La Turchia e i suoi mercenari fanno la guerra alle donne nel nord e nell’est della Siria
Mentre nel cantone di Afrin l’occupazione turca è causa diretta e indiretta della morte di molte donne, i droni turchi colpiscono sistematicamente dal Rojava al Bashur
di Gianni Sartori
La notizia dell’ennesima, tragica fine di due giovani donne di Afrin (sotto occupazione turca) risale alla fine di agosto. Non sono le prime e purtroppo è facile intuire che altre seguiranno il tragico esempio.
Con un comunicato l’Organizzazione dei diritti umani di Afrin-Siria ha denunciato che Sevin Mustafa Rasulo (17 anni) del villaggio di Kobka e Delishan Muhammad Sheikh (32 anni) di Mobata si sono suicidate a causa dei maltrattamenti, della pressione psicologica e – non ultimo- per sfuggire agli stupri perpetrati dalle milizie mercenarie al servizio di Ankara. Sempre in base ai dati raccolti da tale organizzazione, sarebbero almeno 136 le donne uccise, comprese quelle spinte al suicidio, dall’inizio dell’occupazione del cantone di Afrin.
Un clima di terrore instaurato fin dal primo giorno di quel 18 marzo 2028 e che non risparmia nessuno anche se sembra infierire soprattutto sulle donne.
In particolare sono i membri della soidisant “polizia militare” qui installata da Ankara e le milizie jihadiste che si dedicano al furto sistematico e al sequestro di civili. L’ultimo caso di cui si ha avuto notizia risale al 27 agosto quando sono state rapite dalla “polizia militare” tre persone nel quartiere di Ashrafiye del villaggio Meydan Ekbes (a Rajo, un distretto di Afrin).
Due giorni dopo, sempre nel quartiere di Ashrafiye, alcuni miliziani del gruppo “Faylaq al-Sham” sono entrati nell’abitazione di Jalal Mihemed Şêxo (84 anni) rubando tremila dollari e tutto ciò che hanno trovato in casa.
Nel 2018 la Turchia aveva bombardato senza requie per due mesi di fila sia la popolazione civile che le Unità di Protezione del Popolo e delle Donne (YPG/YPJ) mentre le milizie jihadiste attaccavano sul terreno.
Completamente circondata, il 15 marzo 2018 Afrin veniva ulteriormente martirizzata con il bombardamento dell’ospedale, costato la vita a 16 civili. Il 18 marzo con l’entrata effettiva delle truppe turche nella città, i resistenti curdi si vedevano costretti a ritirarsi. Già allora le vittime dell’invasione erano oltre 500 e centinaia di migliaia gli “sfollati interni”.
Chi è rimasto nella zona occupata versa in un clima quotidiano di terrore, scandito da saccheggi, rapimenti (spesso per poi richiedere un riscatto ai familiari), esecuzioni extragiudiziali, stupri.
Del resto non è che altrove le cose vadano diversamente. Nel nord-est della Siria, nel quartiere di Enteriye a Qamishlo, il 28 agosto un drone turco aveva ucciso una madre, Xalide Mihemed Şerif (45 anni) e suo figlio Ednan Silêman (24 anni).
Una settimana prima, il 22 agosto, un altro drone armato turco aveva colpito l’edificio delle Forze di sicurezza interna (Asayish) sempre a Qamishlo, provocando numerosi feriti. Più o meno contemporaneamente i droni colpivano anche Dêrik e – ovviamente – Afrin.
Così come – sempre con i droni – due giornaliste curde erano state assassinate in Bashur (Kurdistan entro i confini iracheni) il 23 agosto.
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Mi attacco qui per ricordare l’amico Bruno Zanin che è nuovamente partito per un viaggio (quante volte aveva percorso il Cammino di Santiago? Quante strade – tante a piedi – dalla Bosnia alla Turchia?).
Ma che stavolta purtroppo non tornerà nella sua baita davanti al Monte Rosa.
Sicuramente un Grande. Intellettualmente e umanamente.
Ciao Bruno, mancherai chi ti ha conosciuto (e anche a chi non ha avuto questo onore).
Gianni