La Procura di Torino chiede la sorveglianza speciale… per chi ha lottato contro l’ISIS
- gennaio 09, 2019
- in misure cautelari, misure repressive
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Il 3 gennaio fa la Procura di Torino ha notificato una richiesta di sorveglianza speciale – con divieto di dimora a Torino – per «pericolosità sociale» nei confronti di cinque attiviste e attivisti dei movimenti cittadini. L’udienza si terrà il 23 gennaio.
Tre di questi «socialmente pericolosi» li conosciamo di persona, e almeno uno lo conosce anche chi segue Giap e le attività della Wu Ming Foundation: Davide Grasso, autore dei libri Hevalen. Perchè sono andato a combattere l’ISIS in Siria – uscito nella collana Quinto Tipo diretta da Wu Ming 1 per le Edizioni Alegre – e Il fiore del deserto. La rivoluzione delle donne e delle comuni tra l’Iraq e la Siria del Nord – uscito da poco per Agenzia X.
La copertina di Hevalen – lo apprendiamo direttamente da Davide, che ha scritto un primo commento qui – è inclusa nel fascicolo con cui la PM Emanuela Pedrotta – vecchia conoscenza di chi segue la lotta No Tav in Valsusa – accompagna la sua richiesta. Si tratta di una raccolta di «indizi fattuali» sulla pericolosità sociale di Davide e degli altri: Paolo, Eddi, Jack e Jacopo.
La loro “colpa”, infatti, è aver preso parte, in varie modalità, alla rivoluzione in Siria del Nord, ovvero alla lotta dei popoli del Rojava contro l’ISIS.
Cosa significa «sorveglianza speciale»?
Si tratta di una misura che, pur scolpita e cesellata nei vari «Decreti sicurezza» degli ultimi anni, si inserisce nel lignaggio – giuridico e, potremmo dire, spirituale – di analoghe misure presenti nel codice penale fascista. Codice che, lo ricordiamo, nel passaggio all’Italia repubblicana rimase in gran parte intatto.
Per richiedere questa misura non è necessario provare che il soggetto destinatario abbia commesso reati: bastano indizi, da parte della Procura, sulla «pericolosità» delle sue frequentazioni e del suo stile di vita. L’udienza dove si valutano gli indizi si svolge con contraddittorio delle parti ma in camera di consiglio, cioè a porte chiuse.
La sorveglianza speciale è applicata con una di queste tre motivazioni: lotta al traffico di stupefacenti, lotta al crimine organizzato e lotta al terrorismo. Nel caso specifico, è in gioco la terza: aver combattuto contro il terrorismo dell’ISIS sarebbe… terrorismo.
Al sorvegliato speciale di norma vengono ritirati il passaporto e la patente di guida, è revocata qualunque licenza o iscrizione ad albo professionale, e se ne colpisce lo stile di vita tramite un intrico di obblighi – come quello di presentarsi alle autorità di sorveglianza nei giorni stabiliti e ogni qualvolta venga richiesto – e divieti, come quello di incontrare più di tre persone alla volta (cioè non partecipare a riunioni, conferenze, presentazioni di libri, manifestazioni), di frequentare persone che abbiano subito condanne (ad esempio, per aver occupato un centro sociale), di restare fuori casa dopo una certa ora ecc.
A Davide, dunque, verrebbe impedito di presentare i suoi libri e raccontare la sua esperienza in giro per l’Italia, cosa che negli ultimi due anni ha fatto indefessamente. Ma anche gli altri compagni presi di mira hanno tenuto conferenze sul Rojava, partecipato ad assemblee ecc.
Al sorvegliato viene anche consegnato un «libretto» con tutte le prescrizioni che deve osservare. Chi ha letto memorie e testimonianze del confino fascista non può non pensare al famigerato «libretto rosso» che veniva consegnato agli antifascisti nelle colonie di Ponza e Ventotene.
Questo giro di vite sta cogliendo di sorpresa molti, ma non noi.
I cinque «soggetti destinatari» sono anche storici militanti del movimento No Tav. Chi conosce le vicende della Val di Susa ha ben presente l’attivismo anti-movimenti della Procura di Torino, guidata prima da Gian Carlo Caselli poi da Armando Spataro. Attivismo concretizzatosi in un vero e proprio carnevale – inteso come mondo alla rovescia – di restrizioni alla libertà personale nei confronti dei No Tav e degli attivisti di altre lotte collegate.
Quel carnevale l’ha raccontato nei dettagli Wu Ming 1 nel suo libro Un viaggio che non promettiamo breve (Einaudi, 2016). La sua ricostruzione non è mai stata smentita e – nonostante il libro sia stato letto con spasmodica attenzione, riga per riga, da svariati studi legali della Torino-bene (ne abbiamo le testimonianze) – non è mai stata oggetto di querele o cause civili.
Nel corso degli anni, il cosiddetto «pool anti-NoTav» voluto da Caselli ha costruito magniloquenti impianti accusatori, il più delle volte smontati e smentiti dalla Cassazione. Quest’ultima ha rimandato più volte al mittente il teorema che voleva assimilare la lotta No Tav al «terrorismo».
La Procura di Torino ha anche tentato di imporre nella prassi vere e proprie forzature giuridiche, come un’estensione del cosiddetto «concorso morale». Esperimento fallito, ancora una volta, grazie alla Cassazione (qui la recente sentenza, qui un commento di notav.info).
La Procura ha anche tentato di imboccare la “via economica” alla repressione, con maxi-richieste di risarcimenti danni, ma pure quella è fallita, grazie alla solidarietà che circonda la lotta No Tav.
