Con la crisi diplomatica tra Bielorussia e Polonia, l’Unione Europea continua la politica di chiusura delle proprie frontiere, lasciando fuori i profughi delle guerre.
di Valerio Nicolosi
Mentre lungo il confine tra Polonia e Bielorussia continua il braccio di ferro politico e diplomatico, i migranti bloccati nei boschi continuano a morire di freddo. Al momento sono 10 le persone morte nei boschi che dividono i due paesi ex sovietici.
Gli attivisti polacchi della zona Kuznica aggiornano la stampa locale e internazionale che il governo ha bloccato a qualche chilometro di distanza dal confine e non le permette di documentare i respingimenti e la crisi umanitaria in corso.
Dall’altro lato arrivano delle immagini della stampa bielorussa che enfatizzano la condizione dei siriani, afghani, iracheni e accampati lungo il confine, con il filo spinato polacco in bella mostra, mentre dalla BBC arrivano immagini dell’aeroporto di Minsk dove stanno atterrando centinaia di altri migranti provenienti da paesi in guerra e che verranno spinti verso il confine con l’Unione Europea.
Secondo fonti bielorusse i migranti lungo il confine con la Polonia sono circa 2.000, mentre secondo il governo polacco gli ingressi irregolari nel 2021 sono stati oltre 25.000, quest’ultime cifre non confermate dall’agenzia europea Frontex, che ha la propria sede a Varsavia ma alla quale è stato vietato l’accesso nella zona di confine, dichiarata zona in stato di emergenza nelle scorse settimane.
Secondo gli attivisti ogni notte centinaia di persone riescono a varcare il confine e a rifugiarsi in “case sicure” degli abitanti della zona, quelle che accendono una luce verde vicino a una finestra per segnalare ai migranti che possono rifugiarsi lì. Senza la stampa internazionale sul confine però è difficile avere informazioni certe e quindi la confusione è tanta.
A questa crisi ci si è arrivati dopo mesi di tensione crescente, dopo che il Consiglio Europeo lo scorso giugno ha votato a favore di ulteriori sanzioni contro la Bielorussia, in particolare contro 78 persone e 8 organizzazioni bielorusse, tutte inserite nella “lista nera” delle persone non gradite nei paesi membri in risposta alle violazioni dei diritti umani e alla repressione contro i giornalisti e la società civile. Poche settimane prima c’era stato il caso diplomatico del volo Ryanair dirottato a Minsk dalle autorità bielorusse per arrestare il giornalista Raman Pratasevich e la sua compagna Sofia Sapega. A quel punto, il presidente Aljaksandr Lukašėnka ha iniziato a far pressione attraverso i confini polacchi e lituani, facendo arrivare con aerei dalla Turchia migliaia di profughi e spingendoli verso il confine, ritrovatisi vittime di una guerra diplomatica che non sembra possa risolversi in poco tempo, ma soprattutto vittime di una modello di gestione delle frontiere che oggi ha gli occhi puntati sulla Polonia ma che è stato pensato e modellato proprio per chiudere ogni possibilità di accesso.
Siriani, iracheni, afghani e persone provenienti da altri paesi non sarebbero disposti a prendere un aereo da Istanbul per Minsk per provare a passare una frontiere gelida e pericolosa se quella più vicino alla Turchia, quindi la Grecia, non fosse altrettanto pericolosa e chiusa. Il muro costruito lungo il confine negli scorsi mesi e i respingimenti da parte di Frontex e della Guardia Costiera ellenica sono solo la punta dell’iceberg di un modello basato sulla costante violazione dei diritti umani di chi si trova alle porte delle nostre frontiere.
“Stiamo affrontando un brutale attacco ai confini dell’Unione Europea, stiamo ragionando su delle infrastrutture di protezione lungo i confini europei, uno per tutti, tutti per uno” ha dichiarato in una conferenza stampa Charles Michel, presidente del Consiglio Europeo.
Secondo i dati dell’UNHCR sono 7.500 le persone che sono arrivate in Grecia nel 2021 ma una volta entrati in territorio europeo la strada è ancora lunga, non essendoci una redistribuzione obbligatoria per tutti i paesi membri.
Grecia, Italia, Spagna, Malta infatti sono paesi di transito dove stare il minor tempo possibile per poi continuare la rotta che porta verso Germania, Belgio, Svezia, Francia e Regno Unito, destinazioni preferite dalla gran parte dei migranti che però restano bloccati nel sistema di respingimento a catena, come avviene lungo i Balcani, dove da Trieste in 2 o 3 giorni puoi ritrovarti in Serbia o in Grecia, dopo essere stato respinto da Italia, Slovenia, Croazia, Serbia e Macedonia. Stessa cosa a Ventimiglia, dove la Francia quotidianamente respinge in Italia decine di persone, tra loro anche minori.
Tra i paesi che si sono sempre opposti alla riforma del trattato di Dublino in tema di migrazioni ci sono proprio Polonia e Lituania, che hanno sempre visto i migranti come un problema del Sud Europa e che invece oggi si ritrovano a dover affrontare con muri, filo spinato ed esercito schierato lungo i confini.
da micromega