Le cariche indiscriminate della polizia non possono passare sotto silenzio. Colpi violenti sulla testa, sul volto – sangue e violenza. Le cariche indiscriminate della polizia contro gli studenti, che manifestavano pacificamente in tante città italiane, non possono passare sotto silenzio, coperte in questi giorni dal triste spettacolo della politica nel parlamento. Sono infatti scene non meno ignominiose, degne di un regime autoritario e ciecamente repressivo.
di Donatella Di Cesare
La morte di Lorenzo Parelli, quel ragazzo di soli 18 anni, ucciso da una trave d’acciaio l’ultimo giorno del suo stage formativo, ha suscitato profonda impressione nei suoi coetanei. E come dar loro torto? Ragazze e ragazzi di quell’età sono scesi in piazza in tantissime città italiane, da Torino a Potenza, per esprimere le proprie emozioni, dal cordoglio alla rabbia, ma soprattutto per comunicare il proprio dissenso contro l’alternanza scuola-lavoro. D’altronde l’alternanza, che né forma né, tanto meno, avvia al mondo del lavoro, si è rivelata l’ennesimo ingranaggio di sfruttamento a basso costo. Ed è proprio quell’ingranaggio che ha stritolato la vita di Lorenzo Parelli. Perché, dunque, non starli a sentire? Perché non cercare di capire le loro ragioni?
La loro giusta protesta non ha trovato invece altra risposta se non le cariche indiscriminate della polizia. A Torino gli studenti liceali, appartenenti a diversi collettivi, sono stati aggrediti dagli agenti perché avevano intenzione di passare in corteo per le vie del centro. Decine di loro sono rimasti feriti. Episodi analoghi si sono verificati a Napoli e a Roma, mentre a Milano sono stati picchiati gli studenti che volevano depositare davanti alla sede di Assolombarda una simbolica trave insanguinata di cartapesta. L’elenco sarebbe lungo: ragazzi contusi, rimasti per terra privi di sensi, oppure finiti al pronto soccorso. Come sempre – si dirà – le violenze non sono mai solo da una parte. Ma questa volta il gesto dell’agente che presidierebbe in tal modo l’ordine è proprio insopportabile. E dovrà certamente darne conto nei prossimi giorni chi ne ha la responsabilità.
Noi sappiamo bene che oggi lo spazio pubblico non è per nulla neutro. Al contrario, proprio perché è ormai lo spazio dell’apparire, esprime un’architettura politica. Chi non ha potere è relegato fuori, invisibile e inascoltato. Purtroppo la polizia non ha più tanto il ruolo di ripristinare l’ordine, quanto quello di difendere i confini dell’architettura politica, i limiti stabiliti. Guai a forzarli! Chi è all’interno, ben visibile, esercita così il proprio potere. Ai margini restano le donne, i precari, i migranti – e i giovani. Quando si parla della scuola, o dell’università, si finisce non di rado per cadere nell’astrattezza impersonale. Quasi mai viene data la parola agli studenti. E il vero problema è che in Italia i giovani hanno un ruolo ridottissimo nello spazio pubblico. Se di tanto in tanto sono un oggetto di argomentazione, non sono, però, il soggetto riconosciuto di un confronto.
La loro protesta per quel coetaneo morto tragicamente avrebbe dovuto essere accolta come il sintomo positivo di una sana reazione, il segnale importante di una voglia di essere partecipi, di far sentire la propria voce. Una politica che si limita a ostentare il volto poliziesco contro interrogativi legittimi, contro questioni nodali, ammette solo la propria incapacità. Non vorremmo più vedere casco e manganello contro chi rivendica il diritto allo studio in sicurezza.
da La Stampa