Con le manifestazioni di mercoledì scorso, la tradizionale giornata dei lavoratori ha subito in Francia una radicale trasformazione: nonostante le fake news del governo e la brutale repressione da parte della polizia, una nuova convergenza popolare e sindacale ha preso vita in questa giornata memorabile
Questo Primo Maggio 2019 è stato una perfetta dimostrazione della continuità e della tenacia di un movimento popolare che si può ormai definire storico. Storico per la sua durata, perché mai prima d’ora in Francia una rivolta sociale è durata così a lungo, nonostante tutte le strategie volte a estinguerla: 25 settimane, e nessun segno di debolezza nelle piazze, tantomeno nel sostegno dell’opinione pubblica. Storico per la sua composizione, perché ogni evento, settimana dopo settimana, sfugge a ogni pronostico in termini di numero e di pratiche.
Tradizionalmente, il Primo Maggio maggio, la giornata dei lavoratori, è sempre stata la data principale per i sindacati, organizzatori di giornate di manifestazioni ovunque in Francia, ma anche all’estero. Data simbolica della lotta di classe, il Primo Maggio è il momento in cui tutti quelli che scendono in piazza si riuniscono per riconoscersi, mescolarsi, per ricordare e dimostrare di essere sempre consapevoli di questa necessità di mantenere un’unione contro la parte avversa, quella che trae profitto dal controllo della classe dei lavoratori.
Tuttavia, negli ultimi 2 anni, la configurazione in Francia di questo Primo Maggio è in piena mutazione e trova addirittura un’ispirazione rivoluzionaria… La lotta contro la Loi Travail è stata una prima tappa di questo processo di trasformazione, ma vanno poi ricordate tutte le manifestazioni offensive del 2016, 2017 e 2018, che hanno determinato la nascita di un cortège de tête estremamente massiccio e unitario, che ha subito una feroce repressione, mentre il sindacato restava in ritiro e totalmente sopraffatto dagli eventi.
Il moltiplicarsi degli appelli alla “rivolta” sui social network illustra efficacemente che la pazienza dei Gilets Jaunes si è esaurita, di fronte alle umiliazioni permanenti dello Stato. La risposta isterica del governo aveva creato un clima di ansia generalizzato, certamente voluto.
Avvalendosi di “fake news” che riportavano voci incessanti sull’arrivo a Parigi di migliaia di tedeschi decisi a “entrare in azione” o sull’imminente pericolo insurrezionale, il governo ha provato a dissuadere i potenziali manifestanti a scendere in piazza. Tuttavia fin dalla mattina del Primo Maggio, quello che è stato subito evidente è che il numero dei manifestanti eccedeva totalmente le regole abituali del formato sindacale, sia in termini di orario che di composizione.
Se era previsto che il corteo sindacale partisse alle 14:00, già a mezzogiorno la folla si lanciava verso Place d’Italie.
Conosciamo cosa è successo subito dopo, le differenti nasse (la nasse o kettling, in inglese, è un dispositivo poliziesco che consiste nel circondare i manifestanti con l’intento di isolare il corteo, o parti di esso, per permettere di immobilizzarlo, provocarne la dispersione o degli arresti, NdT) la brutale interruzione della manifestazione già nel luogo di concentramento, gli arresti violenti e tutto ciò che sembra ora caratterizzare una tattica collaudata del governo e della sua polizia.
Un’angoscia, una tensione, sorda e palpabile, sentita fin dall’inizio. Anche la parola “Révolution” scandita come uno slogan dalla piazza aveva mercoledì scorso un sapore molto particolare, perché cantata da una folla che si sente pronta a continuare il suo cammino, non solo per le sue rivendicazioni sociali, ma per la rivendicazione ultima, quella della LIBERTÀ.
Ci chiedevamo quale argomento sarebbe stato ancora in grado di trovare Castaner (il ministro dell’Interno francese, NdT) e tutta la sua cricca, per umiliare, e cercare di rendere inudibili le grida di sofferenza di un popolo oramai furioso.
L’inventiva del governo in questo campo è sconvolgente. Dei cattivi casseurs, secondo quanto riferito dal ministro dell’Interno, avrebbero tentato di entrare nell’ospedale della Pitié Salpêtrière con l’intento di attaccare i pazienti in rianimazione!
Il giorno dopo la manifestazione, i sindacati e il personale dell’ospedale negano in modo unitario l’interpretazione mediatica e statale di questo incidente, chiaramente causato dalle persecuzioni della polizia contro studenti e altri manifestanti, che sono entrati in preda al panico nei giardini dell’ospedale per proteggersi dall’incessante lancio di lacrimogeni e dalle violente cariche della polizia.
