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La sicurezza come arma di repressione

Nell’Europa dei capitali e dell’Euro la nozione di sicurezza è stata spogliata di ogni caratteristica sociale ed economica e totalmente assoggettata a logiche sicuritarie repressive. È sempre più urgente mobilitarsi contro un modello sociale nel quale gli spazi di libertà e di democrazia si riducono sempre di più.

di Gianclaudio Vianzone da Futura Società

Rivedere un film già visto a volte annoia, ma in taluni casi può destare qualche preoccupazione. Il mutamento socioeconomico, dal secolo scorso ad oggi ha visto sostanzialmente il rafforzamento del potere dei capitalisti sui salariati, ristretto gli spazi di libertà e di democrazia, oltre a favorire campagne ideologiche antistoriche determinando così un’autentica regressione non solo sociale, ma anche in ambito etico e umano.

Tale mutamento ha visto l’accelerazione del passaggio dalla società liberale, e in taluni casi socialdemocratica, a quella neoliberista, con l’affermazione del pensiero unico del dio mercato che non ammette obiezioni di sorta, eppure mai come oggi la lettura marxiana del modo di produzione e della società offrirebbe spunti di analisi aggiornate. Ciò che sfugge alla maggior parte della popolazione mondiale è che questo passaggio epocale, attraverso la globalizzazione, ha fatto sintesi di quanto appreso dal secolo precedente per raggiungere gli obiettivi del capitale.

Detta strategia ha così portato a una situazione in cui quanto aveva l’illusoria idea di portare a una società più giusta ed equa di fatto ha posto tale illusione come obbiettivo, causando quello pseudoimborghesimento del proletariato necessario alla pax sociale. Un passaggio che in meno di trent’anni ha portato alla situazione attuale, simile ma non uguale a un secolo fa.

Va da sé che in un crescente bellicismo, alternato alle strategie sanitarie, il neoliberismo ha stretto le maglie di quella “gabbia d’acciaio” di cui parlava anche Max Weber, e in quella strettoia si restaurano così visioni hobbesiane di uno Stato rigido o di uno stato di natura dove tutti sono in lotta tra di loro. Questi processi sono frutto dei processi di ristrutturazione, ma anche delle esigenze di mercato e per assicurare piena libertà di azione ai dominanti non si fanno remore ad attuare dei processi repressivi preventivi.

Tale premessa introduce così l’analisi di una delle diverse sfaccettature che compongono il mosaico attraverso il quale il sistema neoliberista esercita il proprio dominio. Un mosaico che include tutta la sfera del sociale e del passaggio dal pubblico al privato. In ciò, i bisogni espressi attraverso servizi essenziali, come Scuola, Sanità e Sicurezza.

Di questi considereremo la Sicurezza.

Quella materia, secondo l’Europa del 1980, doveva essere di esclusiva competenza dell’ambito civile, proprio per la triste memoria recente del lungo Novecento. Erano anche gli anni in cui l’Italia smilitarizzava la Polizia e che, grazie all’introduzione del servizio “ausiliario” di leva, si introduceva nella Pubblica Sicurezza una moltitudine di giovani di differente sensibilità ideologica che trovarono anche spazio professionalmente espressivo grazie alla sindacalizzazione.

Ma da lì a poco già si fece sentire il cambiamento forte. Negli anni Novanta cambiava la società e cambiavano i sistemi, ma anche l’approccio alle problematiche della sicurezza.

Sull’intero settore pubblico è caduta impietosa la mannaia della spending review che per venti anni ha bloccato gli arruolamenti aprendoli poi in via prioritaria agli ex militari; erano gli anni del nuovo modello di difesa basato su militari non di leva ma professionisti, spianando la strada a un successivo arruolamento, finiti gli anni nell’esercito, nelle forze di polizia.

Le ripercussioni dell’esercito professionale sono state negative vanificando i processi avviati con la Riforma della Polizia negli anni Settanta per poi procedere a passi spediti verso la militarizzazione della società.

