Le piazze italiane di Capodanno non saranno popolate soltanto da musiche e danze. Due vecchie conoscenze si aggireranno tra le persone in festa: «Sicurezza» e «Decoro»
di Riccardo De Vito da il manifesto
Le piazze italiane di Capodanno non saranno popolate soltanto da musiche e danze. Due vecchie conoscenze si aggireranno tra le persone in festa: «Sicurezza» e «Decoro». Chiamate da una direttiva del ministro Piantedosi, destinata a tutti i prefetti, per garantire il libero e pieno godimento «di determinate aree pubbliche, caratterizzate dal persistente afflusso di un notevole numero di persone».
L’idea è chiara: «Aree verdi, parchi e zone pedonali ben illuminate e curate creano un ambiente sicuro, come pure l’installazione di impianti di videosorveglianza». Necessaria «una sempre maggiore presenza delle forze dell’ordine in tutti i luoghi nevralgici e ad alta frequentazione per il benessere della popolazione». Accanto a queste misure, per le feste natalizie, si concentra l’attenzione sui dispositivi per eccellenza: i «daspo urbani», ossia l’ordine di allontanamento e il divieto di accesso.
Disposizioni – prosegue la direttiva – «interessate da modifiche di segno ampliativo, contenute anche nel disegno di legge in materia di sicurezza pubblica all’esame del parlamento, che reca un’ulteriore estensione del divieto di accesso a coloro che risultino denunciati o condannati, anche con sentenza non definitiva».
Nella confusione del Capodanno, tra un fuoco d’artificio, un brindisi e, soprattutto, la distrazione delle persone, i prefetti sono chiamati a consolidare l’idea di sicurezza in corso di sperimentazione (a Milano dopo Firenze e Bologna): rendere invisibili, ricacciandoli in periferia, i soggetti presunti pericolosi; limitare la libertà di movimento sulla base di presupposti generici senza ricorrere al giudice; trasformare la sicurezza in pura incolumità e «ordinato vivere».
Si potrebbe dire – lo si sente ripetere anche sinistra – che in fondo si va incontro ai bisogni reali delle persone, soprattutto delle più deboli. Che almeno i poveri cristi trascorrano feste tranquille. Siamo sicuri che, mettendo da parte la riserva di legge e l’intervento del giudice, a essere allontanati siano proprio i soggetti pericolosi? Chi e come li individua? Le garanzie non sono formalismi, ma risposte precise a queste domande.
Stanotte, presi dall’allegria un po’ etilica della fine dell’anno, potremmo non guardare in faccia coloro che saranno allontanati, non capire chi sono e dove vengono mandati. C’è da scommettere, tuttavia, che quando nel corso dell’anno riprenderemo lucidità, potremmo vedere i loro volti: saranno i più poveri, le vittime della crescita diseguale della città; e verranno rispediti in quelle periferie da dove vengono. I centri luccicanti saranno protetti.
Quanto ci metteremo a elaborare una diversa idea di sicurezza, anche dei luoghi simbolo? Senza toccare qui i temi dello spazio urbano quale teatro del conflitto sociale, questa stretta di Capodanno mette in luce l’ennesima rinuncia a un’idea sicurezza vera, “autogestita” dalle persone che riescono a mischiarsi tra loro. Vengono in mente le parole di Renato Nicolini su Massenzio, durante le proiezioni dell’Estate Romana, come il manifesto di un’idea diversa della città: «Accanto a me, a destra un gruppo di ragazzi si passavano uno spinello e, a sinistra, una di quelle tipiche famiglie romane che si pensa non esistano più, arrivata con plaid, nonni, ragazzini, pentole di pasta, sfilatini con la frittata e fiaschi di vino. I due gruppi convivevano tranquillamente, senza troppa curiosità».
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