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La vicenda Brushwood, delle vittime e dei carnefici della cementificazione in Umbria

I quattro giovani spoletini massacrati sui media e poi dimenticati dalle istituzioni. Movimento ambientalista distrutto. A chi ha giovato tutto ciò?
La sentenza emessa dalla corte d’Assise d’Appello di Perugia, che ha assolto Andrea Di Nucci da ogni accusa, riducendo i capi d’imputazione per gli altre giovani spoletini a semplici danneggiamenti, minacce o scritte sui muri, ha di fatto demolito, umiliandola, la pretestuosa e spettacolare tesi accusatoria, teorizzata nel 2007 dal procuratore Manuela Comodi – la stessa dell’assoluzione di Amanda Knox – e dal generale dei Ros Giampaolo Ganzer, attualmente condannato in primo grado a 14 anni di reclusione per traffico internazionale di sostanze stupefacenti.
Di fatto, e questa è la prima notizia, un giovane spoletino ha trascorso 100 giorni in carcere e altri 10 mesi agli arresti domiciliari da innocente, accusato di essere un terrorista. Ma la corte d’Appello ha appurato che di terroristi, in questa storia, non ve n’è l’ombra. Di Nucci è dunque un innocente totale, a meno che l’essere amico di Michele Fabiani non possa costituire in sé una colpa: un innocente gettato nel tritacarne di Brushwood per ragioni ancora non meglio conosciute.

Dunque, da qualsiasi lato la si voglia guardare, la tanto sbandierata cellula terroristica anarco-insurrezionlaista-informale-rivoluzionaria-bombarola-psicodinamitarda, composta inizialmente da cinque, poi quattro, poi appena due (!) spoletini incensurati, secondo i giudici non è mai esistita. Con buona pace dell’ex governante dell’Umbria Maria Rita Lorenzetti, che tanto si era affrettata ad abbracciare Ganzer e ad esprimere in mondovisione la propria felicità per la perfetta riuscita delle operazioni dei militari.
A proposito dei militari, come ogni spoletino ben si ricorda, i Ros – Reparto operativo speciale, vale a dire il top che l’Arma abbia da offrire – erano intervenuti quel 23 ottobre 2007 con diversi elicotteri e oltre 100 uomini, chiamati ad arrestare cinque potenziali terroristi, cinque giovani conosciutissimi in città, cui – a saperlo prima – sarebbe bastato telefonare e chiedere di presentarsi in caserma, in via dei Filosofi. La domanda, a cinque anni e mezzo di distanza, è e rimane sempre la stessa, da porre con ancora più insistenza alla luce della sentenza dell’altro ieri (13 febbraio): a cosa è servito il blitz spettacolare, militare e mediatico, che ha trasformato in incubi le vite di cinque spoletini, uno dei quali non è vissuto abbastanza a lungo per veder ripulito pubblicamente il proprio nome?

Forse la strada che offre le maggiori possibilità di comprensione della vicenda, almeno in una chiave politico-istituzionale, è quella che ripercorre dal principio le tappe fondamentali di una delle storie più vergognose della giustizia in Italia, forse la peggiore mai vista in Umbria.
Primavera 2006-Estate 2007. In Umbria, e a Spoleto in particolare, un movimento civico che coinvolge decine di associazioni, gruppi consiliari, giornalisti, scrittori, ambientalisti ed alcuni partiti di minoranza, dà vita ad una lunga campagna di protesta nei confronti della cementificazione selvaggia subita dal territorio. In città, alcuni degli esempi di commistione tra politica locale e grossi gruppi di interesse nell’edilizia sono, per gli esponenti del movimento, l’Ippodromo-cava di Poreta, il nuovo centro commerciale Coop di via dei Filosofi, il Piano regolatore generale del Comune, il progetto del campo da golf di Torregrosso, le lottizzazioni di Colle San Tommaso e Collerisana, il nascente palazzo della Posterna – meglio noto come Mostro delle Mura – e altri ancora. La prima diretta conseguenza di queste iniziative è una serie di intimidazioni prima, e una pioggia di querele per diffamazione poi, piovuta addosso a giornalisti, intellettuali, ambientalisti e politici non allineati. L’Umbria, in quel periodo, sta vivendo la fase più intensa della ricostruzione post-sisma del 1997. Il territorio regionale cambia profondamente, subendo massicce cementificazioni spesso contestate da esponenti politici e della società civile. La criminalità organizzata entra definitivamente nella “non più tanto verde” Umbria, partecipando agli appalti e vincendone decine. In particolare la Camorra, specificatamente il clan dei Casalesi, fa la parte del leone stabilendo un largo giro di affari che ha portato – nel settembre del 2011 – al sequestro di beni mobili ed immobili, per un valore di oltre 100 milioni di euro ed all’arresto, a Perugia ed in altre città del centro Italia, di 16 persone affiliate al clan. La ricostruzione disegna i nuovi equilibri elettorali e di governo dei territori in Umbria. Accanto ai tradizionali blocchi di potere ed al ruolo storico della massoneria, emerge la nuova lobby del cemento, potente, arrembante e con il controllo pressoché totale sull’informazione che conta.
Passo indietro, 13 giugno 2005. Il generale del Ros Giampaolo Ganzer viene rinviato a giudizio insieme ad altri 25 imputati dal gup di Milano Andrea Pellegrino. L’accusa ipotizza i reati di associazione a delinquere, traffico di stupefacenti e peculato, posti in essere mediante abusi sistematici degli strumenti che vengono concessi agli investigatori che operano, per così dire, “in prima linea”, ritardando arresti e sequestri di stupefacenti in modo irregolare.

