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La legalità miserabile dell’indifferenza

L’evidenza di comportamenti razzisti sempre meno episodici, a Roma, è un fatto. Lo è da tempo ma l’anno che si conclude potrebbe segnare l’avvio di una vera escalation. La guerra contro i poveri che dilaga in tutto il pianeta trova terreno fertile nelle periferie, soprattutto ai penultimi gradini della gerarchia sociale, ma anche in autobus, nei mercati e nelle istituzioni. La vicenda del Baobab ne è un esempio lampante perché c’è un limite a tutto, anche all’indifferenza. Un progetto di straordinario mutualismo sociale che, in oltre dieci anni, ha accolto e provato a dare dignità a 60mila persone in transito è stato ignorato, sabotato e represso in modo sistematico. I volontari dell’associazione che prende il nome dall’albero africano della vita hanno pagato i bagni chimici quando il Comune rifiutava di farlo per paura di avallare una situazione “illegale”. Hanno dovuto migrare in diversi spazi della città per sfuggire agli sgomberi e alle intimidazioni delle forze dell’ordine, hanno resistito tutta l’estate senza acqua corrente e senza energia elettrica. Hanno coordinato l’assistenza legale, prestato cure mediche, servito tre pasti caldi al giorno per 250 persone ma, soprattutto, hanno mostrato una città capace di inventare relazioni sociali straordinarie e di costruire il piacere di saper vivere insieme. Oggi, l’ennesima soluzione di fortuna vantata dalla Giunta capitolina rivela tutta la precarietà e il pressapochismo di chi non ha compreso la portata di eccellenza di un’esperienza che “bonifica” i miasmi velenosi della xenofobia: c’è chi dorme per la strada. Sabato 17 dicembre, quelli del Baobab e il cuore sano della Città Aperta si faranno sentire per le vie del centro

In questi ultimi mesi (forse anche anni), tra campagne referendarie di basso livello, scandali legati alla corruzione, bancarotta di banche un tempo fiore all’occhiello, armamenti partiti dall’Italia per rifornire paesi in guerra che violano i diritti umani, morti in mare per cercare un porto sicuro e dati sulla povertà in aumento, di motivi per essere profondamente indignati e schifati ce ne sarebbero molti. Aleggia allo stesso tempo nell’aria una sorta di rassegnazione, di impotenza, di abitudine al negativo che quasi anestetizza, e che porta a concentrarci sul nostro piccolo mondo, cercando di sopravvivere alla meno peggio.

Tutto ciò con l’enorme rischio di una guerra tra poveri che in alcuni episodi recenti si è intravista molto chiaramente. C’è però un caso a Roma che sta rompendo questo schema, perché c’è un limite a tutto, anche all’indifferenza: è il caso dei migranti in transito e dell’Associazione Baobab Experience. Il Centro Baobab nasce nel 2004 a Roma a Via Cupa, in una vecchia vetreria abbandonata, e in oltre 10 anni ha accolto migranti e rifugiati in transito offrendo loro vestiti, cibo, assistenza medica e psicologica, assistenza legale, ma soprattutto vicinanza e calore da parte di tutti i volontari che hanno fatto nascere e crescere l’Associazione. Stiamo quindi parlando di un progetto di mutualismo sociale che cerca semplicemente di dare dignità a chi arriva in Italia dopo aver rischiato la vita e si ritrova con poco e niente a dover affrontare un mondo totalmente nuovo senza soldi, senza affetti, e senza nemmeno conoscere la lingua.

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Il 6 dicembre 2015 arriva la prima sgradita sorpresa: il centro Baobab autogestito in autonomia da volontari, visto che anche i gestori ufficiali del centro erano andati via alcuni mesi prima, viene sgomberato dall’amministrazione Tronca con la promessa che nessuno avrebbe più dormito in strada e che, prima della nuova ondata di flussi migratori in primavera, Roma si sarebbe attrezzata con un centro di prima accoglienza per i migranti in transito. I volontari hanno mantenuto tutto l’inverno un presidio permanente davanti i cancelli chiusi dell’ex centro facendo da info point e diventando punto di riferimento per i migranti di tutta Roma, non solo per i nuovissimi arrivi. Insieme a loro hanno scoperto come il sistema di accoglienza nazionale e locale non sufficiente crei emarginazione e sofferenza. Le istituzioni sono sparite, le promesse non sono state mantenute e si è arrivati alla primavera. Il flusso di nuovi arrivi a Roma è ricominciato e come ogni anno e Roma si è fatta trovare impreparata. I migranti, grazie al passa parola, non avendo alcuna alternativa hanno cominciato ad affacciarsi in via Cupa e i volontari non riuscendo ad avere alcuna risposta dalle istituzioni si sono trovati costretti a piantare le prime tende per cercare di dare un riparo minimo per la notte a donne, uomini, bambini che altrimenti sarebbero stati a terra.

Arriva l’estate, il Movimento Cinque Stelle insediandosi apre un tavolo di confronto con le varie realtà che si occupano di accoglienza a Roma, tra cui Baobab Experience, tavolo in cui sembrava si stesse lavorando per affrontare l’emergenza in prima battuta, e contemporaneamente progettando un modello di accoglienza diverso, strutturato e condiviso da tutte le realtà.

