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La doppia morale delle politiche di accoglienza di fronte alle guerre

Contro tutti coloro che di fatto negano i diritti di autodeterminazione e di mobilità delle persone, ma si schierano ipocritamente da una o dall’altra delle parti in guerra e praticano un finto umanitarismo, nella convinzione di potere trarre vantaggio, personale o di partito, dal loro schieramento. Perché questa guerra, che prosegue da anni su scala globale, basti pensare all’Iraq, all’Afghanistan ed alla Siria, per non parlare dell’Africa sub-sahariana e della Libia, e che adesso rischia di assumere una dimensione enorme nel cuore dell’Europa, sottoponendola ad un duro ricatto energetico, se non a imprevedibili rischi militari, mette a rischio i diritti umani e la democrazia, ovunque, non solo in Ucraina, ed è anche su questo terreno, da parte dei cittadini europei, che si dovrà combattere

di Fulvio Vassallo Paleologo

1. Di fronte ad un afflusso massiccio di profughi dalla guerra in Ucraina gli Stati europei sembrano aprire consistenti canali di ingresso legale e di accoglienza per le centinaia di migliaia di persone provenienti da città ormai diventate teatro di guerra, casa per casa. Come al solito una guerra giocata sulla pelle della popolazione civile, ormai prossima al disastro umanitario. Una guerra con tanti responsabili, vicini e lontani, frutto delle politiche di armamento dei blocchi, anche in Africa, del liberismo vincente su scala globale, e degli accordi commerciali associati a politiche di respingimento dei migranti con paesi che non rispettano i diritti umani. La logica del più forte caratterizza ormai da anni la politica internazionale, a partire dal conflitto palestinese, che oggi tutti sembrano rimuovere. La stessa logica ha caratterizzato gli accordi contro la mobilità dei migranti ed ha legittimato la costruzione di muri di frontiera sempre più alti.

L’Unione Europea sembra avviarsi a varare un piano effettivo di redistribuzione dei profughi ucraini tra i 27 paesi UE e si discute addirittura di rilanciare il Patto europeo sulle migrazioni, bloccato dal 2020 proprio per la ostinata resistenza dei paesi più orientali dell’Unione, da sempre contrari ad accettare le regole della redistribuzione ed una profonda revisione della normativa in materia di asilo e protezione sussidiaria, ed anche del Regolamento Dublino III, che adesso invece sembrano dare come scontata. La normativa europea prevede del resto norme specifiche per l’afflusso massiccio di profughi, norme che però non sono state completamente attuate neppure dopo le guerre nei Balcani negli anni 90 del secolo scorso. Come riferisce Huffington Post,La decisione ufficiale è attesa per giovedì 3 marzo, ma tra i Paesi membri dell’Unione europea c’è “un ampio sostegno all’applicazione della direttiva per la protezione temporanea degli sfollati” ucraini. Lo ha dichiarato la commissaria europea agli Affari interni, Ylva Johansson, al termine del Consiglio straordinario Affari interni sull’Ucraina”.

Non possiamo prevedere ancora quali saranno gli sviluppi militari sul campo, e la effettiva quantità di persone che saranno costrette a fuggire. Secondo quanto dichiarato oggi dall’UNHCR almeno 368.000 persone hanno raggiunto i confini di Polonia, Ungheria, Romania e Moldavia dall’Ucraina. Ci sembra però doveroso ricordare come questo paese abbia attivamente contribuito alla realizzazione di un muro anti-migranti ai tempi della crisi migratoria innescata lo scorso anno dalla Bielorussia, e come in questi giorni siano intrappolati in Ucraina migliaia di migranti provenienti da vari paesi del mondo, in particolare dall’Africa, ai quali non si stanno garantendo effettive possibilità di evacuazione, né sembra che siano tra coloro ai quali gli Stati europei riserveranno forme agevolate di ingresso ed accoglienza.

Come scrive Cornelia I. Toelgyes dell’agenzia Africa ExPress, “Il 20 per cento degli studenti stranieri in Ucraina provengono dall’Africa, da molte nazioni del continente. Una tradizione che risale alla decolonizzazione degli anni Sessanta, quando, dietro ordini della Russia, le autorità di Kiev esportavano grano, zucchero, olio vegetale, prodotti metallurgici e quant’altro, finanziando anche la formazione in medicina, ingegneria o in ambito militare“. Oggi questi ragazzi sono bloccati in Ucraina, tra gli altri alcune centinaia di tunisini, e non riescono ad avvalersi delle vie di fuga ancora esistenti per i cittadini di questo paese, rischiando di non potere ottenere uno status legale di soggiorno ed una qualsiasi assistenza nei paesi del’Unione Europea in cui dovessero arrivare. Sembrerebbe intanto che un centinaio di cittadini libici presenti in Ucraina siano stati evacuati, riuscemdo a raggiungere la Slovacchia, mentre altri rimangono bloccati nel resto del paese.

