La formula “più carcere più sicurezza” smentita dall’esperienza e dalle statistiche
Mentre assistiamo desolati alla più clamorosa manifestazione della disperazione nella quale è precipitata l’istituzione carceraria nel nostro Paese e della sua incapacità di intercettare il disagio dei più deboli e dei più fragili, si continua a perseguire l’idea del carcere come rigida risposta contenitiva per il timore di apparire deboli.
di La Giunta dell’Unione delle Camere Penali Italiane
È necessario ricorrere con urgenza a provvedimenti di clemenza generalizzati per abbattere il sovraffollamento e fare sì che le carceri non siano solo luoghi di contenimento, di sofferenza e di morte, ma i luoghi in cui si costruiscono le condizioni per nuove esistenze nel rispetto dei diritti e della dignità della persona. Mentre il Governo, per far fronte al sovraffollamento carcerario, punta sulla costruzione di “moduli detentivi” prefabbricati, i suicidi conoscono ancora una spaventosa recrudescenza con l’inimmaginabile picco di tre morti in un solo giorno.
Mentre assistiamo desolati alla più clamorosa manifestazione della disperazione nella quale è precipitata l’istituzione carceraria nel nostro Paese e della sua incapacità di intercettare il disagio dei più deboli e dei più fragili, si continua a perseguire l’idea del carcere come rigida risposta contenitiva per il timore di apparire deboli. Forte è invece uno Stato capace di modulare la sua risposta alle effettive esigenze del recupero e del reinserimento e in grado di adeguare il numero dei detenuti alle reali e concrete capacità di un trattamento dignitoso, consentendo così di salvaguardare la vita dei ristretti. Debole è quel Governo che sacrifica il più inalienabile dei diritti umani, quello di essere trattati con dignità, solo per il timore di perdere consenso.
Privo di lungimiranza è quel Governo che, per dare risposta ad una insicurezza alimentata dalla propaganda, introduce nuovi reati o aggrava le pene di quelli già esistenti, indicando nella risposta repressiva carceraria l’unico orizzonte del diritto. La formula “più carcere più sicurezza” è smentita dall’esperienza e dalle statistiche che dimostrano che solo aprendosi alla società il carcere può avere ancora una funzione, permettendo di abbattere la recidiva. Ma non può essere questo carcere, nel quale il sovraffollamento impedisce ogni forma di trattamento diretto a risocializzare il condannato. Non può essere il carcere dei “moduli detentivi”, la cui sola definizione appare paradigmatica della distanza da quella annunciata volontà di restituire dignità alla detenzione, a rispondere al dettato costituzionale della rieducazione.
Non c’è bisogno, infatti, di nuovi contenitori per la disperazione futura dei detenuti, ma di un futuro diverso per la pena. Se da un lato è necessario porre in essere politiche efficaci e lungimiranti, investendo maggiori risorse, si deve con realismo riconoscere che è necessario ricorrere con urgenza a provvedimenti di clemenza generalizzati per abbattere il sovraffollamento e fare sì che le carceri non siano solo luoghi di contenimento, di sofferenza e di morte, ma i luoghi in cui si costruiscono le condizioni per nuove esistenze nel rispetto dei diritti e della dignità della persona.
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