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La repressione secondo il Partito Democratico

Da settimane e mesi ci sentiamo ripetere con martellante insistenza da leader politici, amministratori e opinionisti vari, quasi tutti di area Pd, che la legalità e la sicurezza “non sono né di destra né di sinistra”. E’ una verità banale che nasconde una bugia sostanziale. Gli obiettivi indicati con la formula “legalità e sicurezza” non sono, effettivamente, né di destra né di sinistra. Gli strumenti con cui questi obiettivi si perseguono invece sì, e anzi la differenza tra le politiche della sicurezza è uno dei principali discrimini politici e culturali tra destra e sinistra.Per la destra la repressione è, se non l’unico, certamente il primo e principale tra i mezzi utili per contrastare l’illegalità e garantire sicurezza ai cittadini. Per la sinistra la repressione, pur se ovviamente necessaria, è solo uno dei mezzi con i quali fronteggiare l’illegalità, da dosarsi con saggezza e duttilità a seconda delle circostanze, senza mai perdere di vista il quadro complessivo dei problemi che si affrontano e soprattutto senza mai illudersi che la repressione possa essere di per sé strumento risolutivo. Non si tratta affatto, sia ben chiaro, di ragionamenti eterei da anime belle e tanto meno di applicare una doppia morale severa con i privilegiati e lassista con tutti gli altri. Si tratta appunto di valutare i problemi nella loro totalità e complessità per affrontarli nella maniera insieme più giusta, nella sostanza oltre che nella forma, e più efficace. Ideologici, e anzi fideisti, sono i sedicenti pragmatici, che seguono il dogma della repressione impermeabili all’esperienza e alle frequenti smentite della realtà. La favola della “sicurezza né di destra né di sinistra” è infatti messa in campo al solo scopo di giustificare l’adozione, da parte del Pd, di una politica compiutamente di destra, la famosa “tolleranza zero”. Chi non la accetta può essere solo un inguaribile sognatore o, peggio, un tardo esempio dell’inguaribile tendenza comunista alla “doppia morale”. In entrambi i casi uno che si disinteressa della sicurezza, e che di fatto la contrasta, essendo la “tolleranza zero” l’unica politica valida per ripristinare e garantire legalità. Derivano da qui le sempre più frequenti citazioni dei metodi miracolosi adoperati a New York dall’ex sindaco Rudolph Giuliani, tra le quali spicca quella del ministro degli Interni Giuliano Amato.In realtà la “tolleranza zero”, anche ammesso che la si possa trasferire in una realtà profondamente diversa da quella statunitense quale quella italiana, non è né l’unica né la più efficace politica della sicurezza. E’ solo quella che risponde meglio e prima alle richieste di una parte dell’opinione pubblica, e certo non la migliore, offrendole una illusione di sicurezza che non corrisponde però alla realtà. A New York e, come segnalava ieri “il manifesto”, ancora prima nel New Jersey la tolleranza zero è stata un fallimento, su tutti i fronti tranne quello della propaganda. Nella migliore delle ipotesi si è limitata a esportare microcriminalità e accattonaggio fuori dai confini di Manhattan.Faccio alcuni esempi. Agli inizi degli anni ’80 la situazione nelle carceri italiane era disastrosa da tutti i punti di vista, con un livello di violenza estremo. Il dogma della “tolleranza zero” avrebbe richiesto un durissimo intervento repressivo, che in realtà ci fu ma raggiunse solo il risultato di peggiorare ulteriormente la situazione. A risolvere il problema fu una politica di segno opposto, l’introduzione cioè delle misure alternative alla detenzione, pur con tutti i limiti dovuti alla forte discrezionalità con le quali le misure premiali vengono applicate. Una bestemmia per i credenti della “tolleranza zero”.Per contrastare la microcriminalità legata allo spaccio di stupefacenti, intelligenti politiche antiproibizioniste, diffusione di misure alternative alla detenzione e lotta durissima alle centrali internazionali dello spaccio sarebbero senz’altro più efficaci, pur se meno scenografiche, delle crociate inutilmente in corso da anni contro la microcriminalità. E la creazione di un centro sociale all’interno di un edificio occupato, sarà pure un gesto illegale ma offre a migliaia di giovani un’alternativa alla disperazione, all’isolamento e alla criminalità. In ultima analisi contribuisce a garantire una maggiore e non minore sicurezza. La “tolleranza zero” non garantisce i risultati promessi, e spesso anzi li allontana. In compenso produce guasti in quantità: dall’impennata delle brutalità poliziesche più o meno gratuite alla degenerazione in una sorta di “guerra contro i poveri” sino a un imbarbarimento complessivo della civiltà giuridica, della capacità di convivenza e della cultura complessiva di un paese.Al quale, del resto, stiamo già assistendo e non solo per responsabilità della destra ma anche, e ultimamente soprattutto, del principale partito del centrosinistra.
Giovanni Russo Spena