Tutta l’evoluzione del diritto minorile in Italia, dagli anni Sessanta in poi, è caratterizzato dal tentativo di dare ai minori che commettono reati la possibilità di uscire dal circuito repressivo. Quella che ora si manifesta appare invece una decisa inversione di rotta
di Ignazio Juan Patrone – Già magistrato, del Comitato scientifico di Associazione Antigone
La repressione comincia a 14 anni? Oggi arriva in consiglio dei ministri un provvedimento sul “disagio giovanile”, che intende introdurre nuove disposizioni per contrastare il fenomeno delle baby gang e nuovi provvedimenti in materia di accesso ai siti pornografici. L’esecutivo vorrebbe unire in un unico testo, che si vorrebbe dedicato alle problematiche dei ragazzi, le misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile, e un provvedimento ad hoc per mettere un freno all’abuso del porno online da parte dei minori.
Da quanto si apprende, le modifiche che si vogliono introdurre sarebbero tutte nel senso di aggravamenti – anche molto pesanti – di pena per alcuni reati e di misure restrittive, quali il Daspo urbano anche per i minorenni di 14 anni di età. Le proposte, gravide di minaccia, erano state sia pure confusamente anticipate in interviste ed interventi di vari esponenti del Governo e della maggioranza nei quali si è anche proposto di portare il limite della imputabilità penale sotto i 14 anni. Un limite questo previsto sin dal Codice penale Rocco del 1930 e che si rifà ad un principio minimo di civiltà giuridica.
Tutta l’evoluzione del diritto minorile in Italia, dagli anni Sessanta in poi, è caratterizzato dal tentativo di dare ai minori che commettono reati la possibilità di uscire dal circuito repressivo, nel senso di risocializzazione indicato dall’art. 27 della Costituzione. Quella che ora si manifesta appare invece una decisa inversione di rotta in senso marcatamente repressivo.
In particolare l’introduzione di un Daspo specifico per i minori quattordicenni appare misura amministrativa ma di chiara impronta punitiva e senza che le esigenze del minore, di ogni minore, specie se deprivato dei minimi diritti, vengano prese in considerazione.
Già la disciplina del Daspo vigente per i maggiorenni, pur se “salvata” dalla Corte costituzionale, dà adito a molti dubbi di legittimità, stante l’affidamento ad autorità amministrative di penetranti poteri limitativi di libertà costituzionali. Ma prevedere tali poteri anche nei confronti dei minorenni quattordicenni, soggetti alla potestà dei genitori, privi di capacità di agire per la legge civile ed amministrativa, sembra davvero troppo.
Modificare tanto radicalmente un ordinamento, quale quello penale minorile, sulla sola base della emozione creata da delitti certamente gravissimi, ma senza alcun dibattito e confronto sui dati reali della delinquenza giovanile, appare operazione di facciata e pericolosa.
Vogliamo sperare che queste proposte tali rimangano e non si traducano in nuove disposizioni legislative. Inasprire le pene non serve a nulla così come a nulla servirebbe diminuire l’età della imputabilità penale. La violenza oggi in prima pagina è il frutto di decenni di abbandono della scuola, del sostegno sociosanitario, della vivibilità dei quartieri. Questi sono i problemi e qui occorre iniziare a lavorare, senza tintinnio di manette.
Invece contro l’abbandono scolastico si pensa ad un ridicolo aumento delle pene per i genitori, per lo sport a Caivano si pensa ad un centro sportivo gestito dalle Fiamme Oro, cioè dalla Polizia.
Salvo errore, il Ministro della giustizia che si definiva un garantista per ora tace su queste misure liberticide e disumane e il suo interesse sembra concentrarsi sulla abolizione dell’abuso di ufficio e sulla separazione delle carriere dei magistrati.
I casi allora sono due: o garantista Nordio non è mai stato, o il suo peso nel Governo è ben poca cosa.
da il manifesto
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