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La stretta repressiva contro le carovane dei migranti in Messico continua

Nonostante le iniziali promesse del Presidente López Obrador, la campagna di criminalizzazione dei migranti si estende ora anche alle organizzazioni della società civile, trasformando il Messico in un limbo senza speranza

Il Messico delle Porte Aperte

La “carovana”, come il “barcone” in Europa, è diventata la metonimia populista con la quale si richiama l’epica dell’orda barbarica per giustificare politiche di odio e protezionismo squisitamente neoliberiste. E come se non fosse sufficiente, in un impeto di lirica xenofoba, la prossima carovana in arrivo in Messico dall’Honduras, appare sulle reti sociali e sulla stampa come “caravana del diablo”.

Il Messico è sempre stato un paese di emigrazione e di transito, avendo la disgrazia di condividere 3mila km di frontiera con il paese più attraente del mondo, quello del sogno americano, del mito della meritocrazia e della costituzione più giusta del pianeta. Dal 2006 il Messico è caduto in un vortice di violenza dagli indici drammatici di paese in guerra, a causa di una politica repressiva e militare finanziata dagli Stati Uniti e incentivata dal Governo Federale, in nome della lotta contro il crimine organizzato. L’overdose di vittime e ingiustizia ha alimentato il clima propizio per un cambio di governo che promette una rigenerazione nazionale e che finalmente arriva nel 2018.

Senza entrare nel dettaglio, la trasformazione promessa poco a poco lascia il passo al trasformismo e il nuovo Governo, guidato dal carismatico López Obrador, abbraccia retoriche che vanno dalla Repubblica dell’Amore alle riforme costituzionali con le quali si militarizza definitivamente l’ordine pubblico; dalla pacificazione nazionale alle grandi opere come il Tren Maya che svende riserve nazionali e territori delle comunità indigene agli interessi commerciali.

Sui media nazionali e internazionali, il narcotraffico è spodestato dalla migrazione e il Governo risponde con una politica apparentemente schizofrenica, ma in realtà legata a doppio filo alla consueta dottrina della sicurezza nazionale, nonché, ovviamente, agli umori dell’ingombrante vicino. Sicuro della vittoria elettorale più conclamata della storia del Messico, il candidato Presidente promette di emettere salvacondotti a tutte le persone che transitano dal territorio nazionale dirette verso gli Stati Uniti.

Il limbo messicano

A maggio 2019 Trump annuncia un provvedimento per aumentare i dazi sulle importazioni dal Messico, se quest’ultimo non si fa carico di contenere i flussi migratori. Glissando sull’ovvia riflessione del perché un Paese che ha imposto il libero mercato nel mondo, possa impunemente e senza vergogna minacciare di elevare barriere protezionistiche, senza che ciò allarmi i guardiani di Bretton Woods, la sola minaccia ha generato un cambio decisivo di rotta. Otto giorni dopo, infatti, pubblicava: «Sono lieto di riferire che gli Stati Uniti hanno raggiunto un accordo firmato con il Messico. Le tariffe programmate a partire da lunedì contro il Messico sono sospese a tempo indeterminato. Il Messico, in cambio, ha accettato di adottare misure forti per contenere la migrazione». Nel frattempo, dentro casa, la ministra degli Interni Olga Sánchez Cordero, annuncia lo stanziamento di 6.000 elementi della nuova Guardia Nazionale alla frontiera meridionale con il Guatemala.

Oltre la narrazione fiabesca che descrive uno Zio Paperone gringo che usa la guerra commerciale per soddisfare i propri capricci e un Messico remissivo e impaurito che in una settimana abbassa la cresta, ammaina le vele e torna sui suoi passi, esiste una realtà più dura. La politica migratoria aveva già subito un inasprimento a partire dal Governo precedente, che aveva aumentato i controlli militari in frontiera e avviato la pratica delle detenzioni e dei rimpatri forzati.

Quello che si osserva in Messico è uno sviluppo progressivo di una politica de facto che comincia a criminalizzare le persone migranti, per poi criminalizzare chi le difende e a trasformare il Messico in un limbo senza speranza. A differenza di ciò che già si osserva in Europa e in Italia, però, ciò avviene all’interno di una retorica politica che enfatizza il rispetto dei diritti umani e dei trattati internazionali e senza un parallelo sviluppo della “giurisprudenza della repressione”. Quindi, in assenza di una regolazione coerente, il fenomeno del contenimento è lasciato all’iniziativa dei militari inviati in frontiera e ad alcuni protocolli di azione.

