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La lezione di Fabio Vettorel dal carcere di Amburgo

freefedePubblichiamo il pensiero di Federico Annibale che nel 2015 visse un’esperienza simile a quella di Fabio Vettorel. Dopo essere stato arrestato per gli scontri a Francoforte, durante la manifestazione contro la Banca Centrale Europea, Federico rimase in carcere per 3 mesi. Recentemente ha comunicato con Fabio, oggi ancora in carcere dopo le manifestazioni di Amburgo della scorsa estate, con uno scambio di lettere.

Quando ho finito di leggere la dichiarazione di Fabio Vettorel ho controllato bene la schermata, ricontrollato il testo. All’inizio ho avuto difficoltà nel capire se tutto quel coraggio manifestato da questo ragazzo di diciotto anni, fosse vero. Poi, dopo aver realizzato ed essermi emozionato di fronte a quel fiume di parole possente, ho pensato che fosse arrivato il momento di ragionare su cosa Fabio ci avesse voluto dire attraverso quella dichiarazione rilasciata di fronte ai giudici.

Caro Fabio, mi prenderò la libertà di chiamarti fratello.

Non nego di invidiarti un po’.

Invidio il tuo coraggio, non per aver preso parte ad una manifestazione, la protesta contro la farsa del G20, né aver dimostrato in strada il tuo dissenso, quanto per aver continuato a lottare, con le parole, di fronte a chi era lì a definirti “aggressivo criminale” e “irrispettoso della dignità umana”.

Io, caro fratello, non ho avuto il tuo stesso coraggio. Dopo aver combattuto nelle strade, la paura delle sbarre, la sofferenza dei nostri cari, non mi ha permesso di fare quell’incredibile j’accuse che tu gli hai “sparato” in faccia. Un proiettile ideologico che sicuramente si è andato a sfracellare nel cuore di chi vuole crederti criminale.

Ma tu non ti curi dei loro appellativi, no? Non sei interessato al loro giudizio, fratello.
E glielo hai detto lì. Non come altri dietro una tastiera o dentro un grande corteo. Tu eri lì, SOLO.

A noi che siamo fuori, e forse abbiamo il privilegio di respirare libertà, ci stai dicendo che il dissenso non verrà fermato con l’arresto di “qualche ragazzetto”. Ci stai dicendo che il tuo arresto per noi deve essere spinta e non tristezza. Noi dobbiamo raccogliere questi incitamenti. Perché hai ragione: di fronte ad arresti e repressione i movimenti dovrebbero intensificare la propria azione, coalizzarsi e prendere forza.

Strategicamente questa dichiarazione non volgerà a tuo vantaggio, lo sapevi. Ma qui sta il tuo grande coraggio. Non hai abbassato il capo, e gli hai spiegato perché un diciottenne operaio del nord Italia è andato ad Amburgo, perché ha partecipato alla “rivolta”. Se al potere oppressivo che ci incarcera non diciamo chiaramente che per noi aver partecipato a quella manifestazione era giusto, che la natura elitaria, oppressiva, razzista del G20 non può passare impunita per le strade delle città che di volta in volta invade, allora rinunceremmo ogni volta alla nostra dignità di “uomini politici”.

Hai detto ai signori giudici che i veri criminali sono coloro che fanno macelleria sociale, che utilizzano la geopolitica come fosse un Risiko in cui due nazioni posseggono tutti i carrarmatini, e che LORO sì andrebbero giudicati.

Me lo ricordo come rimbombavano le mie dichiarazioni al processo. Ricordo quanto ogni parola pesasse sulla coscienza di tutti, ed intimamente risuonasse. E allora penso a quanto le tue di parole, una volta tradotte in tedesco, abbiano risuonato con irruenza.
Avrei voluto essere lì ed inorgoglirmi di queste tue parole. Non per puro estetismo, ma per ricordarci che dobbiamo lottare, ognuno con i propri metodi.

Ora tu sei in carcere e ancora non sappiamo bene quanto ci rimarrai. Sappiamo, però, che i signori giudici provano ad accusarti di crimini gravissimi così da permettersi una condanna a più di 2 anni e farti così rimanere in prigione. Credo che non ci riusciranno. Tuttavia, a prescindere da ciò, tu sarai forte, prima o poi uscirai e tornerai nelle strade, da fantastico utopista che crede in un mondo migliore.

Fratello, chiudo questo mio pensiero parlandoti di un anarchico francese, la cui storia e il cui j’accuse alle autorità alla fine dell’Ottocento mi hanno lontanamente ricordato il tuo discorso.

Clement Duval è stato un anarchico transalpino, con una vita personale molto difficile. La povertà era la sua costante compagna di vita. Fu arruolato giovane per la guerra franco-prussiana, dalla quale uscì malconcio e con forti reumatismi che non lo avrebbero lasciato in pace per il resto della sua vita. Tornato dalla guerra perse figlio, moglie e lavoro. I reumatismi gli impedirono di lavorare come operaio, e venne puntualmente licenziato al primo soggiorno forzato in ospedale.

A questo punto, consapevole dello sfruttamento del sistema capitalista a cui era sottoposto, dell’essere stato usato in guerra come una pezza e poi buttato nelle periferie parigine, e del non riuscire a vivere con dignità fra le maglie del sistema, non ci stette più. Iniziò ad attaccare i simboli del capitalismo: incendiò imprese, fabbriche, case dei ricchi signori di Parigi, organizzò picchetti di fronte alle industrie.

Poi lo Stato lo prese, lo giudicò e lo condannò a morte. Venne però graziatoe condannato a passare il resto della sua vita sulle isole della Guyana, in Sud America: l’incubo di qualunque anarchico e prigioniero politico. La pena di morte sarebbe stata di gran lunga più aggraziata di quelle piccole isole dove la malaria era ben più diffusa della presenza umana e dove nemmeno i secondini volevano essere spediti. Rimase lì parecchi anni, fin quando, nel 1901, riuscì a fuggire e finire la sua vita negli Usa.

Ho citato Duval perché quello che lui ha detto di fronte ai giudici pronti a mandarlo alla forca è sintomo di un coraggio portentoso.

…”Non ritengo assurdo ne’ utopico che dalle nostre menti, dai nostri cuori e dalle nostre braccia possa scaturire un mondo migliore, dove libertà e benessere siano il frutto dell’eguaglianza e dell’armonia, in una società che bandisca lo sfruttamento e persegua le regole della solidarietà e della reciprocità, in nome del rispetto della vita umana che voi, difendendo i più sordidi interessi delle classi privilegiate, soffocate con leggi che insegnano e propagano il disprezzo e la sopraffazione”.

Forza fratello!

Federico