“Il tempo e le condizioni del mare non sono buone e i naufraghi sono ancora sotto shock, dopo essere stati soccorsi al largo della Libia e aver passato la notte con il mare in tempesta”, racconta Lucia Gennari, avvocata dell’Asgi imbarcata a bordo della nave Mare Jonio, l’imbarcazione che batte bandiera italiana ed è in rada davanti all’isola di Lampedusa, a cinquecento metri dalla Cala dei francesi, con 49 persone a bordo, tra cui dodici minori. L’imbarcazione, gestita dall’organizzazione italiana Mediterranea Saving Humans, chiede di attraccare nel porto dell’isola, dopo aver soccorso i naufraghi il 18 marzo in un’operazione di salvataggio avvenuta a 42 miglia dalle coste libiche. La nave ha trovato un gommone in avaria, su indicazione dell’aereo Moonbird, e ha informato sia la guardia costiera libica sia la guardia costiera italiana che avrebbe provveduto al soccorso.
“Siamo arrivati a soccorrere i naufraghi che erano in difficoltà, i libici non erano sul posto, sono arrivati successivamente”, afferma Gennari, 32 anni, originaria di Mestre. “Poi ci siamo diretti verso nord perché la situazione atmosferica era pessima. Al momento la situazione a bordo è tranquilla, abbiamo viveri per qualche giorno, ma gli spazi sono ristretti, la nave è lunga 32 metri e le persone nella notte sono state male a causa delle cattive condizioni atmosferiche”, racconta la ragazza, che fa parte del gruppo di legali che seguono Mediterranea Saving Humans a partire dalla sua fondazione nell’autunno del 2018.
La nave batte bandiera italiana e quindi a differenza di altre imbarcazioni non gli può essere impedito di attraccare in porto. Tuttavia il ministro dell’interno Matteo Salvini ha già detto che la nave non potrà arrivare in un porto italiano e nella notte tra il 18 e il 19 marzo ha diffuso una circolare diretta alle autorità portuali, ai carabinieri, alla polizia, alla guardia di finanza e alla marina militare che invita a impedire l’ingresso nelle acque e nei porti italiani alle navi private che abbiano operato attività di ricerca e salvataggio nelle acque internazionali.
Secondo la circolare, i salvataggi che avvengono in acque internazionali che non sono coordinate dall’Italia, non possono concludersi nel paese. La circolare crea un’ambiguità sul significato di zona di ricerca e soccorso libica. Da una parte infatti le autorità internazionali hanno riconosciuto alla Libia la capacità di compiere soccorsi nelle acque internazionali, d’altro canto però la Libia non può essere considerato un posto sicuro in cui riportare le persone soccorse. Dopo la diffusione della circolare, a bordo della Mare Jonio sono saliti degli agenti della guardia di finanza. “Alle 8 di mattina a bordo è salita la guardia di finanza che sta raccogliendo informazioni sul salvataggio”, racconta Lucia Gennari. La procura di Agrigento ha aperto un fascicolo di indagine sul caso.
Linea dura
Il ministro dell’interno ha accusato i soccorritori di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina: “Possono essere curati, vestiti, gli si danno tutti i generi di conforto, ma in Italia per quello che mi riguarda e con il mio permesso non mettono piede. È chiaro ed evidente che c’è un’organizzazione che gestisce, aiuta, e supporta il traffico di essere umani. O c’è l’autorità giudiziaria, che ovviamente prescinde da me che riterrà che questo non sia stato un soccorso e decide di intervenire legalmente, oppure il ministero dell’interno, che deve indicare il porto di approdo, non indica nessun porto”.
Secondo Salvini, la nave “ha raccolto questi immigrati in acque libiche, in cui stava intervenendo una motovedetta libica. Non hanno ubbidito a nessuna indicazione, hanno autonomamente deciso di dirigersi verso l’Italia per motivi evidentemente ed esclusivamente politici. Non hanno osservato le indicazioni delle autorità e se ne sono fregati dell’alt della guardia di finanza”. Il ministro su Twitter ha poi attaccato uno dei soccorritori della nave, Luca Casarini, ex leader dei movimenti del nordest attivi durante il G8 di Genova nel 2001. Per Lucia Gennari il governo deve dare l’autorizzazione all’attracco il prima possibile: “La direttiva Salvini è solo un’indicazione politica del ministero dell’interno, per applicarla le autorità portuali dovrebbero pubblicare un decreto di attuazione che sarebbe impugnabile perché viola diverse norme internazionali”.
