La violenza della polizia, la repressione dello Stato – chi controlla il controllore?
- febbraio 01, 2016
- in G8 Genova, riflessioni
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Una riflessione sui fatti di Genova, sulla repressione e abusi di polizia da parte di Bianca giovane studentessa del Liceo “La Farina” di Messina e collaboratrice del giornale studentesco “Il Disinformatore”. A Novembre 2015, 13 studenti del liceo (sei maggiorenni e sette minorenni, tre dei quali di appena 15 anni d’età) sono stati denunciati all’Autorità giudiziaria dagli agenti della Digos giunti a scuola subito dopo la richiesta di sgombero formalizzata dalla dirigente Giuseppa “Pucci” Prestipino. Bianca all’epoca del G8 di Genova nel luglio 2001 aveva 3 anni…
Carlo Giuliani. Davide Bifolco. Federico Aldrovandi. Stefano Cucchi. Aldo Bianzino. Giuseppe Uva. Riccardo Magherini. Conoscete questi nomi? Sono i nomi dei cosiddetti “morti di Stato”. Perché a quanto pare da un po’ di tempo a questa parte di Stato e di ‘legalità’ si può anche morire. Alcuni sono morti in una prigione, massacrati di botte. Alcuni sono morti freddati dal proiettile di una pistola. Altri sono morti schiacciati dal peso dei manganelli – evidentemente passavano per la strada sbagliata al momento sbagliato.
“Se la sono andata a cercare”, ci dicono, “se lo meritavano”.
Abbiamo visto in televisione le foto del corpo martoriato di Stefano Cucchi, della testa spaccata di Federico Aldrovandi, del corpo magro e inerme di Carlo Giuliani a Piazza Alimonda.
Non mi soffermerò su certe affermazioni di esponenti politici riguardanti queste misteriose morti (vedi il signor Giovanardi: “Cucchi morto perché anoressico e tossicodipendente”), né mi soffermerò sulle dinamiche di ogni singolo fatto – sarebbero troppo lunghe da spiegare, ma invito comunque tutti a documentarsi.
Vorrei invece porre l’attenzione sulla brutalità con cui queste azioni vengono compiute quotidianamente, nell’indifferenza generale, nell’oscurantismo dei principali canali di informazione. Vi porto un esempio: 14 anni fa, precisamente a luglio 2001, a Genova si teneva il G8. Quelle giornate furono accompagnate da lunghi e partecipati cortei, manifestazioni di dissenso, piazze tematiche a scopo informativo organizzate dalle più svariate reti e associazioni. Nell’afa estiva, in mezzo alla folla del corteo, un ragazzo muore. Si chiamava Carlo Giuliani ed era poco più che ventenne. Nei filmati si vede il ragazzo con un estintore in mano, rivolto verso la camionetta della polizia, e dalla camionetta si vede spuntare una mano che impugna una pistola – la stessa che sparerà il colpo fatale. Poi tutto è confuso: si sentono urla di terrore, l’automobile come impazzita fa retromarcia passando con le ruote sopra il corpo moribondo del ragazzo.
Per chi lo conosceva bene, Carlo non avrebbe mai fatto male a una mosca. Carlo non era il black bloc che vogliono farci credere, era un ragazzo che si trovava lì per caso, da solo, che quel giorno era indeciso se andare al mare o alla manifestazione – e solo dopo aver visto il pestaggio di un manifestante ad opera di un poliziotto decise di prendere parte alle proteste. Inoltre, secondo alcune ricostruzioni, si vedrebbe spuntare PRIMA la pistola e solo DOPO si vedrebbe Carlo prendere l’estintore nel tentativo di difendersi o di disarmare il poliziotto. Ma la cosa più sconcertante è che per la morte di questo ragazzo non si è nemmeno giunti a un processo: il tutto è stato archiviato come ‘legittima difesa’ .
Comunque, non contenti, il giorno dopo (nella notte tra il 21 e il 22 luglio), centinaia di poliziotti armati fino ai denti fanno irruzione nel complesso scolastico Diaz-Pertini in Via Cesare Battisti, adibito a dormitorio dal Comune di Genova. Penso che tutti sappiate cosa è successo quella notte, “la notte dei manganelli” – così è stata ribattezzata. Non c’è stata nessuna pietà – solo una strana esaltazione da parte dei poliziotti, che provavano un piacere sadico nel rompere ossa e denti a chiunque capitasse sotto tiro. Circa 90 arrestati con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla devastazione e al saccheggio – un reato che, tra l’altro, non veniva nominato dagli anni Settanta circa. Gente che si trovava lì a dormire (vecchi, donne, ragazzi minorenni) fu picchiata senza pietà fino allo stato comatoso. Ma sapete cosa fa più paura? Che quelle bestie (sì, bestie, non c’è un altro modo per definirli) oggi indossano ancora la divisa. Tutti.
Allora cosa fare quando, per usare le parole di Signor K, “il criminale è il poliziotto”? Quando chi uccide resta impunito perché protetto dalla divisa? In questi casi chi ci difende dalla legge?
Ogni volta che si trattano questi argomenti mi tocca leggere commenti del tipo “se ti rubano in casa chi chiami, Batman?”. Allora vi lascio riflettere su questo: quando chi massacra e uccide è proprio chi dovrebbe proteggerti, chi chiami?
Di questo io ho paura.
Mi fa paura che non ci sia nessuno che controlli il controllore. Mi fa paura che quando mesi fa lessi le notizie di scontri violenti tra manifestanti e polizia a Bologna, durante una manifestazione a cui era presente anche il mio ragazzo, l’ho chiamato per ore col terrore che gli avessero spaccato la testa o un braccio. A Niscemi ho visto file e file di poliziotti schierati dietro una rete a protezione di una base militare americana, e ho temuto per la mia incolumità fisica, perché la divisa mi fa paura.
Non riesco più a riporre fiducia nella giustizia – la stessa giustizia che ha permesso che gli assassini di Federico Aldrovandi fossero tutti assolti, la stessa giustizia che ha permesso che le bestie della Diaz continuassero a lavorare indossando una divisa infangata. Non mi sento tranquilla se penso che qualunque ragazzo della mia età potrebbe essere preso per strada e picchiato a morte.
Per me dopo quello che è successo a Genova nel 2001 la democrazia in Italia è morta – e ancora oggi continua a morire ogni giorno.
A voi le riflessioni.
Bianca Fusco
Ciao Bianca,
oggi mi trovavo a prendere il sole in un parchetto a Mariano Comense – si, senza maglietta. Arriva un Vigile Urbano, venuto non per multare, semplicemente per cercare la rissa e al, porco Inglese il sottoscritto a modo suo (molte parolacce) risponde, poi, essendo abbastanza grande (molto grande) registro la conversazione dove ben si ode il tutore dell’ordine dire “te ne devi andare” “non finisce qui” … io ero semplicemente in un angolo del parco del parco a prendere i miei 15 minuti di sole giornalieri. Ora chiaro, la violenza delle forze dell’ordine, dopo la mia denuncia/querela non si farà attendere, magari fra 2 giorni sarò morto (la registrazione è già in mano ai miei legali) ma sicuramente non succederà nulla. Certezza che il mio “porco” se fosse, non ha il valore del “porco” proferito da te in divisa, dovrebbe essere impossibile ricevere minacce dai tutori della legge, eppure hai ragione, non esiste legge, esiste potere e basta …
Dott. Claudio Ciceri