Poche ore dopo l’attracco della prima fregata Fremm di Fincantieri ad Alessandria, Claudio Regeni e Paola Deffendi su La7 a Propaganda Live hanno presentato la loro ultima iniziativa. Un esposto alla procura incentrato proprio sulla vendita di armi, che prosegue indisturbata, dall’Italia all’Egitto: «Assieme alla nostra legale abbiamo predisposto un esposto-denuncia contro il governo italiano per violazione della legge 185/90, che vieta l’esportazione di armi verso paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni dei diritti umani accertati dai competenti organi della Ue, dell’Onu e del Consiglio d’Europa. Il governo egiziano rientra certamente tra quelli che si sono macchiati di queste violazioni».
Nel pomeriggio di giovedì era ben altro il clima dall’altra parte del Mediterraneo con i media egiziani impegnati a celebrare l’arrivo di Al-Galala, dopo un viaggio di 6mila miglia marittime, e a citare il capo della Marina militare egiziana, Ahmed Khaled, durante la cerimonia al porto: la fregata (inizialmente destinata alla Marina italiana, poi dirottata insieme a una seconda nave da guerra sull’Egitto) partirà per Suez dove sarà impegnata «contro ostilità e sfide nella regione».
Quella fregata, ex Spartaco Schergat F598, è parte di un pacchetto da 1,2 miliardi di euro che prevede per il 2021 la consegna di una seconda nave, la Emilio Bianchi F599. Non solo: il boom nell’esportazione militare all’Egitto del presidente golpista al-Sisi è dovuto anche all’autorizzazione alla vendita di 20 pattugliatori, 24 caccia Eurofighter e 20 aerei addestratori M346, per un valore complessivo che oscilla tra 9 e 11 miliardi di euro.
Un record che segue ad anni di incremento costante nel business bellico, coincisi con quelli della battaglia per la verità sul sequestro, le torture e l’omicidio di Giulio Regeni: 7,1 milioni nel 2016, 7,4 nel 2017, 69 nel 2018 e ben 871,7 nel 2019. La famiglia del ricercatore chiede di fermare il flusso, richiesta che si aggiunge al ritiro dell’ambasciatore dal Cairo: «Chiediamo questo come atto forte. È importante che l’Italia dia l’esempio».
Una battaglia condivisa con tanti altri, da Rete Disarmo che fece lo stesso nel 2016 contro la vendita di armi dalla Rwm di Domusnovas all’Arabia saudita (un esposto per violazione dell’articolo 1 della 185/90 depositato alle Procure di Roma, Brescia, Verona e Pisa tra le altre) e dalle realtà pacifiste sarde che nel 2016 e di nuovo nel 2019 hanno denunciato i ministri competenti per concorso in strage.
La Rwm si conferma un pivot, punto di contatto tra due abusi, quelli commessi in Yemen dai sauditi e quelli subiti da Giulio Regeni: come riportavamo mercoledì su queste pagine, dalla provincia di Cagliari a giugno sono stati esportati 8,1 milioni di euro di munizionamento pesante all’Egitto. La Rwm è ovviamente la prima e unica sospettata.
L’ultimo esposto presentato da Sardegna Pulita risale al 27 febbraio 2019, diretto alle Procure della Repubblica presso i tribunali di Roma e di Cagliari: indagare per concorso in strage commessa in Yemen contro i civili i ministri di Esteri (all’epoca Moavero Milanesi), Interni (Salvini), Difesa (Trenta), Sviluppo economico (Di Maio) e Ambiente (Costa).
«Quei ministri sono responsabili perché è tramite il comitato interministeriale che danno il via libera all’Uama che poi autorizza le esportazioni – ci spiega Angelo Cremone di Sardegna Pulita – Li abbiamo denunciati come in passato denunciammo la ministra della Difesa Pinotti del governo Gentiloni. In quel caso l’esposto fu trasmesso per competenza da Cagliari a Roma e poi archiviato senza che ci venisse comunicato nulla».
«Anche questo secondo esposto contro i ministri del Conte 1 è stato trasmesso al Tribunale di Roma, ma non abbiamo notizie. Non sappiamo se sia stato archiviato, se così fosse avremmo potuto fare opposizione. La famiglia Regeni può rimettere in discussione quanto fatto da noi, parla di un problema che c’è. Ce n’è anche un altro: il ruolo della magistratura che non ha ascoltato le nostre denunce. La Procura della Repubblica non può archiviare violazioni di leggi da parte di chi dovrebbe essere il primo a rispettarle, i ministri di un esecutivo».
