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La notte degli orrori al Kamal Adwan di Gaza

Violenza impressionante contro l’ultimo ospedale del nord. Il dialogo prosegue ma si incaglia sui prigionieri palestinesi. In Libano Israele continua a radere al suolo case e strade, in Siria caccia gli abitanti di Quneitra

di Chiara Cruciati da il manifesto

Hussam Abu Safiya è sfinito. Un mese fa ha seppellito suo figlio nel cortile dell’ospedale di cui è direttore, il Kamal Adwan di Beit Lahiya. È stato arrestato. È costretto a gestire un ospedale sotto assedio totale da due mesi e mezzo e dove non funziona più niente: non ci sono più chirurghi, non ci sono strumentazioni, l’unità di terapia intensiva è fuori uso.

IERI, IN UNO dei tanti video in cui prova – senza successo – a ottenere l’attenzione del mondo, è apparso avvolto nel fumo provocato da un incendio dovuto ai raid israeliani. Indossava una mascherina mentre descriveva i bombardamenti nelle case accanto, venute giù come castelli di carta, con il loro bagaglio di vite umane. Il livello di violenza dispiegato contro l’ultimo ospedale aperto nel nord di Gaza è impressionante, se preso fuori dal contesto: l’intenzione di ripulire l’intera zona di ogni forma di vita palestinese è palese.

Lo è da inizio ottobre, con i rifugi dati alle fiamme, il blocco degli aiuti e la distruzione totale di alcune delle più importanti comunità, da Jabaliya alla stessa Beit Lahiya. Delle 400mila persone presenti fino a due mesi e mezzo fa ne restano a malapena 65mila. Almeno 4mila gli uccisi, ma potrebbero essere molti di più, non si riesce ad arrivare alle macerie e nemmeno ai corpi abbandonati in strada. Ci sono i cecchini che sparano. Ci arrivano i cani: alcuni video li mostrano sbranare dei cadaveri.

VIENE DA CHIEDERSI cosa tenga in piedi il Kamal Adwan e lo spirito di Hussam Abu Safiya. Gira video ogni giorno e non ottiene niente: «Un fuoco impazzito ha preso di mira l’ospedale con ogni tipo di arma. L’occupazione ha deliberatamente colpito terapia intensiva – ha detto ieri – Ora è fuori uso, la situazione è catastrofica. Ci appelliamo al mondo da 75 giorni».

«Una notte dell’orrore», l’ha chiamata Eid Sabbah, a capo degli infermieri in ospedale: i bulldozer israeliani hanno circondato l’edificio, distrutto le strade intorno, mentre i quadricotteri sparavano sull’ospedale. Lì accanto sono stati uccisi otto membri della famiglia Battah.

Video li girava anche Moath al-Kahlout, giornalista di al Jazeera, che ha raccontato per settimane il calvario del Kamal Adwan. Ieri l’esercito israeliano lo ha arrestato a un checkpoint, di lui non si hanno notizie. Lo stesso destino di migliaia di uomini e ragazzi che nel nord di Gaza continuano a sparire, divisi dalle famiglie e portati via, verso le carceri israeliane. Ieri nuovi ordini di evacuazione sono stati emessi dall’esercito israeliano per Bureij nel centro di Gaza, proprio mentre prosegue il dialogo intorno al cessate il fuoco.

Stavolta sembra davvero vicino, anche se permangono distanze a partire dai prigionieri palestinesi che andrebbero liberati nello scambio Hamas-Tel Aviv. Lo ha ribadito ieri il consigliere per la sicurezza nazionale Usa Jake Sullivan, ottimista sulla nuova postura assunta dal premier israeliano Netanyahu, mentre fonti vicine ai mediatori indicano nell’alto profilo di alcuni dei detenuti da liberare la linea rossa insuperabile per Bibi e per la sua faccia di fronte all’opinione pubblica interna (i due veti più duri: Marwan Barghouti di Fatah e Ahmad Saadat del Fronte popolare). Oltre al sì ufficioso alla deportazione dei prigionieri in Qatar o Turchia, data per certa ieri dai mediatori, la vera concessione la sta mettendo sul tavolo Hamas con la rinuncia al ritiro immediato di Israele da Gaza.

NON È POCO, considerati gli obiettivi israeliani, ovvero l’occupazione della zona nord, vuoi per istituire una «zona di sicurezza» come dice ufficialmente il governo, vuoi per ricolonizzare un pezzo di Striscia come chiede (e già sta pianificando) l’ultradestra. Che guarda anche altrove, alla Siria e al Libano. Ieri l’esercito israeliano ha ammesso che «dei civili» sono entrati in territorio libanese due settimane fa per un embrione di insediamento illegale.

Si tratterebbe del gruppo «Settler Movement in Southern Lebanon». Non ci sono riusciti ma il messaggio è chiaro, quanto lo è la devastazione inflitta al sud del Libano dopo l’accordo di cessate il fuoco. Come a Naqoura: i raid aerei continuano e i bulldozer spianano quel che resta di case e infrastrutture, aiutati dall’esplosivo.

Israele prosegue anche nella devastazione della Siria, non solo occupando territorio ma agendo le stesse pratiche usate altrove: a Quneitra, al confine, l’esercito ha costretto intere famiglie a lasciare le proprie case e ha confiscato loro telefoni e documenti d’identità.

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