Anche i sindacati hanno subito la violenza indiscriminata di queste forze dell’ordine (non imprevedibile, visto che già nel 2018 il servizio d’ordine della CGT era stata attaccato dalla polizia) con l’espulsione del segretario generale Philippe Martinez, ingenuamente scandalizzato da questa violenza.
Occorre davvero ricordare che questa violenza è ormai presente da molto tempo e che è illegittima non solo rispetto un corteo sindacale ma rispetto ogni manifestante?
Bisogna dirlo. Il primo maggio 2019 i sindacati, nel loro insieme si sono trovati in una situazione inedita in cui (nonostante se stessi?) la convergenza popolare, tanto evocata da più di due anni, è stata messa in atto spontaneamente.
Un ennesimo cortege de tete? No! Dei militanti sindacali inquadrati nei loro spezzoni dietro? Nemmeno!
Dei cortège de tête, e un bellissimo patchwork totalmente inatteso di manifestanti, che come delle api, si sono organizzati spontaneamente per stare insieme nei momenti duri della manif e in quelli più calmi, nella parte anteriore del corteo, in mezzo o in fondo. Un corteo che si è dimostrato solidale e che non ha commesso alcun errore fino alla conclusione della manifestazione di questa giornata che rimarrà memorabile.
I tentativi del governo di fermare il movimento non sono certamente nuovi, sono iniziati il 1° dicembre, quando la rivolta aveva preso una piega quasi insurrezionale.
L’essenziale è prenderne rapidamente coscienza (spesso dopo una notte di riflessione sugli eventi), perché queste serate di manif, dove tutti hanno dato tutta la loro forza in nome di questa lotta stupenda, spesso portano a momenti di malinconia: cosa c’è di più umano o naturale?
Il “furore” non si spegne, e tutto è possibile grazie a questo incredibile slancio. La forza dell’azione di gruppo può quindi sconfiggere le forze repressive.
Questione di tempo? Il seguito ai prossimi episodi…
La foto di copertina e quelle interne sono di Martin Bé
Testo pubblicato in francese sul sito Cerveaux non Disponibles
Traduzione italiana a cura di DINAMOpress
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“Ciao Francia!”: una chiamata ai cittadini francesi d’Italia
La situazione in Francia e le preoccupazioni dovute alle risposte sempre più autoritarie del governo ha spinto alcuni francesi residenti in Italia a lanciare questo appello: «in occasione dell’inaugurazione della mostra Ciao Italia, dichiariamo il nostro rifiuto del “Ciao Francia” proposto dal governo Macron»
Il fossato tra il popolo francese e il suo governo ha preso una dimensione abissale negli ultimi mesi. Allo stesso tempo si è diffusa una coscienza popolare della coesistenza di due corpi estranei uno all’altro nello stesso paese: uno dei due è costituito da un’élite deterritorializzata, simbolizzata dalla figura del presidente Macron.
Mentre i motivi di preoccupazione crescono ogni giorno in Francia, il silenzio dei francesi e delle francesi all’estero rischia di raddoppiare questo “Ciao Francia” lanciato al popolo dalla classe dirigente nel paese. Le reazioni dei cittadini francesi all’estero sono state finora minime: da segnalare, i raduni di Atene e New York a dicembre. I francesi d’Italia, che l’espatrio può – comprensibilmente – mettere a distanza o in disparte della situazione metropolitana, sono chiamati, ognuno, a interessarsi della sorte fatta ai loro compatrioti. Sono chiamati a rifiutare l’indifferenza e a non accettare questo “Ciao Francia”.
Un punto sulla situazione in Francia
Il richiamo di alcuni fatti recenti dovrebbe bastare a far rigettare l’indifferenza di fronte al irrigidimento continuo della politica repressiva condotta attualmente contro il movimento dei Gilets Jaunes. Con questa politica, è lo Stato di diritto ad essere minacciato.
- l’accrescimento esponenziale dell’integrazione di misure di emergenza nel diritto comune, nella continuità delle diverse legislazioni “anti-terrorismo” precedenti. Ultimo episodio in data, la legge “anti-casseurs” porta una serie di restrizioni al diritto di manifestare, tra cui il divieto o la penalizzazione della dissimulazione del viso – usata dai partecipanti principalmente per proteggersi dai gas lacrimogeni.