Alessandro Metz, armatore della Mare Jonio, ha risposto alle accuse dicendo: “La direttiva è subordinata alle leggi e alle convenzioni internazionali, quindi o il governo decide di ritirare la propria firma da quelle convenzioni, trovandosi in una condizione di isolamento e rinnegando quella cultura giuridica che l’Italia rappresenta, essendo un popolo di naviganti”. Per Metz il governo deve indicare subito “un porto sicuro” di sbarco.
Molti esperti hanno commentato la circolare diffusa dal ministero dell’interno sulla chiusura dei porti alle navi private che soccorrono persone in mare. Mario Morcone, ex capo di gabinetto del Viminale e direttore del Consiglio italiano per i rifugiati (Cir), si è detto estremamente preoccupato dalla direttiva Salvini: “È una circolare che esercita un astratto e un po’ ipocrita formalismo nell’analisi delle norme. Accetta il presupposto che i porti libici possano essere considerati sicuri e che l’attracco presso i porti tunisini e maltesi sia possibile. È una direttiva che non prende in alcuna considerazione il drammatico contesto reale”.
Anche Luigi Manconi e Valentina Calderone, presidente e direttrice di A buon diritto, hanno commentato: “Non esiste alcun provvedimento del consiglio dei ministri che abbia approvato una simile misura, illegale sotto il profilo normativo e costituzionale. Dunque i porti italiani erano e restano aperti, tanto più se a chiedere l’approdo è una nave italiana, battente bandiera italiana con equipaggio interamente italiano. E con 49 profughi soccorsi in mare in una zona più vicina alle coste italiane che ad altre coste (quelle di Malta, per esempio). Ovviamente, consegnare quelle persone alla guardia costiera libica e, di conseguenza, ai centri di detenzione di quel paese, avrebbe costituito una grave violazione del diritto internazionale”.
Per il giurista Fulvio Vassallo Paleologo della clinica dei diritti di Palermo, esperto di diritto del mare, “la direttiva tradisce puntualmente tutte le convenzioni internazionali, citate solo per le parti che si ritengono utili alla linea di chiusura dei porti adottata dal governo italiano, ma che non menziona neppure il divieto di respingimento affermato dall’articolo 33 della Convenzione di Ginevra, norma destinata a salvaguardare il diritto alla vita e alla integrità fisica delle persone. Questa omissione si traduce in una ennesima violazione del diritto interno e internazionale. Gravi le conseguenze per quelle autorità militari che dovessero dare corso a un provvedimento ministeriale manifestamente in contrasto con le Convenzioni internazionali e con il diritto dei rifugiati. Secondo l’Unhcr il diritto dei rifugiati va richiamato con funzione prevalente rispetto alle norme di diritto internazionale del mare e alle norme contro l’immigrazione irregolare”.
Infine per Vincent Cochetel, inviato speciale dell’Unhcr per il Mediterraneo centrale, “la legge del mare è molto chiara, la Libia non è un place of safety, un posto che può essere considerato sicuro. L’Italia e gli altri paesi del Mediterraneo sono sicuri”.
Intanto al largo di Sabratha, in Libia, c’è stato un nuovo naufragio: a darne notizia è l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). Secondo Flavio Di Giacomo, portavoce dell’Oim in Italia, ci sono stati solo quindici sopravvissuti, ma i morti potrebbero essere decine. Secondo Di Giacomo dall’inizio del 2019 “oltre 1.280 persone sono partite dalle coste del Nordafrica verso l’Europa” e i morti sono stati almeno 154. “Un aumento esponenziale dei morti rispetto ai migranti sbarcati”, afferma Di Giacomo.