20 agosto 2007. La presidente della Regione Umbria Maria Rita Lorenzetti riceve una busta contenente una lettera minatoria, accompagnata da due proiettili.
23 ottobre 2007. I Ros del rinviato a giudizio Ganzer (incredibilmente non sospeso dal servizio) fanno irruzione nelle abitazioni dei presunti terroristi, arrestando cinque giovani spoletini: Michele Fabiani, Andrea Di Nucci, Dario Polinori, Damiano Corrias e Fabrizio Reali Roscini (quest’ultimo sarà riconosciuto del tutto estraneo ai fatti e completamente scagionato soltanto poco tempo prima la sua tragica scomparsa, avvenuta il 23 giugno di tre anni più tardi). Quella stessa mattina, dopo che tutti i telegiornali nazionali hanno aperto con gli arresti, giunge il plauso e il ringraziamento della presidente Lorenzetti all’operato della magistratura e del generale Ganzer. Il mattino seguente la notizia è in prima pagina persino sul Washington Post.
23 ottobre 2007-luglio 2008. Michele Fabiani, principale accusato dell’inchiesta Brushwood, trascorre nove mesi in carcere fra Perugia e Sulmona. Andrea Di Nucci, l’altro indagato per il quale il giudice ha deciso il carcere preventivo, ne esce dopo 100 giorni.
Sino a fine novembre 2008 Fabiani rimane agli arresti domiciliari, ospite di Don Antonio Pauselli nella parrocchia di Santa Maria della Misericordia, a Terni.

7 aprile 2009. Nella corte d’Assise di Terni parte il processo ai quattro ragazzi di Brushwood, accusati a vario titolo di avere aderito ad un’associazione sovversiva finalizzata alla perpetrazione di atti terroristici di stampo anarchico-informale, il più grave dei quali sarebbe stato l’invio della lettera contenente minacce e proiettili alla Lorenzetti. La stessa Presidenza della Giunta regionale è parte civile nel processo.

10 luglio 2010. Il generale Giampaolo Ganzer viene condannato in primo grado a 14 anni di reclusione per traffico internazionale di stupefacenti. Nella sentenza si parla anche di un giro di armamenti, che sarebbero stati importati in Italia e poi ceduti alla malavita organizzata allo scopo di procurarsi la droga. Parte del ricavato dalla vendita delle armi, infatti, sarebbe stato intascato dall’associazione a delinquere guidata da Ganzer, mentre il grosso dei fondi serviva ad acquistare ed immettere sul mercato lo stupefacente, da utilizzare come “esca” per incastrare alcuni spacciatori minori con la complicità dei grossi gruppi narcos del Centro America. Il tutto, secondo il giudice, per garantirsi una più rapida carriera. Malgrado questa prima sentenza, Ganzer – che ricopre uno dei ruoli più delicati e importanti all’interno dell’Arma in Italia – non viene sospeso dall’incarico.

11 maggio 2011. I quattro imputati di Brushwood vengono tutti condannati in primo grado, ma con dei considerevoli ridimensionamenti delle pene e del profilo criminale costruito dagli inquirenti a partire dal 2007. Polinori e Corrias sono riconosciuti estranei alla fantomatica associazione sovversiva, e condannati a 12 mesi ciascuno per alcuni danneggiamenti a dei cantieri e diverse scritte sui muri. Malgrado ciò, il pubblico ministero Manuela Comodi chiede ed ottiene – al termine di un’arringa imbarazzante, durante la uguale perde il filo più volte confondendo fatti e nomi – che Fabiani e Di Nucci siano condannati per associazione sovversiva, anche se è a tutti noto che per profilarsi il reato di associazione criminale è necessaria la presenza di almeno tre soggetti coinvolti. La Comodi, in pratica, crea la prima associazione composta da due individui, per giunta privi di soldi, di un covo e di armi. Ma per la giuria di Terni tutto ciò conta solo fino a un certo punto: le richieste del pm vengono accolte sotto il profilo giuridico, anche se le pene sono tagliate del 70% rispetto a quelle richieste dalla Comodi. E così Fabiani prende 3 anni e 8 mesi (l’accusa ne aveva chiesti 9), Di Nucci 2 anni e 6 mesi (per lui erano stati 8 gli anni richiesti dal pm Comodi), mentre Polinori e Corrias, come detto, un anno a testa contro i 6 ciascuno domandati dal pubblico ministero. Una sentenza comunque ingiusta, ma di sicuro il primo, forte scricchiolio di un castello accusatorio che ha voluto fare di quattro ragazzi incensurati, incapaci di fare del male a una mosca, dei pericolosi criminali anarco-insurrezionalisti.
18 maggio 2011. Michele Fabiani scrive al direttore di Spoletonline le proprie riflessioni sulla condanna ricevuta, in una lettera dal titolo: “Serviva una prima volta”.

