Il caso di Federica Saraceni
Sta suscitando il consueto ed odioso clamore la vicenda del reddito di cittadinanza riconosciuto a Federica Saraceni, denunciata dal solito giornalismo spazzatura de “La Verità” (una scissione in pejus di Libero, ndr).
Si tratta di 623 euro al mese, riconosciuti dall’Inps in quanto si trova sotto la soglia di povertà e con due figli a carico. In base alla legge del 28 marzo 2019 numero 26, che istituisce per l’appunto il reddito di cittadinanza, Federica Saraceni può beneficiare del sussidio previsto e aspettare una chiamata dai navigator per un’offerta di lavoro presso i Centri per l’Impiego.
Come prevedibile, destra e Pd si ritrovano di nuovo a braccetto nel chiedere la sospensione di questo sussidio ad una ex detenuta politica, senza mezzi di sussistenza e con due figli. “Il caso della brigatista Saraceni che attualmente può percepire il reddito di cittadinanza, rende chiaro che la norma è sbagliata e su questo punto bisogna intervenire. Ho presentato una interrogazione sul caso”, ha scritto su Twitter la deputata del Pd ed ex (pessima) ministro della funzione pubblica) Marianna Madia.
Del tutto identica la reazione della Lega, che definisce la misura un “insulto intollerabile per i parenti della vittima e per tutte le persone perbene” annunciando addirittura – tramite i capogruppo Massimiliano Romeo e Riccardo Molinari – che non parteciperà a nessun lavoro d’aula e di commissione finché “il governo non spiegherà questo scandalo e quest’ingiustizia sarà sanata”.
Arrestata nel 2003, Federica Saraceni viene accusata di essere una militante delle autonominate “nuove Brigate Rosse” e condannata a 4 anni e otto mesi. Inclusa poi anche nel processo per l’uccisione nel 1999 a Roma del giuslavorista Massimo D’Antona, era stata assolta in primo grado, ma il Pm ricorse in appello sfruttando la decadenza della Legge Pecorella che non consentiva ricorsi in appello sulle assoluzioni.
Nel 2008, al momento della condanna in appello, Federica Saraceni stava già scontando la pena di 4 anni e 8 mesi del primo processo. La condanna in appello a 21 anni e 6 mesi aveva superato la stessa richiesta dell’accusa, che si era fermata a 20. Quasi cinque anni però erano già stati scontati.
Federica Saraceni aveva quindi ottenuto la concessione dei benefici della continuazione, era stata interdetta in perpetuo dai pubblici uffici ma non dalla possibilità di usufruire delle prestazioni sociali.
Questa misura vendicativa è stata invece introdotta con la Legge Fornero (e quindi non sarebbe neanche applicabile a questo caso, visto che nessuna legge può avere effetti retroattivi), creando però parecchi contenziosi perché spesso la zelanteria dei dirigenti INPS aveva confuso sentenze con condanne, azzerando spesso prestazioni come l’assegno sociale (la pensione minima) anche a chi ne aveva diritto.
Si ripresenta dunque, e vergognosamente, quella zona grigia che confonde intenzionalmente (per fascismo interiorizzato e ignoranza giuridica) giustizia con vendetta, che vede un accanimento particolare contro i detenuti e gli imputati politici delle organizzazioni combattenti di sinistra dei decenni scorsi, mentre mostra una straordinaria indulgenza – fino alle frequentazioni amicali – verso i neofascisti condannati per reati simili e sentenze analoghe.
E’ la logica della vendetta storica e politica che si ripete in ogni occasione possibile e che continua a impedire – a destra e nella sedicente “sinistra” (ma così certo on possono essere inquadrati il Pd, ex Ds, ex Pds, ex Pci) – ogni serio tentativo di dare soluzione politica ai conflitti della precedente fase storica, così come avvenuto in tutti gli altri paesi, ad eccezione della Spagna postfranchista.
da Contropiano