per la risoluzione di problemi meccanici, la missione fu abbandonata soprattutto a causa degli interventi degli antifascisti. Ciò nonostante, la missione venne considerata ‘compiuta’, sostenendo che il governo italiano e libico avevano risolto la questione al posto loro: “Solo due mesi fa, diverse ONG navigavano davanti alle coste libiche come taxi in cerca di clienti. Oggi, ne è rimasta solo una.”
I gruppi fascisti e razzisti sono stati inondati di denaro e supporto materiale, una situazione che ha contribuito all’aumento degli attacchi alle ONG e ai movimenti sociali italiani e che riportano alla mente le accuse e la demonizzazione subite da George Soros in Ungheria.
Questa relazione analizza il modo in cui la politica dell’Unione europea ha influito sulla situazione in Italia e altrove e offre uno sguardo sui metodi usati dai cittadini e dai movimenti per organizzarsi, resistere e affrontare le politiche xenofobe e di sicurezza promosse dall’Unione europea e dai suoi Stati membri.