2. L’ingresso dei russi in Ucraina non può essere considerato un evento isolato, in realtà una guerra su scala globale prosegue da anni in nome del mercato e della concorrenza tra Stati, ma anche tra gruppi economici multinazionali. Non si può escludere una stretta correlazione di questo conflitto globale con gli accordi con governi che non rispettano i diritti umani, come gli accordi con la Libia, con l’Egitto, accordi di esternalizzazione su cui si basano, con il commercio di armi e di risorse energetiche, le politiche di controllo della mobilità delle persone migranti e dei richiedenti asilo. Accordi che hanno anticipato i muri di frontiera ai confini esterni dell’Unione Europea, dalla Bielorussia fino alla Turchia, e che nell’indifferenza generale hanno fatto migliaia di vittime su cui hanno spento tutti i riflettori. Accordi che hanno alzato persino “muri sull’acqua” come le prassi di respingimento collettivo delegato ai paesi terzi ed a Frontex (Agenzia dell’Unione Europea) ai confini dell’Egeo, e nel Mediterraneo centrale ed occidentale.

In Africa si è fatto di tutto per trovare intese con regimi autoritari che opprimono i propri cittadini, limitando la libertà di lasciare il proprio paese riconosciuta dalla Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo (art.13) approvata dalle Nazioni Unite nel 1948, regimi che di fatto permettono ai trafficanti di sfruttare i migranti in transito come una risorsa inesauribile di guadagno, assoggettando tutte le attività economiche, incluse le commesse militari ed i rifornimenti energetici, ad un diffuso sistema di corruzione. In Europa non si è mai creato un meccanismo di solidarietà sul fronte dell’accoglienza dei rifugiati e la priorità è stata sempre data alle politiche di ritorno (return) sulla base di accordi con i paesi terzi, anche quando queste si sono dimostrate del tutto inefficaci a contrastare l’immigrazione irregolare. Che si può battere solo aprendo canali legali di ingresso, sia per lavoro e ricongiungimento familiare, che per studio o protezione internazionale.

I responsabili sono sempre gli stessi, li conosciamo uno per uno, sono quei politici che hanno speculato sul populismo e sul nazionalismo, ieri persino in affari con Putin, e chi li ha chiamati a partecipare al governo. I complici sono tutti quei cittadini europei che con il loro consenso elettorale hanno legittimato un assetto di potere che nel tempo ha cancellato i diritti fondamentali ed i principi di solidarietà.
Se la pandemia ha messo in crisi il principio dell’assistenza sanitaria pubblica e gratuita per tutti, le conseguenze di una guerra , che si annuncia come permanente, ed il ritorno alla politica dei blocchi, restringeranno le possibilità di un lavoro equamente retribuito e la mobilità nella ricerca di una occupazione. In questo quadro che si va definendo giorno dopo giorno le ostilità nei confronti delle persone migranti e dei richiedenti asilo non potranno che aumentare. Per questa ragione occorre moltiplicare le reti sociali di protezione attorno agli immigrati, senza distinzione di nazionalità o di religione. Ma occorre intervenire anche sul fronte della lotta alle disuguaglianze e della riorganizzazione del mercato del lavoro. Altrimenti l’arrivo di nuovi immigrati, e persino degli sfollati di guerra, passata l’onda emotiva dei primi giorni, finirà per avvantaggiare ulteriormente i partiti populisti di destra.

3. Adesso non basta chiedere il cessate il fuoco tra Ucraina e Russia, o sostenere le ragioni dell’accoglienza dei (soli) profughi ucraini nei diversi paesi europei. Per alzare magari, domani, un muro contro l’arrivo dei profughi siriani, afghani o africani. O per selezionare tra bianchi e neri ai confini dell’Ucraina. Refugees in Libya, un gruppo di attivisti con sede in Libia ha affermato che la volontà dei governi dell’UE di accogliere i rifugiati ucraini, ma non persone come loro, ha rivelato il loro razzismo nascosto. E tra i tanti che denunciano le resposabilità della guerra in Ucraina, nessuno ricorda l’esigenza di una revisione sostanziale delle politiche migratorie e dei sistemi di controllo alle frontiere europee.