«Di fronte alla denuncia dei Regeni – conclude Cremone – il tribunale ci dica che fine ha fatto il nostro esposto e dove sono le bombe della Rwm. Si indaghi: i codici di quegli ordigni li conosciamo, vogliamo sapere chi è l’utilizzatore finale, dove e contro chi li ha usati».
da il manifesto
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Export di armi italiane, segreti e silenzi di Stato
Egitto e non solo. La legge 185/90 fu approvata grazie alla forte mobilitazione della società civile e dell’associazionismo laico e cattolico che promosse la campagna «Contro i mercanti di morte» e che sostituì la norma di epoca fascista che impediva trasparenza. Ora è bene che intervenga la magistratura. Ma è innanzitutto compito del Parlamento richiedere che il governo riferisca alla Camere
Segreto di Stato. È questo il principio che per quasi 50 anni, ha regolato le esportazioni di sistemi militari dell’Italia. Sancito nel Regio decreto n. 1161 dell’11 luglio 1941 – siamo in piena epoca fascista e guerrafondaia – firmato da Mussolini, Ciano, Teruzzi e Grandi, il principio vietava categoricamente la divulgazione di notizie su movimenti, esportazioni e trasferimenti di materiali militari.
Un principio che gli apparati e l’industria militare hanno sempre apprezzato. Anche per questo la legge n. 185 che il 9 luglio del 1990 ha introdotto in Italia «Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento» è sempre risultata indigesta alle aziende militari.
Come noto, la legge fu approvata, dopo due legislature di intenso confronto parlamentare, grazie alla forte mobilitazione della società civile e dell’associazionismo laico e cattolico che promosse la campagna «Contro i mercanti di morte».
La 185/1990 si caratterizza per tre aspetti. Innanzitutto, richiede che le decisioni sulle esportazioni di armamenti siano «conformi alla politica estera e di difesa dell’Italia» e vengano regolamentate dallo Stato «secondo i principi della Costituzione repubblicana che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». E su questo punto andrebbe aperto un ampio dibattito politico perché non è stato mai spiegato al parlamento come le esportazioni di due fregate Fremm e le trattative in corso per esportare all’Egitto 11 miliardi di euro di sistemi militari – facendo dell’Egitto il primo Paese acquirente di armamenti italiani – sia conforme alla politica estera e di difesa dell’Italia.
In secondo luogo la legge ha introdotto una serie di specifici divieti e un sistema di controlli da parte del governo, prevedendo specifiche procedure di rilascio delle autorizzazioni prima della vendita e modalità di controllo sulla destinazione finale degli armamenti. Infine, richiede al governo di inviare ogni anno al parlamento una Relazione annuale predisposta dal Presidente del Consiglio dei Ministri che comprenda le relazioni dei vari ministeri a cui sono affidate diverse competenze in materia di esportazioni di armamenti.
La legge riporta numerosi divieti ed in particolare due che attengono direttamente la questione delle esportazioni di sistemi militari all’Egitto. Innanzitutto il divieto ad esportare armamenti «verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri, da adottare previo parere delle Camere».
Ed è proprio a questo articolo che la Rete Italiana Pace e Disarmo ha fatto riferimento per evidenziare che la fornitura delle due fregate militari Fremm all’Egitto è in chiaro contrasto con la norma vigente. Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, nella sua risposta al Question Time lo scorso 10 giugno ha infatti affermato che «oltre al vaglio di natura tecnico-giuridica, il governo ha ritenuto di svolgere una valutazione politica, in corso a livello di delegazioni di governo sotto la guida della presidenza del Consiglio dei ministri».
Ai sensi della legge, questa valutazione da parte del governo può essere adottata solo «previo parere delle Camere». Ma in questi mesi – l’annuncio della possibile fornitura delle due Fremm è del febbraio scorso – non risulta alcuna consultazione né parere del parlamento.
Inoltre la legge prevede il divieto ad esportare materiali d’armamento (tutti e non solo le cosiddette «armi leggere» «verso i Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell’Ue o del Consiglio d’Europa».
Nei confronti dell’Egitto, c’è una duplice chiara documentazione. Il Rapporto inviato nel maggio del 2017 dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite riporta che in Egitto la tortura è «praticata sistematicamente» ed è «abituale, diffusa e deliberata in un’ampia parte del Paese».
Inoltre la Risoluzione approvata lo scorso 18 dicembre dal Parlamento europeo evidenzia numerose gravi violazioni dei diritti umani in Egitto e che «gli arresti e le detenzioni in corso rientrano in una strategia più generale di intimidazione delle organizzazioni che difendono i diritti umani».
La famiglia Regeni ha annunciato un esposto contro il governo in carica per violazione delle norme delle legge 185/1990. È bene che intervenga la magistratura. Ma è innanzitutto compito del Parlamento richiedere che il governo riferisca alla Camere circa le esportazioni di sistemi militari all’Egitto. Se non vogliamo che il «segreto di Stato» si tramuti nel «silenzio di Stato»
Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa (Opal)
da il manifesto