Droni turchi continuano a colpire le comunità curde e arabe sotto l’Amministrazione autonoma. Nel sud di Kobanê, il 17 marzo un drone turco ha bombardato una casa tra i villaggi di Qomçî e Berxbotan, uccidendo dieci membri della famiglia Osman Ebdo, tra cui sette bambini.
di Gianni Sartori
Sono saliti a dieci le vittime (madre, padre e otto figli) del brutale attacco del 17 marzo di un drone armato turco a una fattoria nelle campagne di Kobane(tra i villaggi di Qomçî e di Berxbotan). Purtroppo anche Ronîda Osman Ebdo, una dei due giovani rimasti feriti, è morta il 18 marzo all’ospedale dove era stata ricoverata con il fratello Narîn Osman Ebdo (9 anni) unico sopravvissuto al massacro. Un’intera famiglia curda, gli Othman, sterminata dall’esercito di occupazione turco.
Verso la fine dell’anno scorso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy aveva dato luce verde all’acquisizione di Piaggio Aerospace da parte della Baykar. Azienda turca proprietà del genero di Erdogan e nota a livello mondiale per produrre sia semplici droni (armati) che i più sofisticati UCAV (unmanned combat aerial vehicle).
Nel marzo di quest’anno veniva poi firmato un Memorandum of understanding con la creazione di una joint venture per i sistemi aerei senza pilota con Leonardo.
Ignara di tutto ciò, la famiglia Othman lavorava nella fattoria dove era stata ospitata da Hanif Qasim Ahmed. Uno degli organizzatori dei raduni alla diga di Tishrīn (sull’Eufrate) per protestare contro l’occupazione turca. Per cui l’attacco, apparentemente indiscriminato,potrebbe essere stato mirato e non casuale.
Hanif Qasim Ahmed ha espresso tutto il suo dolore e indignazione con questa parole: “lo Stato turco non riconosce i valori e i principi dell’umanità. In base a quelle legge i bambini sono dei bersagli?”. Chiedendo inoltre alle organizzazioni internazionali (“quelle che sostengono di difendere i diritti umani”) di agire per mettere fine a tali crimini.
Tutto un altro stile quello dei volontari della Croce-Rossa curda (mossi evidentemente da sentimenti ben diversi da quelli del governo e dell’esercito turco) che stanno portando aiuto alle popolazioni costiere della Siria, vittime dei recenti massacri della minoranza alawita. In collaborazione con l’Amministrazione autonoma del Rojava/nord e dell’est della Siria, il 17 marzo la ONG ha inviato il primo convoglio (20 camion) di aiuti umanitari. Portando sia alimenti che materiale sanitario di emergenza. Altri convogli sono previsti entro breve tempo.
I primi aiuti giunti nella città di Jableh dove sono stati scaricati nei magazzini di una associazione umanitaria locale (“Mano nella mano”).
Nella prima mattinata del 19 marzo i volontari curdi hanno costituito due comitati, uno per preparare le liste delle famiglie colpite dalla violenza settaria e uno per selezionare e prepare i rifornimenti alimentari da distribuire.
Particolare degno di rilievo, le autorità di Damasco (meschine !) hanno preteso che dal convoglio venissero tolti i contrassegni della Croce-Rossa curda. Richiesta a cui i curdi (se pur con scarsa convinzione) si sono adatti in quanto “il nostro obiettivo principale resta quello di portare il più rapidamente possibile aiuto alle famiglie”. Un altro stile appunto.
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