Ma non basta considerare separatamente le questioni dell’immigrazione e dell’asilo. Occorre ritornare ad una politica di vera alternativa che recuperi il multilateralismo ed una funzione effettiva di composizione dei conflitti alle Nazioni Unite, che si basi sulle ragioni fondative dell’Unione Europea, come uno spazio di solidarietà e di accoglienza, e ricostruisca un blocco sociale di opposizione ai governi fondati sullo scambio tra diritti e sopravvivenza economica. Nulla sara’ più come prima.
La guerra in Ucraina disintegra il tentativo di un ritorno allo stato dell’economia anteriore alla pandemia. Le disuguaglianze aumenteranno ancora, e in un clima politico caratterizzato in tutti i paesi europei dal populismo e dal richiamo alle istanze nazionali, se non del tutto individualistiche, la stessa Unione Europea rischia di frantumarsi sotto le spinte nazionali. Sara’ necessario aggregare consenso e ricostituire formazioni politiche in nome della giustizia sociale, in difesa dello Stato di diritto e della riconversione della politica estera, ponendo fine a qualsiasi forma di collaborazione con chi specula sul populismo e calpesta quotidianamente diritti umani e vite degli “altri”, ritenute come scarti necessari.

Vanno creati nell’immediato sistemi di evacuazione protetta e di accoglienza immediata per tutte le persone costrette a fuggire dall’Ucraina, senza alcuna distinzione di nazionalità come vanno individuati strumenti di protezione per quei cittadini russi che non possano fare rientro nel loro paese, ed ai quali il loro stesso paese arriva a negare persino il rinnovo del passaporto. Ma la crisi migratoria derivante dalla guerra in Ucraina non potrà essere risolta ignorando le tragedie umanitarie già in corso ai confini esterni dell’Unione Europea, in Polonia, sulla rotta balcanica, alla frontiera tra Grecia e Turchia, nel Mediterraneo, un mare sempre più al centro delle dinamiche di guerra, oltre che delle rotte migratorie. Anche le persone migranti trattenute nei centri di detenzione in Libia hanno diritto ad una evacuazione immediata e ad un ingresso legale in un paese che garantisca i loro diritti fondamentali, a partire dal diritto alla vita ed alla integrità fisica.

Con specifico riferimento al Mediterraneo occorre attivare immediatamente il sistema degli ingressi in base a visti umanitari da rilasciare presso gli uffici consolari dei paesi UE negli Stati di transito dove si trovano bloccate le persone migranti in fuga verso l’Europa. Che si lasciano alle spalle conflitti, abusi e devastazioni , basti pensare alla Siria o all’Afghanistan, al Congo o al Sudan, paesi già dimenticati da tutti, crisi non meno gravi di quelle oggi al centro dell’attenzione in Ucraina.

Occorre soprattutto sospendere tutti gli accordi di cooperazione militare ed economica con i paesi terzi, a partire dal patto infame del 2016 con la Turchia di Erdogan, accordi finalizzati sulla carta al contrasto dell’immigrazione illegale, alla lotta ai trafficanti, ma che di fatto, grazie anche alla corruzione diffusa in quei paesi, ed allo scontro tra milizie ed autorità centrali, finiscono per penalizzare soltanto le persone migranti e chi è già portatore del diritto alla protezione, un diritto che in molti paesi non viene mai riconosciuto, anche se si tratta di paesi firmatari della Convenzione di Ginevra.

Non basta quindi limitarsi agli appelli o alle manifestazioni genericamente pacifiste, ma occorre individuare richieste concrete e controparti reali per contrastare ovunque i sostenitori della guerra e del riarmo globale, che sono gli stessi che da anni si scontrano, in Europa ma anche nel continente africano, per fare prevalere le ragioni del mercato, del liberismo globale e della concorrenza sul riconoscimento effettivo dei principi di solidarietà ed uguaglianza, sui diritti dei popoli. Un impegno che dovremo assumere senza limitarci al contesto internazionale, più distante dalla nostra area di intervento, ma che va riproposto anche a livello nazionale, denunciando gli accordi bilaterali, ampliando i casi di riconoscimento della protezione internazionale, ricostruendo un vero sistema di accoglienza, e aprendo tutti i possibili canali legali di ingresso.

Contro tutti coloro che di fatto negano i diritti di autodeterminazione e di mobilità delle persone, ma si schierano ipocritamente da una o dall’altra delle parti in guerra e praticano un finto umanitarismo, nella convinzione di potere trarre vantaggio, personale o di partito, dal loro schieramento. Perché questa guerra, che prosegue da anni su scala globale, basti pensare all’Iraq, all’Afghanistan ed alla Siria, per non parlare dell’Africa sub-sahariana e della Libia, e che adesso rischia di assumere una dimensione enorme nel cuore dell’Europa, sottoponendola ad un duro ricatto energetico, se non a imprevedibili rischi militari, mette a rischio i diritti umani e la democrazia, ovunque, non solo in Ucraina, ed è anche su questo terreno, da parte dei cittadini europei, che si dovrà combattere.

da ADIF