Voleva portare a casa sua una famiglia sudanese in difficoltà a Ventimiglia. Domani nuova udienza, lui rivendica e accusa: «Noi europei, oltre a essere la causa di molti dei mali che affliggono i paesi da dove fuoriescono migliaia di persone, abbiamo il dovere, per i trattati che abbiamo firmato, di aiutarle. Ci sono i mezzi ma non la volontà politica»
A Ventimiglia nel luglio 2016 moltissime persone aspettano l’apertura del confine per potersi ricongiungere coi familiari o semplicemente scegliere in quale paese vivere. Una attesa inutile. Accanto a loro centinaia di volontari che si fanno in quattro per rendere quello stallo meno doloroso, meno umiliante.
Felix Croft di persone in difficoltà ne ha incontrate molte. Ha portato solidarietà nel campo di Grande Synthe a Dunkerque dove migliaia di profughi vivono in condizioni disumane come negli altri insediamenti improvvisati che costituiscono buchi neri nel cuore dell’Europa. In Italia più di 10mila persone vivono questa condizione. «A Ventimiglia la situazione era terribile – dice Felix – la Croce Rossa aveva aperto un campo con 190 posti, ma le persone presenti erano più di mille». L’opera dei volontari viene resa ancor più difficile dall’ordinanza del sindaco che vieta loro di distribuire cibo perché, si legge,non hanno «i requisiti igienico-sanitari per la manipolazione e la somministrazione di alimenti e bevande». Per un bicchiere d’acqua o un po’ di riso donati a persone in estrema difficoltà rischiano una multa.
Quando entra nella chiesa di San Francesco a Ventimiglia, dove alcuni profughi sono temporaneamente alloggiati, Felix vede due marmocchi di cinque e due anni per mano alla mamma incinta. Il padre è seduto su una sedia accanto al fratello. «Erano esausti fisicamente e mentalmente, terrorizzati dal futuro. Iniziavano a disperarsi perché dopo aver passato l’inferno per giungere in Italia si trovavano bloccati in quella chiesa da cui, vista la vulnerabilità di mamma e bambini, non potevano andarsene». La famiglia, proveniente dalla disastrata zona del Darfur, nel Sudan occidentale, aveva il minimo per la sopravvivenza e, come per molti altri, il loro destino sarebbe stato la strada. Felix sente che non può permetterlo. Decide di portarli nella sua casa in Francia e farli riposare finalmente dalla fatica e dalle ingiustizie.
L’umanità di Felix si scontra però con quella linea immaginaria che è il confine, presidiato da poliziotti tutt’altro che immaginari. Sull’autostrada che da Ventimiglia porta in Francia, incontrano un posto di blocco. Ai componenti della famiglia vengono chieste le generalità e lasciati andare, o meglio, lasciati liberi di tornare nell’oblio. Felix viene portato in questura e poi messo in camera di sicurezza dove passa la notte. Il giorno dopo il giudice convalida l’arresto ma non dispone misure cautelari. Felix torna a casa, da solo.
Per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina rischia da 5 a 15 anni perché è contestata l’aggravante del numero delle persone trasportate, anche se, quando li guarda, Felix vede una cosa unica, una famiglia.
Quando è stato fermato non ha negato niente, rivendicando il suo gesto umanitario come ineludibile.
La prossima udienza sarà il 16 febbraio, quando verranno ascoltati i testimoni. Felix intende usare il processo per affermare le proprie convinzioni: «Voglio portare un messaggio di umanità che si basa sulla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e sulla Convenzione di Ginevra. Noi europei, oltre a essere la causa di molti dei mali che affliggono i paesi da dove fuoriescono migliaia di persone, abbiamo il dovere, per i trattati che abbiamo firmato, di aiutarle. Ci sono i mezzi ma non la volontà politica. I tanti soldi che spendiamo per risolvere il problema delle migrazioni sono usati nel modo sbagliato e invece di risolverlo lo aggravano».
Il gesto di Felix è avvenuto poco prima di quel 24 agosto in cui da Ventimiglia partì il primo rimpatrio collettivo attuato secondo gli accordi bilaterali stipulati il 3 agosto tra Italia e Sudan. 48 sudanesi vennero prelevati, portati a Taranto per il fotosegnalamento e il rilevamento delle impronte. Il giorno dopo 41 di loro, alcuni provenienti dal Darfur, erano su un aereo che da Torino li riportava nel paese dal quale erano fuggiti. La famiglia aiutata da Felix poteva essere su quel volo. Il Sudan è governato dal 1989 da Omar al Bashir, accusato dalla Corte penale internazionale dell’Aia per genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra. Il Darfur è l’epicentro di una guerra da molti definita genocida che dura ormai da 15 anni. Le vittime, a oggi, sono state mezzo milione.
da il manifesto