Al di fuori del carcere di Rebibbia una donna romena aspetta il marito che uscirà dal carcere dopo 6 mesi di detenzione. È giovane, ha 21 anni e aspetta un bambino: i nostri vent’anni non sono paragonabili ai suoi, lei ha già visto tanto nella vita e si può ben leggere nei suoi occhi che ha già abbandonato la speranza nel futuro. Questo è stato il primo impatto con il carcere.
L’8 marzo, in occasione della Giornata Internazionale della Donna, si è svolta, presso il Teatro del carcere di Rebibbia Feminile, l’iniziativa, promossa dalla Federazione della Sinistra e dal Collettivo StregheperSempre, “Libere Dentro”. Il breve concerto di musica popolare di Enrico Capuano è stato preceduto dalle pregevoli performance teatrali delle attrici Betta Cianchini e Francesca Tomassoni, intervallati dai brani, rielaborati dall’associazione “Il Ponte Magico”, tratti da testi scritti da detenuti.
Le arti, la musica e il teatro, hanno permesso che si instaurasse una sintonia, una solidarietà difficilmente esprimibile con le parole. Uno sguardo diverso è stato gettato sul concetto di dignità dell’essere umano, e in modo specifico della donna che anche nel carcere vive una specifica condizione.
La situazione in questo carcere non è differente dalla situazione italiana generale. Il sovraffollamento è misurato in +36%; alcune detenute madri tengono con loro reclusi i loro bambini, i quali compiuti i tre anni dovranno subire anche il trauma della separazione e del distacco. Le poche ore trascorse in carcere non ci hanno consentito di esplorare le reali condizioni di vita di queste donne: più che una visita quello di ieri è stato un viaggio all’interno del concetto di umanità.
All’entrata delle detenute nella sala del teatro l’impatto è stato forte. Subito abbiamo potuto constatare un dato: la presenza di una percentuale elevatissima di donne migranti. I reati che in media commettono queste donne sono legati alla grande condizione di disagio economico che hanno vissuto, in un mondo che le ha fatte nascere nella povertà, che le ha costrette alla fuga, il destino non ha riservato loro un futuro migliore.
Grande è stata la partecipazione e il coinvolgimento delle donne allo spettacolo, i commenti ironici, sullo stile delle esibizioni, hanno comunque rimarcato ancora una volta che la condizione di detenute è, e rimane, differente da quella di chiunque altro viva in libertà. All’invito da parte di Enrico Capuano a muoversi sulle note di una pizzica alcune donne hanno risposto: “ci vergogniamo a ballare ma non a fare reati”.
La consapevolezza della loro condizione di detenute, a dispetto degli attimi di libertà che vivevano, non le ha abbandonate mai. E’ in questi momenti, tuttavia, che si capisce quanto elevato sia il valore dell’essere umano: è nel suo relazionarsi con gli altri che esso, in primo luogo, si realizza.
Al termine di questa lunga e bellissima mattinata si respirava un’aria diversa in questo teatro austero e disadorno: tutte insieme, per un giorno, siamo riuscite ad “evadere” dalla martellante realtà quotidiana. Anche chi è considerato incivile e disumano dispone di un gamma infinita di possibilità di essere: la sfida sta quindi nel creare quelle condizioni sociali, economiche e culturali indispensabili affinché la vita di ciascuno di noi sia compatibile con la legalità.
Beatrice Taraborelli – FGCI Lazio
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Enrico Capuano dentro un carcere e persino femminile. la cosa mi sconcerta per quanto è ipocrita, non l’iniziativa ma la presenza di quel cantante che io conosco bene per essere stata denunciata ai carabinieri da lui e per averlo conosciuto sia come uomo che come mio capo al lavoro…l’ipocrisia non ha mai fine purtroppo.