13 febbraio 2013. Siamo ai giorni nostri. A cinque anni e mezzo di distanza dagli elicotteri sopra Spoleto e dagli arresti dei Ros, la corte d’Assise d’Appello di Perugia riconosce Andrea Di Nucci completamente estraneo da tutti i fatti imputatigli, e lo assolve in secondo grado di giudizio. A Fabiani la pena è ridotta di oltre un terzo, passando da 3 anni e 8 mesi a 2 anni e 3 mesi. Sarebbe lui, adesso, l’unico responsabile dell’invio della lettera di minacce alla Lorenzetti, azione compiuta a titolo puramente personale. Per Corrias la pena scende di un mese, passando a 11, mentre nulla cambia per Polinori. Ma quel che più conta, il teorema del terrorismo è definitivamente smantellato.
Cosa significa tutto ciò? Che gli elementi raccolti dagli inquirenti tramite intercettazioni telefoniche e ambientali, pedinamenti, perquisizioni nelle abitazioni degli imputati, interrogatori e quant’altro, si sono rivelati drammaticamente insufficienti per il calvario che è stato fatto vivere ai quattro giovani. Fabiani e Di Nucci hanno vissuto, a 20 anni, l’esperienza del carcere in isolamento. Rispettivamente per 100 e 400 giorni, Di Nucci da innocente e Fabiani, forse, da colpevole di un gesto sbagliato ma comunque non terroristico, sono stati sottoposti a misure restrittive della propria libertà.

Dunque, si potrebbe pensare, questi quattro giovani sono vittime di un immenso equivoco giudiziario-investigativo: potrebbe anche darsi, malgrado tutti gli elementi a discarico emersi durante l’inchiesta non abbiano mai fatto vacillare la convinzione, nella pubblica accusa, dell’esistenza di un’organizzazione terroristica anarco-insurrezionalista nella piccola Spoleto. Ma non è questa la sede per decidere sulla buona o malafede di chi ha condotto le indagini. Sul loro conto sia sufficiente la cronaca: il coordinatore delle operazioni è un condannato in primo grado per traffico internazionale di stupefacenti, mentre il pubblico ministero è lo stesso capace di perdere il processo per l’omicidio Meredith, per il quale – al momento – c’è soltanto un condannato “per concorso in solitaria”, visto che non si capisce bene insieme a chi abbia agito.

Ma la riflessione da fare, forse, è un’altra. A quasi sette anni di distanza dall’inizio delle battaglia ambientaliste a Spoleto, la cava di Poreta è ancora là, in tutto il suo macabro splendore, a fare bella mostra dello scempio subito; il Mostro delle Mura sono due palazzi residenziali abitati dalle più rispettabili famiglie spoletine, che svetta arrogante dentro le mura antiche della città: le denunce contro gli oppositori dell’urbanistica contrattata, delle quali i principali autori sono proprio i costruttori degli edifici, sono state in gran parte archiviate senza che i diretti interessati venissero informati; i colli di Spoleto sono ormai antichi ricordi, lottizzati e antropizzati oltre ogni possibilità di respiro; il campo da golf a Torregrosso, che prevedeva 40mila metri cubi di lottizzazione, è un progetto naufragato non per la forza delle idee, ma per la non praticabilità del percorso decisa dalla Provincia di Perugia e per, è inutile nasconderlo, interessi analoghi – creazione di un campo da golf, appunto – in un’altra parte della Regione. Insomma, gli arresti e le denunce hanno avuto l’effetto di bloccare il movimento di protesta al quale aveva aderito una larghissima parte dell’opinione pubblica locale, oltre a tappare la bocca a (quasi) tutti i giornalisti indipendenti del territorio. Sarà stata forse una combinazione, ma di sicuro è quello che è accaduto. Di fatto, pertanto, i quattro giovani di Brushwood sono stati il salvacondotto della lobby del cemento a Spoleto e in Umbria, i “pericolosi terroristi nemici dello sviluppo” da additare come estremi rappresentanti di un movimento di cittadini che voleva soltanto difendere il paesaggio e le sue ricchezze storiche dalle speculazioni: un intralcio che andava rimosso con ogni mezzo, compreso quello della criminalizzazione.

E allora, Lorenzetti: ti senti ancora di congratularti con Ganzer e gli inquirenti? Pensi davvero che quel 23 ottobre sia stata sgominata una pericolosa banda di terroristi che ti minacciava con dei bossoli? Soprattutto, chi è che – oggi come allora – ritiene Fabiani, Di Nucci, Polinori e Corrias dei criminali?
Daniele Ubaldi da Spoletonline