A quel punto è partito un vero e proprio spettacolo pirotecnico di misure cautelari quali divieti di dimora, obblighi di dimora, arresti domiciliari… A tutto ciò si è risposto con la disobbedienza civile, incarnata in primis dalla figura di Nicoletta Dosio (ne ha parlato Wu Ming 1 qui).
Il nome del magistrato che ha richiesto la sorveglianza speciale, Emanuela Pedrotta, è uno dei più ricorrenti in questa storia. Insieme ai più famosi Andrea Padalino – che negli ultimi tempi ha avuto qualche inconveniente sul lavoro – e Antonio Rinaudo – qui una sua interessante biografia aggiornata al 2014 – Pedrotta è stata sempre in prima linea nella lotta ai presunti «sovversivi». Basti vedere la frequenza con cui hanno dovuto occuparsi di lei siti come Infoaut e notav.info.
Quella di colpire attiviste e attivisti con misure che ne ledono la libertà di movimento – che vanno da quelle già menzionate fino al «DASPO urbano» introdotto dal Decreto Minniti – è una strategia nazionale. Ha trovato un’applicazione più intensa in Valsusa, ma ci sono esempi ovunque. Per un’analisi di questa strategia, rimandiamo al recente opuscolo Sorveglianza speciale e misure preventive (pdf qui). La situazione, però, rende necessario un supplemento di riflessione, e rende più che mai attuale sondare il parallelismo storico che in molti abbiamo fatto: quello con il confino fascista.
Nel caso specifico, c’è un ulteriore aspetto, un salto di qualità che per fortuna non sta sfuggendo agli osservatori: si prende di mira chi ha combattuto o comunque partecipato alla lotta contro l’ISIS.
Ma come, non eravamo tutti contro l’ISIS?
A parole sì, ma nei fatti in questi anni c’è stata una lotta vera contro l’ISIS, e ce n’è stata un’altra, strombazzatissima ma finta. L’hanno messa in scena le nostre destre, gli islamofobi de noantri, che hanno usato l’ISIS solo come spauracchio per colpire i proletari immigrati, militarizzare le città, imporre restrizioni di ogni genere. L’ipocrisia e la farloccaggine della «lotta all’ISIS» condotta dai vari Salvini è stata più volte denunciata da chi l’ISIS lo stava combattendo davvero. Davide Grasso lo ha fatto più volte, nel modo più compiuto in questo video.
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Ma la lotta finta all’ISIS non l’hanno messa in scena solo le destre propriamente dette, e dunque l’ostilità nei confronti di chi ha lottato davvero è un’ostilità bipartisan, espressa anche dalla destra che non si dice tale, il PD. Notevole, in questo senso, il riflesso condizionato di Stefano Esposito non appena giunse notizia che Davide era in Rojava. Ne abbiamo parlato qui.
Non faremo certo una rivelazione sconvolgente dicendo che il PD è di gran lunga il partito più vicino alla Procura di Torino, per le cui incursioni anti-NoTav, anti-occupazioni, anti-anarchici ha sempre fatto un tifo sfegatato.
Ma vorremmo porre la questione anche su un piano più generale, sistemico.
Come potrebbe il partito trasversale del capitale lottare davvero contro Daesh quando, ad esempio, con l’Arabia Saudita – uno dei veri «Stati Islamici», la cui classe dirigente la pensa al 99% come Daesh ed è stata più volte accusata di foraggiare quest’ultimo – le borghesie occidentali fanno ottimi affari? I sauditi comprano le nostre armi, con cui distruggono lo Yemen, e ci regalano pure i Rolex! E come potrebbe il partito trasversale del capitale lottare davvero contro Daesh quando Daesh, come abbiamo visto, serve?
Per non dire dei rapporti tra l’Unione Europea e la Turchia di Erdogan, che ha platealmente usato i jihadisti in funzione «anti-curda».
Dunque non sarà che sotto sotto – ma nemmeno tanto sotto – il potere preferisce l’ISIS ai movimenti sociali, a chi fa la lotta di classe, al sempiterno «spettro del comunismo»? Le vicende geopolitiche e internazionali sembrerebbero testimoniare in tal senso. Proprio in queste settimane la rivoluzione della Siria del Nord viene gradualmente abbandonata al pericolo di un’invasione turca, il che acuisce tutte le contraddizioni già presenti in quello scenario e nei nostri modi di raccontarlo.
Tornando al nostro fronte interno, l’udienza del 23 gennaio è vicina. Invitiamo a far circolare in ogni modo l’informazione su questa vicenda vergognosa, e a esprimere solidarietà attiva, in tutte le forme praticabili, ai cinque «sorvegliandi».
Noi continueremo a seguire questa storia, ospitando un intervento di Davide scritto ad hoc per Giap, e aggiornando – qui e su Twitter – sugli sviluppi della mobilitazione.
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Intervista a Jacopo Bindi sul Manifesto del 5 gennaio 2019.
Audio dell’incontro
«Siria: la rivoluzione delle comuni contro ISIS ed Erdogan»
con Davide Grasso, Jacopo Bindi, Maria Edgarda Marcucci (Eddi).
Introduce Wu Ming 1.
Grazie a Radio Sonar per la registrazione. La musica che si sente all’inizio è: Yellowjackets, Song For Carla (2001).
↑ Ascolta in streaming – 1h18′
oppure ↓
Scarica il file in una cartella zippata.
N.B. Il libro Laboratorio Rojava, edito da Red Star Press e caldamente consigliato da Davide in coda al dibattito, si trova qui.
N.B.2 Sulle origini mistificate, deviate e poi rimosse della rivoluzione siriana contro il regime di Assad, consigliamo il libro di Lorenzo Declich Siria, La rivoluzione rimossa. Dalla rivolta del 2011 alla guerra (Alegre 2017).
da Wu Ming