Cari manettari, finchè vale la Costituzione la pena non è vendetta e il fine è rieducare. La volontà dei Padri Costituenti è chiara, limpida: la pena non è vendetta. Deve tendere alla “rieducazione del condannato”. Si chiami Mario Rossi o Totò Riina.
D’accordo: questo è il Paese dove un noto presentatore se ne esce dicendo che viviamo in un Paese a democrazia ridotta perché sono anni e anni che il presidente del Consiglio non viene eletto dal popolo. Accade anche che un parlamentare, e il gia’ citato conduttore definiscano “imperatore” il console Quinto Fabio Massimo, detto “Il temporeggiatore”. Capita. Scagli pure la prima pietra chi non ha sillabato, in vita sua, una qualche castroneria.
Dunque, l’indulgenza, è d’obbligo; e con tutti. Anche se a volte comporta una certa fatica. È il caso della recente sentenza della Corte costituzionale a proposito dell’ergastolo ostativo. A questo punto, senza scomodare i poderosi manuali di un Costantino Mortati, basta leggere la Costituzione, che ha sicuramente un pregio: quella di essere scritta in un italiano cristallino, comprensibile anche a un illetterato. Si vada all’articolo 134: “La Corte costituzionale giudica sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni”. Chiaro, limpido: se si sospetta che una legge sia in contrasto con la Costituzione, la Corte Costituzionale, composta da magistrati e giuristi a composizione mista, valuta e stabilisce se il contrasto vi sia o no. Nel caso dell’ergastolo ostativo, ha stabilito che vi sono delle norme che non si conciliano con la Costituzione; e di conseguenza ha emesso una sentenza.
Ora nel merito, la cosa può non piacere, ma resta il fatto che, sempre Costituzione alla mano, l’articolo 27 stabilisce: “La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte”.
Anche qui, la volontà dei Padri Costituenti è chiara, limpida: la pena non è vendetta, e non solo punizione o salvaguardia della collettività. Deve tendere alla “rieducazione del condannato”. Si chiami Mario Rossi o Totò Riina. E, sempre le pene, devono essere conformi al senso di umanità. Dunque, l’ergastolo, cioè lo stabilire a priori che si è irrecuperabili, è contrario allo spirito e alla lettera della Costituzione; e parimenti contrario qualsivoglia trattamento che non sia conforme al senso di umanità. La cosa può non piacere, e in questo caso la via maestra è semplice: proporre un cambiamento della norma costituzionale. Ma fin quando c’è, la si deve osservare. Questo ha ribadito la Corte Costituzionale, nient’altro. Sentenza che non è per nulla piaciuta a un fresco componente del Consiglio Superiore della Magistratura: un magistrato che con alterne fortune si è impegnato nel fronte antimafia, ha fatto parte della Direzione Nazionale Antimafia e per troppa loquacità ( ma forse qualche altra ragione più profonda e sostanziale) da quell’ufficio è stato rimosso. Ha idee ben radicate, questo magistrato, e le ha esposte in varie pubblicazioni, anche se non sempre i fatti sembrano avergli dato ragione. Ad ogni modo, una certa coerenza gli va riconosciuta, indubbiamente. Proprio per questo, sorprende alquanto una sua presa di posizione rispetto alla sentenza della Corte costituzionale: “Si apre un varco potenzialmente pericoloso, ponendo fine all’automatismo che caratterizza l’ergastolo ostativo”.
Forse dovrebbe nutrire maggior fiducia nei confronti dei suoi colleghi che saranno di volta in volta chiamati a decidere e valutare. Ma tant’è. Certo: se non ha fiducia lui nei suoi colleghi… Si aggiunge che si deve “che si concretizzi uno degli obiettivi principali che la mafia stragista intendeva raggiungere con gli attentati degli anni ’ 92-’ 94?. E qui, se si fosse un giudice costituzionale si avrebbe un moto di irritazione e stizza, per adombrare che si realizza, con una sentenza che si richiama alla Costituzione vigente, quello che la mafia stragista perseguiva.
Ma il bello, cioè il brutto viene dopo: quando si invoca di fatto un intervento del Parlamento: “la politica sappia prontamente reagire e approvi le modifiche normative necessarie ad evitare che le porte del carcere si aprano indiscriminatamente ai mafiosi e ai terroristi condannati all’ergastolo”.
A parte la manifesta infondatezza delle “porte del carcere” aperte indiscriminatamente, in sostanza succede questo: il neo- componente del Csm che per tutta la vita ha tuonato contro l’interferenza della politica, per ‘ l’indipendenza della magistratura’, e la difesa della Costituzione, ora si augura che la politica intervenga e ‘ sani’ presunti vulnus che la Corte Costituzionale avrebbe inferto richiamandosi ai dettami costituzionali…
Questa si, per citare una definizione del segretario del Pd Nicola Zingaretti, è una bella stravaganza. Solo che per Zingaretti la stravaganza è la sentenza. Che dire? Un giudizio perlomeno stravagante…
Valter Vecellio
da il dubbio