Detenuto di 22 anni si è tolto la vita impiccandosi nella sua cella del carcere Lorusso e Cutugno” di Torino. Era stato arrestato due giorni fa per il furto di un paio di cuffiette bluetooth in un centro commerciale ed era in attesa dell’udienza di convalida. E’ il 72° caso di suicidio in carcere in Italia dall’inizio dell’anno.
di Eleonora Martini
Settantadue. È un numero e allo stesso tempo una moltitudine. In entrambi i casi, una tragedia. Nel freddo ragionamento aritmetico e statistico, ieri con il 72esimo suicidio nelle carceri italiane è stato raggiunto un record non più relativo ma assoluto: mai toccato, almeno dal 1980 ad oggi, secondo i dati ministeriali elaborati dalla redazione di Ristretti orizzonti. Solo nel 2009, a fine anno però, si è raggiunto un pari numero di detenuti suicida. Ma allora, come ha fatto notare il Garante nazionale delle persone private di libertà personale, Mauro Palma, gli istituti penitenziari italiani stipavano 61 mila carcerati (oggi sono 55.300), tanto che nel 2013 la Corte europea dei diritti dell’uomo condannò l’Italia (sentenza Torreggiani) per il sovraffollamento come «trattamento inumano e degradante».
Ma 72 sono anche le storie di vita, di giovani o vecchi, quasi sempre uomini, soprattutto stranieri, sicuramente fragili. Settantadue storie che trascinano nell’abisso della disperazione altre vite, quelle di familiari, amici o anche solo compagni di cella.
Il Settantaduesimo non è un numero, anche se non ne conosciamo ancora il nome. Era nato nel 1986 in Gambia, si è impiccato ieri mattina alle 8 in una cella della sezione «Nuovi giunti» del carcere «le Vallette» di Torino. Era stato arrestato due giorni prima per aver rubato un paio di cuffie bluetooth. Non sappiamo se era solo in Italia, se lascia qualcuno che pianga la sua morte. Sappiamo solo che voleva ascoltare della musica. E non poteva permettersi di comprarle, quelle cuffiette.
Sappiamo però anche che è il terzo detenuto suicida dall’inizio dell’anno nella casa circondariale Lorusso e Cutugno. L’ultimo, Alessandro Gaffoglio, 24 anni, con gravi problemi psichici, si è tolto la vita il 15 agosto. Anche lui era al primo ingresso in carcere, in uno che dovrebbe contenere solo detenuti con condanna passata in giudicato e che invece al momento contiene più di 1400 detenuti su 1039 posti letto, di cui solo 800 con sentenza definitiva. Tre settimane prima si era suicidato Nuammad Khan, pakistano di 38 anni, accusato di aver molestato un gruppo di ragazzine su un treno della tratta Torino-Pinerolo.
«Una volta per il furto di una maglia, questa volta di un paio di cuffiette: questo tipo di arresti da un paio di anni sono diventati un’abitudine molto torinese», riferisce la Garante dei detenuti di Torino, Monica Gallo. Negli ultimi anni, secondo l’organizzazione di magistrati italiani ed europei «Area Democratica per la Giustizia», a Torino si è registrato «un significativo incremento del numero degli arresti». Tendenza che «si è protratta anche nel corso del 2020», nonostante le limitazioni per il lockdown.
Mentre secondo un’analisi effettuata dall’ufficio del Garante territoriale su richiesta del personale penitenziario, dato il «protrarsi della condizione di sovraffollamento ormai divenuto cronico», dal 1° marzo al 31 maggio di quest’anno hanno fatto ingresso alle Vallette 144 persone: 94 stranieri e 50 italiani, solo 12 erano donne. La stragrande maggioranza sono giovani tra i 20 e i 39 anni. Sui 144 arrestati, 4 sono stati liberati dallo stesso Pm, 107 sono stati scarcerati e solo per 33 il giudice ha convalidato nelle successive 48 ore l’arresto in carcere. Anche per il povero ragazzo gambiano che si è impiccato ieri in pieno giorno, in una cella singola – chissà perché – del reparto «Nuovi giunti», giovedì c’era stata l’udienza davanti al Gip ma il giudice si era riservato di decidere sul da farsi.
«Si tenga presente che ogni arresto prevede una lunga serie di azioni – spiega Gallo – l’immatricolazione, la perquisizione e la catalogazione degli oggetti personali dell’arrestato, il rilievo delle impronte digitali, la fotosegnaletica, la visita medica con tampone Covid e psicologica, il colloquio con il funzionario giuridico pedagogico, la registrazione nel sistema informatico Afis, la consegna del kit di primo ingresso… È un notevole carico di lavoro per gli uffici preposti e allo Stato le prime due giornate in carcere costano circa 350 euro a persona. E per la maggior parte dei casi, la convalida dell’arresto non arriva. Tanto tempo e tante risorse laddove, come alle Vallette, ci sono solo 14 educatori. È chiaro – conclude Monica Gallo – che c’è un’insufficienza e un malfunzionamento delle camere di sicurezza». E soprattutto, aggiungiamo noi, un mal interpretato concetto di sicurezza.
Da Torino a Milano: sempre questo venerdì la denuncia del garante dei detenuti del Comune di Milano, Francesco Maisto, che fa sapere come a San Vittore ci siano rinchiuse 900 persone con due reparti chiusi, ma dovrebbero essere meno della metà. I problemi, prosegue il garante, riguardano il numero dei detenuti, e le condizioni della struttura, tra celle non a norma e condizioni igienico sanitarie al limite. “Bisognerebbe creare una situazione di sfollamento parziale” – ha concluso Maisto – e riuscire così a ristrutturare quanto meno le celle che non sono a norma”.
Ai microfoni di Radio Onda d’Urto Valeria Verdolini, dell’associazione Antigone Lombardia. Ascolta o Scarica
da il manifesto