Il 17 giugno sono sbarcati 11 migranti, i soli sopravvissuti. I familiari cercano ancora i parenti mentre il governo ha voltato loro le spalle
di Silvio Messinetti da il manifesto
Una strage dimenticata, una strage silenziata. Gli eccidi del mare non fanno più clamore ormai. Una opaca coltre di indifferenza copre le donne, gli uomini e i bambini annegati nei barconi della disperazione. A Roccella Jonica la mattina dello scorso 17 giugno sulla banchina nord del porto turistico sbarcarono gli unici undici sopravvissuti della più grave tragedia dell’immigrazione del 2024. Un viaggio della speranza spezzato a più di 110 miglia dalla costa calabrese.
DI QUELL’ECCIDIO, 41 morti accertati di cui 26 bambini, 35 i dispersi, se n’è parlato poco allora e non se ne parla ormai più. Una strategia del silenzio studiata ad arte per evitare una seconda Cutro. Allora il governo Meloni fece una figuraccia in diretta mondiale. Ha un volto cinico la superficialità con cui viene trattata oggi la vita e la morte degli uomini, donne e bambini migranti di Roccella. Corpi spostati, portati, smistati, gestiti come pacchi scomodi da nascondere alla vista di tutti, soprattutto al rumore e al clamore della stampa e della pubblica opinione. La regola d’ingaggio è spietata: non mostrare il dolore della piccola Nalina rimasta orfana a 10 anni e ricoverata nell’ospedale di Locri, insabbiare lo sguardo perso e spento di chi cerca invano brandelli di informazione sulla sorte e il destino dei congiunti, della propria famiglia, degli amici.
I FAMILIARI da un mese stazionano stoicamente nei dintorni del porto jonico. Attraverso un anello, un neo, una cicatrice cercano di riconoscere i loro cari. Tra loro c’è ancora M., che ha fatto pattugliare il mare prima con un elicottero poi con uno yacht. Li ha pagati a sue spese pur di ritrovare i fratelli. «Sono disposta a spendere qualsiasi cifra per ritrovare i loro corpi. Uno dei due aveva i segni delle torture subite in Iran, diverse cicatrici sul corpo, ma non è tra nessuna delle salme recuperate». C’è anche A., iracheno, che è arrivato da Londra e ha guardato una ad una le foto dei corpi recuperati cercando il cugino e sua moglie – incinta al nono mese – e le loro figlie di 9 e 12 anni. «Mia cugina ha venduto i suoi orecchini in Turchia per racimolare i soldi, hanno pagato per il viaggio della morte. Mia zia mi ha detto: portami almeno una parte del corpo di mio figlio, dobbiamo seppellirlo». Dapprima ospitati nell’oratorio di Roccella, poi trasferiti in un paio di strutture alberghiere cittadine e, da una decina di giorni, spostati nei locali della Caritas locrese. La via crucis dei parenti, arrivati in Calabria per le procedure di riconoscimento delle salme, va avanti da quattro settimane e resta, finora, totalmente sulle spalle della diocesi di Locri-Gerace. Che si è sobbarcata i costi di vitto e alloggio per la trentina di persone giunte a Roccella da buona parte d’Europa e che, grazie a una catena di solidarietà intessuta con il resto delle diocesi regionali, si è fatta carico anche dei biglietti aerei per consentire ai parenti che non possono permettersi di raggiungere, dai loro paesi di provenienza, i quattro diversi luoghi (Reggio, Polistena, Locri e Gioia Tauro) dove sono custodite le vittime.
UN GRAVOSO IMPEGNO che si sta estendendo, in completa solitudine, anche alle pratiche per il rimpatrio delle salme. Accanto alla Caritas molto attiva è anche l’organizzazione internazionale Medici senza frontiere che qui da anni gestisce un presidio di primo soccorso. Nella rotta turca delle migrazioni Roccella è un probabile porto d’arrivo. «Le storie di queste persone dimostrano come la mancanza di canali legali e sicuri siano la causa diretta della loro morte. Il governo italiano e i paesi europei facciano qualcosa per prevenire ulteriori tragedie e le istituzioni si attivino per proteggere le persone nel rispetto della dignità di chi in mare è morto a causa della stessa inazione dei governi. Mentre politiche disumane distruggono intere famiglie, le coscienze dei decisori politici si sporcano con le vite di altri esseri umani cercando di passarlo sotto silenzio» spiega Monica Minardi, presidente di Msf Italia. A seguito di quest’ultimo naufragio, Msf chiede che venga rispettata la dignità di chi è sopravvissuto, di chi è morto e dei familiari delle vittime. E che il governo si faccia carico delle spese per il rimpatrio delle salme e si organizzi un momento di commemorazione per le vittime. Invece il silenzio del governo resta assordante.
SUL NAUFRAGIO il Viminale non ha diramato neanche un comunicato di circostanza. È stato chiuso a fine giugno l’infopoint in cui si effettuavano anche le operazioni di campionamento del Dna, procedura indispensabile per il riconoscimento dei corpi, allestito dalla prefettura reggina nelle settimane passate in un container della blindatissima area migranti del porto: «Il punto informativo – si legge in una nota stringata pubblicata sul sito della prefettura – non è attualmente operativo. I familiari dei dispersi che intendano lasciare un campione di Dna possono rivolgersi direttamente al commissariato di Siderno».
LE OPERAZIONI DI RICERCA invece si erano chiuse in fretta e furia già il 24 giugno. «Dal mattinale del 24 giugno in poi – annota il giornalista di Radio Radicale Sergio Scandura sul suo profilo X – nella parte “attività Sar” Mrsc di Reggio Calabria, non risultano esiti e attività di ricerca sull’evento Sar numero 972». Ma anche il governo regionale è latitante. «Faremo la nostra parte – aveva detto il 18 giugno il presidente Roberto Occhiuto (Fi) – così come abbiamo fatto nei confronti dei familiari delle vittime di Cutro». A un mese dal naufragio, e ancora in attesa che dalla regione si attivino per dare una mano, resta da augurarsi che le cose stavolta, vadano meglio di quanto successo dopo il disastro sulla spiaggia di Steccato.
NEL FEBBRAIO 2023 la regione infatti mosse i primi passi per l’accoglienza appena 4 giorni dopo il naufragio. Attraverso il dipartimento di protezione civile, fu indetta un’indagine di mercato che individuò due strutture ritenute idonee a garantire il servizio di accoglienza ai parenti, investendo la considerevole somma di 100mila euro per coprire le spese. Tuttavia una delle due strutture individuate era finita sotto la lente dell’agenzia della Riscossione. Per cui, quando la regione formalizzò il pagamento, quasi l’intera somma venne pignorata. E dei 70mila euro destinati al pagamento per i servizi della società Ac 1931 solo 6mila finirono nelle casse degli imprenditori. Insomma, un pasticcio in salsa calabra.
IL MURO DEL SILENZIO sulla strage di Roccella provano a bucarlo i vescovi calabresi che parlano di «naufragio anonimo e invisibile» e denunciano «l’anestesia delle coscienze di fronte a questa ennesima sconfitta dell’umano e le miopi misure incapaci di evitare simili tragedie». E poi ci sono le reti sociali, le associazioni laiche e religiose, i movimenti antirazzisti calabresi che il 17 luglio danno appuntamento alle 20 sulla banchina per una processione e una fiaccolata di ricordo. Per non dimenticare. Per alzare una voce di speranza davanti al silenzio del governo.
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