 

 

Il 30 gennaio è appena ricorso il primo anniversario dalla firma degli MPP – Migrants protection protocols, firmati dai due governi confinanti, grazie ai quali oltre 60 mila richiedenti asilo negli USA in un anno, sono stati rispediti dall’altro lato della frontiera, in condizioni spesso disumane. Una x su un foglio di carta ne dichiara lo stato di temporanea protezione umanitaria, che non serve loro né per accedere a servizi, né per cercare attività redditizie, mentre aspettano notizie che non arrivano dai tribunali statunitensi. Abbandonati a se stessi e in una delle zone non in guerra più violente del mondo, sono soggetti a ogni tipo di sfruttamento, tratta e sequestro. E poi l’accordo di giugno 2019, col quale il Messico annuncia provvedimenti senza precedenti per frenare l’afflusso di persone dall’America Centrale e Meridionale.

La politica repressiva che avanza nella pratica più rapidamente dello sviluppo normativo e del discorso pubblico, genera la percezione di quell’agire ambiguo, a tratti schizofrenico, del Governo in materia di migrazione. Le stesse autorità incaricate confondono “alberghi” e “stazioni migratorie”, i primi associazioni incaricate di ospitare persone in transito, i secondi, veri e propri centri di detenzione. Le polizie locali, che non hanno mandato a operare nel contesto migratorio, effettuano arresti. L’INM impedisce l’ingresso alle stazioni migratorie all’Istituto Nazionale di Mediazione Legale (la difesa d’ufficio), organo deputato all’assistenza legale garantita dalla legge a tutte le persone sul suolo messicano.  infine, il Messico può vantare di essere rimasto tra i pochi paesi al mondo in cui la condizione di migrante irregolare non costituisce delitto di per sé, mentre ha 53 stazioni migratorie con più di 180.000 persone detenute, tra cui migliaia di minori.

La caduta della maschera 

Già nel primo trimestre dell’anno scorso, con la militarizzazione dell’ordine pubblico elevata a riforma costituzionale e la creazione della Guardia Nazionale come corpo militare incaricato, cadeva il sogno di un Messico in pace.

Le leggi che istituiscono la Guardia Nazionale includono fin da subito la facoltà di detenere persone transitanti per il territorio messicano, fino ad allora prevista solo per la Polizia Federale in casi eccezionali. E a giugno viene rafforzato il controllo di frontiera con l’invio di 6 mila elementi della Guardia Nazionale.

Nel 2019, dati ufficiali della Procura Generale riferiscono di oltre 6.500 indagini per possibili crimini contro migranti, torture e sparizioni forzate, in meno dell’1% delle quali si é proceduto in qualche modo contro i probabili colpevoli. Il resto dei reclami è rimasto in sospeso, o è stato archiviato senza risultati importanti. La Commissione Nazionale di Diritti Umani, d’altro canto, ha ricevuto, nello stesso periodo, 32 denunce per violazioni gravi commesse contro i migranti da parte della Guardia Nazionale. Allo stesso tempo, aumentano i “danni collaterali”, come la sparatoria del passato agosto, contro una famiglia di salvadoregni che cercava di allontanarsi dall’albergo che li ospitava a Saltillo, nel Nord del Messico, per rimettersi in cammino. Gli agenti hanno colpito il padre che è morto davanti agli occhi della figlia di otto anni.

Mentre gli ingranaggi per criminalizzare le persone migranti già sono pienamente rodati, le organizzazioni della società civile messicana, che si occupano di migrazione, cominciano a denunciare pubblicamente abusi, atti ostili e intimidazioni, perquisizioni e check point illegali. Parallelamente le organizzazioni assumono la difesa di alcune persone recluse nelle stazioni migratorie, documentando atti di tortura, detenzioni arbitrarie, violazioni di vario tipo nei confronti delle persone e dei minori di età. Gli alberghi vengono pattugliati di continuo, e, anche se le persone sono libere di uscire ed entrare a volontà, non essendo in stato di detenzione, nei fatti non lo sono perché fuori i blindati controllano i loro movimenti.