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Baobab Experience ha presentato la sua idea di accoglienza degna, che vada oltre il pasto caldo e il letto in cui dormire (comunque imprescindibili!) e che crei integrazione, apertura verso la città, scambio tra cittadini autoctoni e cittadini stranieri. Di persone che hanno dormito in strada, in un campo informale nato davanti i cancelli chiusi dell’ex centro Baobab, ce ne sono state tante. Dall’inizio dell’esperienza Baobab, nel giugno 2015, ad oggi oltre 60.000 persone sono state accolte dai volontari e attivisti, a costo zero per le casse dello stato. Hanno pagato loro, grazie alle donazioni, i bagni chimici, perché il Comune di Roma si è rifiutato di farlo per paura di avallare una situazione di illegalità. Ha preferito lasciar trascorrere tutta l’estate senza acqua corrente, energia elettrica, una cucina. Eppure attivisti e volontari hanno servito tre pasti caldi a circa 250/300 persone al giorno, coordinato l’assistenza legale, prestato le cure mediche grazie ad alcune associazioni, organizzato momenti di condivisione con la cittadinanza, attività ludico-ricreative per migranti e cittadini romani. Insomma, hanno continuato a portare avanti il loro modello di accoglienza. Le istituzioni latitanti si sono viste solo sotto forma di forze dell’ordine che regolarmente si presentavano all’alba coi mezzi blindati della polizia e, spaventando a morte tutti, prelevavano i ragazzi e li portavano in questura per le identificazioni.

Si arriva così al 30 settembre, giorno in cui avviene l’operazione di sgombero: via Cupa viene riportata alla “legalità” e centinaia di persone si ritrovano senza neanche quel minimo di protezione dato dal presidio dei volontari. Si, perché lo sgombero arriva senza che venga data alcuna alternativa. Comincia una fase errante di attivisti e volontari di Baobab Experience che prima si fermano davanti il piazzale della Stazione Tiburtina, da dove vengono immediatamente allontanati, poi vanno davanti la Basilica di San Lorenzo fuori le mura, ma vengono mandati via anche da li, poi si spostano sul retro della stazione Tiburtina, luogo isolato, dove vengono piantate delle tende perché ormai l’inverno è arrivato e fa molto freddo la notte e anche lì le istituzioni si vedono solo all’alba, coi mezzi blindati della polizia, per sgomberare il campo informale, buttare le tende donate dalla cittadinanza, identificare migranti e volontari, bonificare l’area, come piace dir loro.

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Una continua violazione di diritti umani tale da spingere Carlotta Sami, portavoce dell’UNHCR per il Sud Europa, a richiedere lo stop agli sgomberi e la messa a punto di un sistema di accoglienza strutturato. Una settimana, fa l’assessore alle politiche sociali Laura Baldassarre, forse anche a seguito delle dichiarazioni della Sami, indice un incontro con le associazioni che si sono occupate dei migranti e annuncia a gran voce che la soluzione è pronta e il giorno dopo viene trovato un posto letto per la settantina di ospiti presenti in quel momento a Piazzale Spadolini, ultima tappa di questa accoglienza errante. I migranti grazie alla mediazione dei volontari di Baobab Experience vengono spostati nel centro della Croce Rossa. Il Comune di Roma grida ai quattro venti di aver risolto il problema ma le associazioni dopo un anno di strada sanno che così non è. Il centro della CRI ora è al completo e già da due notti ci sono dei migranti di nuovo che dormono in strada.

Questa vergognosa vicenda ha dell’incredibile. Una città si mobilita su base volontaria per rendere un po’ umano qualcosa che ha del disumano: la migrazione causata da guerre e povertà, mentre le istituzioni si defilano per non assumersi le responsabilità che gli spettano. Ma ancora più gravi sono gli sgomberi e i sequestri dei beni donati dai cittadini da parte della polizia, che in nome di una legalità priva di qualunque buon senso e di umanità, leva quelle poche cose ai migranti che gli permettevano quantomeno di dormire al riparo in qualche tenda. Come sempre accade, ogni volta che la legalità si slega dalla giustizia sociale, si crea una forma di ingiustizia legalizzata peggiore dell’illegalità stessa.

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Davanti a tutto questo, quella parte di Roma che vuole esprimere dei valori solidali scenderà in piazza Sabato 17 dicembre alle ore 14 con un corteo pacifico da Piazza della Repubblica a Piazza della Madonna di Loreto, per chiedere all’Amministrazione Capitolina l’istituzione immediata di un centro di primissima accoglienza per i migranti, un tavolo permanente di confronto con le diverse realtà che si occupano di accoglienza nella Capitale al fine di sviluppare un sistema che sia in grado di  garantire e promuovere i diritti fondamentali dei migranti, e il monitoraggio delle attività dell’ufficio immigrazione della questura, affinché non si  verifichino più le violazioni sul diritto alla richiesta di asilo.

E’ importante esserci, perché in questi mesi molti romani, per la prima volta, hanno compreso profondamente l’unica parola pronunciata dal Papa durante la sua visita a Lampedusa: “Vergogna”.

Gabriele Mandolesi campagna Slotmob

 Viola de Andrade Piroli volontaria Baobab Experience

da Comune-Info