- la persistenza dei metodi di intimidazione e la moltiplicazione degli annunci bellicosi. L’esecutivo non esita più oramai a minacciare (e mettere in atto) di ricorrere alle forze armate («Sentinelle»), di rinforzare l’arsenale (gas incapacitante, marcatore chimico che lascia delle tracce durevoli sulla pelle e i vestiti, spiegamento di carabine di precisione e della cavalleria blindata, ) e ad ammettere pubblicamente l’eventualità di morti che bisognerà assumersi. Ne risulta un ricorso alle forze armate senza precedenti in Francia metropolitana dai grandi scioperi del 1947-1948.
- ostacoli inquietanti al diritto di manifestare e la moltiplicazione degli arresti arbitrari: sui 8400 fermi attuati dall’inizio del movimento dei Gilets Jaunes, a novembre 2018, numerosi sono stati messi in custodia (garde à vue) prima delle manifestazioni e senza capo d’accusa.
- gravi ostacoli alla libertà di stampa, che hanno impedito ai giornalisti di fare il loro lavoro. Numerosi casi di ferite sugli addetti alla stampa inflitte dalle forze dell’ordine sono state segnalati e alcuni professionisti hanno informato il pubblico dei rischi della legge «anti-casseurs».
Il costo umano della risposta repressiva
L’ostinazione del governo nel rispondere con la forza della polizia al problema politico, denunciato anche da diversi sindacati di polizia come France Police – policiers en colère e Vigi – Ministère de l’intérieur, porta ogni settimana a un bilancio umano più drammatico. Tuttavia, i rappresentanti politici e la stampa persistono nella denuncia ampiamente asimmetrica delle violenze.
A giorno d’oggi uno dei conteggi realizzati dichiara 567 segnalazioni di vittime del «mantenimento del ordine», tra cui 1 persona uccisa da una bomboletta di gas lacrimogeno, 5 persone con la mano strappata da granate GLI F4, 22 persone che hanno perso l’occhio per colpa di proiettili di fucili LBD (fucile sparatore di proiettili di gomma) o di granate stinger, 1 persona che ha perso definitivamente l’udito in seguito a la deflagrazione di una granata e 227 feriti alla testa. Queste cifre allarmanti, alle quali dobbiamo aggiungere le 11 persone morte in incidenti legati alle mobilitazioni, e 18 suicidi nella polizia nazionale, non possono lasciare indifferenti… tanto più che questa politica repressiva è stata condannata da diverse organi, tra cui il Parlamento europeo, Amnesty International, la Ligue des Droits de l’Homme, l’Alto Commissariato delle Nazione Unite per i diritti umani (Michelle Bachelet, ex-presidente del Cile), un collettivo di 350 universitari/accademici, un insieme di 53 organizzazioni della società civile e, non senza ironia, da… i signori Erdogan e Salvini.
Le autorità francese persistono a non riconoscere ufficialmente l’uso eccessivo e illegale delle forze del ordine: il presidente considera che «repressione, violenze poliziesche, queste parole sono inaccettabile in uno Stato di diritto» (7 marzo 2019 a Gréoux-les-Bains), mentre sono queste cose, e non queste parole, che dovrebbero essere giudicate inaccettabili.
La responsabilità dei francesi d’Italia
Anche i francesi in Italia hanno una loro responsabilità. Qua, in Italia, la percezione locale della situazione francese oscilla tra:
- un semplice ricalco delle versioni diffuse dal governo francese e amplificate dai grandi media, che mette sistematicamente in rilievo i danni e gli atti di violenza. Non è raro vedere qui, in Italia, il movimento dei gilets jaunes essere sospettato di confusione, di tendenze rosso-brune;
- e un impadronirsi da parte di formazioni populiste, che danno luogo ad un effimero tentativo dei gilets jaunes italiani e, soprattutto, a una sfilza di manovre di comunicazione da parte del governo italiano.
Questi due poli della recezione italiana dell’attualità francese devono spingere i francesi residenti in Italia a farsi sentire. Innanzitutto, perché non valga di nuovo il vecchio detto secondo il quale chi tace acconsente, mentre la negazione e l’omissione sono un mezzo che utilizza spesso la retorica del esecutivo francese.
La fuga sistematica e il silenzio testardo sono diventati arme politiche nuove, di cui la misteriosa efficienza inviterà, ormai, ad usarne e abusarne. (Sandra Laugier & Albert Ogien)
Questo testo, è stato inviato alla redazione di DINAMOpress, è scritto da francesi che vivono e lavorano a Roma. (citoyens.francais.italie@protonmail.com).
I dati sulla repressione della polizia francese riportati nel testo, non sono aggiornati alle ultime giornate di mobilitazione, all’Atto XXIII, XXIV e al Primo Maggio, nel quale a Parigi è stato messo in opera il nuovo dispositivo repressivo “mobile” del nuovo prefetto Lallement.