In questo drammatico contesto l’Istituto Nazionale della Migrazione comincia a negare alcuni permessi di entrata nelle stazioni migratorie ad associazioni della società civile, le quali ricorrono ai tribunali per impugnare i divieti. La legge messicana garantisce il diritto all’assistenza legale e, quindi, dà ragione alle organizzazioni. Nonostante ciò, lo scorso 28 gennaio, l’INM emette un provvedimento proibendo l’accesso alle ONG a tutte le stazioni migratorie del Paese, «per permettere al personale di svolgere il proprio lavoro senza disturbi».

Benché nel giro di due giorni il Ministero degli Interni abbia ritirato il provvedimento, si tratta di un precedente molto pericoloso, in quanto spiana la strada a provvedimenti che negano il diritto alla difesa dei migranti, in nome di un’emergenza temporanea, che lo Stato stesso determina nel praticare la detenzione come regola e non come eccezione, come stabilito per legge.

Inoltre, per la stessa situazione di sovraffollamento delle strutture di accoglienza, le organizzazioni stanno documentando l’edificazione abusiva di nuove aree per la detenzione di persone, realizzate senza nessun requisito minimo di salubrità e non atte all’ospitalità di persone, dove vengono rinchiusi anche minori.

Lacrimogeni e arresti

Oltre 200 organizzazioni che difendono i diritti umani delle persone migranti stanno denunciando, in questi giorni, una situazione di violenza ormai ordinaria, non accompagnata da nessuna misura di accoglienza, informazione o garanzia di accesso a servizi basilari di salute e legali.

La Guardia Nazionale è un corpo militare composto da giovani reclutati in fretta, che hanno tra 18 e 20 anni e non hanno ricevuto nessun tipo di formazione oltre all’addestramento castrense. Gli stessi deputati di Morena, il partito al governo dalle molte anime, hanno definito “selvaggia” l’aggressione dello scorso 20 gennaio della GN ai danni della carovana che entrava in Messico dal fiume Suchiate. La Guardia Nazionale ha impedito con gas lacrimogeni e manganelli il passaggio di un migliaio di migranti centroamericani che hanno cercato di penetrare nel territorio messicano attraverso il fiume. Pochi giorni dopo, quasi 500 migranti, che erano rimasti indietro, hanno provato ad attraversare lo stesso fiume di nascosto all’alba, sono entrati nel paese e gli agenti ne hanno arrestati 402, che sono stati trasferiti nelle strutture del INM in attesa del loro rimpatrio “assistito” a Tegucigalpa, Honduras.

Lacrimogeni e campagne di detenzione massiva sono ormai quello che aspetta oltrepassando la frontiera sud del Messico. Dentro le stazioni migratorie le persone non ricevono nessuna informazione circa il loro status o le ragioni e durata della privazione della libertà, né hanno accesso all’assistenza legale, né a servizi di salute. Inoltre, la politica repressiva nei confronti della migrazione sta incentivando l’apertura di nuove rotte clandestine, gestite da trafficanti, dove le persone in transito sono ancora più suscettibili di cadere vittime di abominevoli forme di violenza fisica e psicologica.

Eppure ciò che si legge sui giornali in Messico oggi, 31 gennaio, é un Lopez Obrador che racconta di come le ultime carovane sono state organizzate da leaders che mentono e ingannano la popolazione con false promesse. E come la metà delle persone abbiano accettato di buona lena il rimpatrio “assistito”,  una volta venute a conoscenza dell’impossibilità di transitare fino alla frontiera Nord. E un padre Alejandro Solalinde, prima capo-popolo nelle marce della disperazione dei migranti, che ora afferma che le carovane hanno l’obiettivo geopolitico di debilitare il Governo del suo amico Obrador. Oggi stesso dovrebbe entrare una nuova carovana dall’Honduras e il Governo messicano ha già dichiarato pubblicamente che riceverà lo stesso trattamento di quella della settimana scorsa.

In tale contesto, l’orrendo muro di 36 metri di altezza che sigillerà la frontiera degli Stati Uniti è destinato a diventare un simbolo di questa “cortina di ferro” tra ricchi e poveri, fatta di politica, violenza e strumentalizzazione mediatica, dove l’unica cosa che non si farà mai è cercare una soluzione.

Diana Cortese

da Dinamopress