Nel giro di pochi giorni, due pesanti attacchi nella regione nord-irachena di Sinjar: il co-presidente del Consiglio Autonomo Merwan Bedal è stato assassinato con un drone, mentre è stata bombardata la sede dell’Assemblea del Popolo
di Francesco Brusa
Mentre crolla il valore della lira turca, cadono bombe poco al di là del confine. È la “ricetta politica” del leader dell’Akp Recep Tayyip Erdoğan, sempre più in calo di consensi (alcuni sondaggi danno il suo partito attorno al 29%, come non si vedeva dal 2015): intensificare i conflitti in Siria del Nord e nell’Iraq settentrionale per “distrarre” la popolazione dalla crisi interna, caratterizzata da un’inflazione galoppante (a novembre attorno al 21%), tassi di disoccupazione che si sono particolarmente aggravati con l’emergenza pandemica e costo della vita alle stelle («Vado a dormire e ogni mattina al risveglio i prezzi sono saliti», dice una venditrice di indumenti del mercato di Istanbul intervistata recentemente da Associated Press).
Tanto più che – se la Turchia dovesse entrare in uno stato di guerra vero e proprio – questo permetterebbe di posticipare le elezioni, assicurando così alla maggioranza di governo (Akp e la forza nazionalista di estrema destra Mhp) di restare al potere.
Ciò non toglie che, per quanto riguarda i territori limitrofi alla repubblica anatolica, la parola “guerra” è molto vicina al non essere solo una mera ipotesi. Settimana scorsa, nella regione irachena del Sinjar dove vive la comunità ezida (vittima fra il 2014 e il 2017 di un terribile genocidio a opera dello Stato Islamico, che ha causato almeno 5mila morti), si sono verificati due pesanti attacchi da parte di Ankara: sabato – riferisce l’agenzia di stampa Dengê Çira Şengalê – la sede dell’Assemblea del Popolo del distretto di Xanesorê è stata completamente distrutta in seguito a un attacco aereo e due giorni prima il co-presidente del Consiglio Autonomo Merwan Bedel è stato brutalmente assassinato tramite un drone, mentre era alla guida di un veicolo civile. Con lui erano presenti i suoi due figli, che sono rimasti feriti. Si tratta del chiaro tentativo di colpire il progetto politico di autogoverno che ezidi ed ezide stanno provando a costruire nel nord-ovest dell’Iraq.
Durante la violenta occupazione dell’Isis, infatti, la popolazione di Sinjar venne abbandonata al proprio destino dai peshmerga curdi che l’avrebbero dovuta proteggere.
In suo soccorso, si sono mossi guerriglieri e guerrigliere di Ypg e Ypj dal vicino Rojava e combattenti del Pkk che – oltre a contribuire a spingere i fondamentalisti dello Stato Islamico in ritirata – hanno anche formato e addestrato alcuni membri della comunità ezida a resistere. Lo stesso Merwan Bedel, per esempio, è stato molto attivo in questo senso prima di ricoprire il suo incarico presidenziale.
Da una tale esperienza di autodifesa, gli abitanti di Sinjar hanno anche mutuato i valori del “confederalismo democratico” che provano dunque ad applicare nella regione: così è nata l’autonomia ezida, il cui tentativo di autogoverno è però fortemente osteggiato sia dal governo iracheno (che ha emanato ormai da un anno un ultimato affinché le truppe di autodifesa ezide Ezidxan Asaysh si ritirino dalle proprie postazioni), dai curdi del nord-Iraq fedeli a Barzani e, ovviamente, dalla Turchia di Erdoğan che non vede di buon occhio nulla che abbia a che fare con il Pkk e con tentativi di autogoverno curdo.
Dall’altro lato del confine, in Siria del nord, il leader dell’Akp sta infatti adottando una strategia analoga: in seguito all’uccisione di due poliziotti dello stato turco nella cittadina di Ezaz il 9 ottobre scorso, alcuni canali di informazione turchi hanno prontamente addossato la responsabilità dell’attacco ai curdi del Rojava.
Due giorni dopo Erdoğan ha pronunciato frasi praticamente identiche a quelle che hanno preceduto le invasioni di Afrin del 2018 e di Serêkanîyê del 2019: «Siamo determinati a eliminarli, insieme alle forze attive lì o con i nostri mezzi». Come annotava in quell’occasione Nayera El Gamal su DINAMOpress, «la Turchia sta cercando di ottenere l’approvazione per un’invasione», sperando che Usa e Russia diano il via libera per eventuali operazioni belliche. Che l’autonomia curda della Siria del nord (e men che meno quella dell’Iraq settentrionale) rappresentino una minaccia per la Turchia può essere vero dal punto di vista “simbolico” – proprio perché mostrano una valida alternativa all’autoritarismo erdoğaniano – ma non certo su un piano militare.
Per il leader dell’Akp si tratta dunque di insistere sulla pericolosità di nemici esterni per nascondere le problematiche interne, e per fiaccare indirettamente anche l’opposizione dell’Hdp.
A costo del sangue: a Sinjar, non è certo la prima volta che si verificano simili attacchi e, anzi, bombardamenti e uccisioni per mano turca si susseguono a cadenza regolare senza risparmiare civili, case e ospedali.
Ora però il progetto politico di autogoverno della comunità ezida viene colpito in uno dei suoi luoghi più importanti e massacrando una delle figure che lo hanno fin qui attivamente sorretto. Potrebbero essere le premesse per un’escalation del conflitto che rischia di annientare le rimanenti speranze della popolazione. Come sintetizza Uiki nel suo comunicato di condanna dell’uccisione di Merwan Bedel: la Turchia «sta praticamente continuando il genocidio che l’Isis non ha potuto completare».
da DINAMOpress