Il sostituto procuratore generale di Milano dice no all’estradizione di Gabriele Marchesi in Ungheria. La Corte d’Appello di Milano deciderà il 12 dicembre.
di Mario Di Vito da il manifesto
Il sostituto procuratore generale di Milano Cuno Tarfusser dice no all’estradizione di Gabriele Marchesi in Ungheria: la richiesta di Budapest violerebbe il principio di proporzionalità della pena. Il giovane, infatti, rischia fino a 16 anni di carcere per l’aggressione di due neonazisti nel febbraio scorso, durante gli scontri del «Giorno dell’onore», appuntamento durante il quale gruppi di estrema destra di tutta l’Europa si radunano in Ungheria per celebrare la memoria di un battaglione delle SS ucciso dall’Armata Rossa durante la seconda guerra mondiale.
Per Tarfusser, inoltre, ha parlato del sapore decisamente politico dell’indagine ungherese e ha chiesto anche di approfondire le condizioni di detenzione in Ungheria, anche sulla scorta della memoria presentata ai giudici della Corte d’Appello dagli avvocati di Marchesi, Eugenio Losco e Mauro Straini. Si tratta di una lettera di diciotto pagine firmata da Ilaria Salis, in carcere a Budapest da dieci mesi. La donna racconta di come lì i detenuti vengano tenuti «al guinzaglio», obbligati a stare rivolto verso il muro quando sono fuori dalle loro celle invase da «cimici, scarafaggi e topi».
Una situazione peraltro nota perché segnalata in diversi rapporti del dipartimento di Stato Usa, di Amnesty International, della Commissione Helsinki per i diritti umani, oltre ad essere stata oggetto di sentenze sfavorevoli della Cedu. La Corte d’appello di Milano si è riservata di decidere sul caso di Marchesi e il pronunciamento è atteso per il 12 dicembre. Gli avvocati Losco e Straini, oltre ad aver sollevato le loro obiezioni sulla situazione penitenziaria ungherese, contestano anche il merito delle accuse.
Dalla non provata appartenenza di Marchesi alla Hammerbande (organizzazione tedesca che si propone di «attaccare e assaltare militanti fascisti o di ideologia nazista») alle lesioni aggravate con «atti potenzialmente idonei a provocare la morte», formula ritenuta eccessiva dal momento che i referti medici parlano di ferite guaribili in otto giorni. In Italia, per casi del genere, si procede solo dietro denuncia e il massimo della pena è fissato a 4 anni. Il mandato d’arresto europeo spiccato lo scorso 21 novembre, in questo quadro, è «uno strumento troppo invasivo» rispetto alla finalità dell’indagine, visto che, all’occorrenza, si potrebbe procedere con un’interrogatorio in videocollegamento oppure con un ordine di investigazione europeo.
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