Annalisa Camilli
da Internazionale
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Esperti contro la direttiva Salvini: «Solo propaganda politica, non ha valore»
Più che un atto giuridico un manifesto politico. Il giudizio che gli esperti danno della direttiva firmata la scorsa notte dal ministro degli Interni Matteo Salvini per impedire l’approdo nei porti italiani delle navi con i migranti, non potrebbe essere più netto. «Si dà una lettura parziale della normativa internazionale e per di più di difficile se non impossibile applicazione», spiega ad esempio l’avvocato Salvatore Fachile dell’Asgi, l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione.
Una circolare con la quale il Viminale sembra per lo più voler esercitare una pressione su chi, poi, sul territorio dovrà assumersi la responsabilità di gestire emergenze come quella in corso attualmente a Lampedusa con la nave Mare Jonio. «Si sta riproponendo una situazione analoga a quando il ministro inviò una circolare alle commissioni territoriali chiedendo maggiore severità nel riconoscere la protezione umanitaria pur non avendo alcun potere per farlo. Per di più per quanto riguarda la Mare Jonio va detto che la direttiva è arrivata a tempo scaduto, quando la nave si trovava già in acque territoriali italiane», prosegue Fachile.
Nel mirino del ministro leghista ci sono le navi private, soprattutto straniere, che come successo in passato hanno svolto operazioni di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo «Si è riscontrato – è spiegato nella direttiva – che la nave soccorritrice nonostante avesse effettuato il soccorso in acque non di responsabilità italiane e l’evento non fosse stato coordinato dalle Autorità italiane, abbia richiesto un place of safety a quest’ultime». Un comportamento ritenuto non corretto dal Viminale, per il quale le coste italiane non risultano «essere gli unici, possibili luoghi di approdo in caso di eventi di soccorso, considerato che sia i porti libici, tunisini e maltesi possono offrire adeguata assistenza logistica e sanitaria, essendo peraltro più vicini in termini di miglia marine, laddove la sicurezza della navigazione imporrebbe – in linea di principio – la ricerca di un luogo di sbarco prossimo alle coordinate marine d’intervento».
Il ragionamento del Viminale si gioca tutto sul riconoscimento dell’ area Sar (ricerca e salvataggio) della Libia e quindi il diritto-dovere di Tripoli di intervenire nelle operazioni di salvataggio assumendone il coordinamemto e riportando i migranti indietro. Cosa contestata a livello internazionale visto che sia l’Onu che la stessa Unione europea hanno più volte negato che la Libia possa essere considerato un porto sicuro per i migranti. Concetto ribadito anche ieri dall’inviato speciale dell’Unhcr, Vincent Cochetel: «L’italia di Salvini stabilisce la legge per le navi di salvataggio dei migranti. Ma la legge marittima è chiara. La Libia non è un luogo di sicurezza. L’Italia e altri Paesi del Mediterraneo sono luoghi di sicurezza», ha scritto Cochetel in un tweet.
Sulla stessa linea anche il prefetto Mario Morcone, che dopo aver trascorso anni occupandosi di immigrazione a capo del Dipartimento Libertà civili e immigrazione del Viminale oggi è direttore del Cir il Consiglio italiano per i rifugiati. Quella di Salvini «è una circolare che esercita un astratto e un po’ ipocrita formalismo nell’analisi delle norme», spiega Morcone. «Accetta il presupposto che i porti libici possano essere considerati sicuri e che l’attracco presso i porti tunisini e maltesi sia possibile. E’ una direttiva che non prende in alcuna considerazione il drammatico contesto reale».
Di «provvedimento anomalo, chiaramente illegittimo e viziato di abuso di potere» parla invece Vittorio Alessandro, contrammiraglio della Guardia costiera oggi in pensione, per il quale la direttiva Salvini viola la convenzione dell’Onu sui diritti del mare (Unclos) approvata a Montego Bay nel 1982 e ratificata dall’Italia nel 1994. Critiche, infine, anche da Magistratura democratica, per la quale la direttiva non può avere valore retroattivo e quindi non può essere applicata alla nave di Mediterranea. «Desta sorpresa e preoccupazione, dopo le indicazione dell’Onu e della Corte internazionale – spiega il presidente di Md Riccardo De Vito – vedere nella direttiva indicata la Libia come porto sicuro. Ci sono a bordo 49 persone che rischiano la vita o di essere sottoposte a torture o trattamenti disumani».
Carlo Lania
da il manifesto