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La lotta condivisa è Alta Felicità

L’arrivo del corteo a San Didero con gli anziani nel ruolo di angeli custodi. Ma la resistenza non è finita, è qui, in questi giovani che si riavviano alla stazione di Bruzolo, al treno pendolare che li riporterà verso il campeggio, stanchi e felici perché la lotta condivisa è Alta Felicità.

di Nicoletta Dosio

Questo Festival dell’Alta Felicità è davvero felice. Dal palco dell’Arena all’ultimo gazebo vive un mondo dove politica, cultura, cibo ottimo e a prezzi modici si incontrano, senza primogeniture né finzioni.

E’ la felicità di partecipare e, in fondo, anche un ironico sberleffo a quei poteri che con ogni tipo di intimidazione, hanno cercato di impedire l’evento emettendo divieti su divieti, fino all’intimidazione aperta per presunte passate irregolarità, attraverso l’avviso di garanzia arrivato al Sindaco, proprio alla vigilia della festa, tentando il blocco dell’ultima ora.

L’ organizzazione è perfetta e risponde ai bisogni di tutti, ragazzi e ragazze, famiglie, anziani, viaggiatori solitari, tante realtà venute da lontano per vedere e raccontare.

Qui c’è davvero il mondo, un internazionalismo vario e colorato determinato a confrontarsi, raccontare e riportare nelle proprie realtà i semi di una lotta che deve diventare comune o sarà sopraffatta.

Intorno al cuore del festival – i grandi spazi per i dibattiti, l’arena per i concerti serali, le bancarelle di cibo, bevande, prodotti locali e, non ultimi, i libri, i gazebo delle associazioni solidali – è nato il campeggio, migliaia di tende, tendoni, tavoloni, tavolini, amache, sdrai, giochi dei bimbi. Gli spazi che hanno conosciuto la repressione e la riscossa del dicembre 2005, ora, lindi per la recente fienagione, accolgono questa varia, festante umanità.

Alla tradizionale passeggiata ai cantieri non si rinuncia: la domenica pomeriggio il campeggio scende in massa a San Didero, sale in Clarea: tutti vogliono vedere, commentare lo scempio dei cantieri, provare la sana indignazione che si trasforma in battitura alle reti, nella protesta attiva e ironica che plana sul tran tran di un’assolato pomeriggio dove, intanto, si è messo in funzione il tritacarne della repressione.

Dal presidio di San Didero, dove, con ore di anticipo, insieme ad altri anziani, stiamo preparando l’accoglienza, osserviamo i preparativi della macchina da guerra: oltre i cancelli del fortino si stanno schierando le truppe in assetto antisommossa, gli idranti, i blindati. Intanto, dall’esterno arrivano camion carichi di betafens, bracci meccanici, manodopera per installarli.

Dentro e fuori circola la digos, con telecamere e teleobiettivi.

Intanto la statale viene bloccata nei due sensi, come vuole l’ordinanza prefettizia emessa nei giorni scorsi; cessa così l’intenso traffico di una giornata di inizio ferie e, d’improvviso, nell’afa del mezzogiorno, scende un silenzio innaturale.

Anche dentro al fortino, nei piazzali affollati, tutto è immobile, come per un improvviso fermo immagine in un film di guerra.

E in questo vuoto pneumatico, all’improvviso, ci giungono voci; canti, “ i popoli in rivolta … mia nonna partigiana …” Andiamo in strada e li vediamo: sono loro, bandiere, striscioni, musiche di tambuti, di trombe, di fiati e percussioni … Sono ai betafens … li superano … e iniziano la circumnavigazione del cantiere.

C’è un campo di granoturco … lo percorrono in fila indiana, tra filare e filare, per non danneggiare le piantine … sono alle reti, ai cumuli di pietrisco avvelenato degli scavi … Lacrimogeni … tanti … il fumo arriva fino al presidio … Al cancello principale incomincia la battitura … ritmo e canti … Le barriere risuonano in tutta la loro metallica cacofonia … Idranti … lacrimogeni che arrivano fino al presidio … dall’alto piovono lapilli incandescenti … il fumo velenoso investe donne uomini bambini … un principio d’incendio subito neutralizzato sulla roulotte che funge da magazzino viveri …

E in questo delirio si fa avanti il più anziano di noi, ultraottantenne. Porta un innaffiatoio e, come se fosse nel suo orto di casa, si avvia nel piazzale, tra la pioggia velenosa dei lacrimogeni, a spegnerne i fumi velenosi: questo è il movimento notav.

A un certo punto, dal lato basso della statale, avanza un drappello di armati: poliziotti e carabinieri in assetto antisommossa. La manovra sembra preludere all’accerchiamento che precede la mattanza. Donne e anziani si siedono davanti a loro, sull’asfalto; qualcuno intona Bella ciao … Comunicazioni concitate dalla dirigente (è una donna in borghese, dall’aspetto assolutamente comune, se non fosse per il casco in testa e la ricetrasmittente inchiodata all’orecchio).

Provano ad avanzare … cresce la barriera di volti e di voci … Arriva anche l’orchestrina intonando un’allegra marcetta. Ancora fronteggiamento immobile (scruto i volti sotto i caschi, giovani anche loro, impersonali, come di chi esegue e non pensa, … macchine … senza emozioni … ”che passi in fretta questo tempo venduto…”)

Il pomeriggio avanza fra le ultime schermaglie, sulle truppe che si ritirano, sugli idranti ormai vuoti, sui bossoli dei lacrimogeni sparati a centinaia.

Al presidio c’è acqua e ristoro per tutti. Nel piccolo parco – giochi i bambini volano in altalena, salgono e scendono sullo scivolo, qualcuno fa capolino dalla casetta di Giacu di Clarea, il folletto NO TAV imprendibile.

Ormai la sera scende dolcissima dai monti, dalla Cristalliera, dal colle del Vento e dalle Sevine che conobbero la resistenza partigiana …

Ma la resistenza non è finita, è qui, in questi giovani che si riavviano alla stazione di Bruzolo, al treno pendolare che li riporterà verso il campeggio, stanchi e felici perché la lotta condivisa è Alta Felicità.

da pressenza

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