Fu proprio Giorgio Napolitano – allora ministro dell’Interno – a far mutare gli alamari sulle uniformi. Cioè, se dalla Riforma gli alamari erano uguali dall’agente al dirigente, con tale iniziativa politica si fecero mettere agli ispettori e ai funzionari alamari di foggia e immagine uguale a quella degli ufficiali dell’Arma, differenziati da quelli degli agenti. Certo, per alcuni potrebbe essere una banale annotazione, ma rappresentò invece uno dei primi segnali con cui si manifestava il cambiamento “culturale” della Polizia riformata; stesso ragionamento vale per il ritorno ai “gradi” che la Riforma aveva ben definito in ben altri termini ossia “qualifiche e ruoli”.

Mentre tutto ciò avveniva, la politica italiana “bi-partisan” procedeva a senso unico e gradualmente le risorse economiche si spostavano dalla Polizia giudiziaria (che si occupa di criminalità comune, organizzata o politica) ai Reparti mobili (che gestiscono l’ordine pubblico). Il tutto nell’indifferenza generale, non tanto dell’utenza, che non veniva neppure informata, quanto della politica e degli amministratori pubblici.

Giunti ai nostri giorni, si può osservare come da un lato sia ripreso l’arruolamento di giovani dalla vita civile, ma contestualmente quello stacco generazionale causato dai vent’anni di spending review così cara al centro-sinistra, abbia reso impossibile trasmettere una professionalità alle nuove generazioni e anche una visione non militare dei ruoli e delle funzioni da svolgere.

Non è casuale che si parli da anni di Polizia europea e nel frattempo con i pensionamenti e i tagli le forze di polizia sono costrette a operare in condizioni di grave disagio.

Quell’Europa che dagli anni Ottanta ha mutato geneticamente la sua anima, passando dall’unione dei popoli auspicata da Altiero Spinelli all’Europa dei capitali e dell’Euro, ha spogliato di ogni caratteristica sociale ed economica la nozione di sicurezza assoggettandola a logiche securitarie. E nasce in questa situazione la “Polizia europea”. Tale organo, costituito da Polizie militari, da protocollo dovrebbe intervenire in tutti i Paesi dell’Unione, per ragioni di ordine o sicurezza pubblica, ma senza obbligo di riferire alla magistratura dei singoli Paesi. Visto il dominio del capitale e di una spinta alla guerra sempre più forte, nell’Ue la costituzione di una Polizia europea desta non poche preoccupazioni per la tenuta democratica e per le agibilità sociali.

Potrà capitare che i Paesi dell’Unione inizino a adeguarsi a questi dettami legiferando in modo tale che anche le proteste, legittime e pacifiche, contro la costruzione di inquinanti e devastanti opere pubbliche siano oggetto di feroce repressione.

Ma se sarà chiamato a decidere un organo di Polizia europeo, ci saranno ancora garanzie democratiche?

I tanti Soloni del Diritto che negli anni hanno rivendicato i principi di democratica libertà, come mai ora tacciono di un assordante silenzio, così come durante la pandemia e i suoi abusi?

È importante che chi ha a cuore l’idea di un mondo dove a fare il bello e il cattivo tempo non siano i capitali economici e finanziari con i loro apparati repressivi, si mobiliti sulla necessità di costruire non solo un punto di vista critico ai processi in atto ma anche un’opposizione a un modello sociale nel quale gli spazi di libertà e di democrazia sono ormai ridotti al lumicino. Del resto, sono proprio le società in crisi, economicamente e socialmente vulnerabili, quelle che si prestano a subire ricette autoritarie facendoci perdere di vista la necessità, e l’urgenza, di superare una visione autoritaria dello Stato e dei suoi apparati che ci riporta indietro di secoli, allo stato di natura, alla cieca repressione di ogni opposizione.

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