Sulla discriminazione che distingue tra le persone in fuga dalla guerra
di Annamaria Rivera
Né la pandemia e neppure l’invasione militare dell’Ucraina da parte della Russia sono riuscite ad intaccare il sistema-razzismo, come dimostra l’accoglienza selettiva di profughe/i provenienti dall’Ucraina, in base all’origine, al colore della pelle e così via. Tra l’altro, anche a svariate famiglie con bambini, di origine subsahariana, è stato impedito di varcare i confini in direzione dell’Europa.
Come sottolinea il Centro Studi e Ricerche IDOS, in tal modo resta bloccata in Ucraina, quindi esclusa dalla protezione europea, una parte ben rilevante dei circa 5 milioni di stranieri presenti nel Paese, tra studenti, lavoratori, richiedenti-asilo e categorie di migranti a breve termine.
E ciò a dispetto delle convenzioni internazionali: chiunque fugga da una situazione pericolosa ha il diritto, a prescindere dalle proprie origini, di poter varcare i confini e fare richiesta di asilo. Tra l’altro, la gran parte delle persone respinte non sono affatto delle marginali, bensì alquanto integrate: per esempio, tra loro non poche sono quelle iscritte a qualche università ucraina.
Solo il razzismo può spiegare perché mai paesi quali la Polonia, l’Ungheria, la Bulgaria, che notoriamente sono soliti praticare una politica di ostilità e rifiuto o di vero e proprio razzismo verso migranti e potenziali rifugiate/i, che cerchino di attraversare le loro frontiere, al contrario si siano rapidamente organizzati per accogliere le persone ucraine ab origine in fuga dalla guerra e dai suoi effetti drammatici. Si consideri, inoltre, che a una tale discriminazione sono solite partecipare anche le autorità ucraine, in particolare alla frontiera con la Polonia, selezionando tra i cittadine/i “ucraine/i” e quelle/i “non ucraine/i” e respingendo perfino famiglie con bambini, in quanto di origine subsahariana.
Quanto all’Europa e all’Italia, in particolare e paradossalmente, mentre di solito sono respinte/i, rifiutate/i, criminalizzate/i le/i profughe/i, soprattutto quelle/i provenienti da paesi subsahariani, asiatici, mediorientali, e ciò anche se giungono da situazioni drammatiche, questa volta una buona parte delle istituzioni e delle popolazioni mostra e pratica solidarietà e accoglienza verso le persone esiliate purché siano ucraine ab origine, per l’appunto.
A tal proposito, esemplare è la vicenda raccontata il 22 marzo scorso da Riccardo Bruno sul Corriere della Sera. Egli riporta la denuncia di una suora, che aveva accolto due universitari ventenni di origine nigeriana, fuggiti avventurosamente dall’Ucraina. Una donna le aveva promesso che li avrebbe ospitati lei nella sua seconda casa. Ma, allorché ha scoperto che erano nigeriani, ci ha ripensato, motivando il rifiuto esplicitamente: due profughi bianchi potevano andar bene, negri assolutamente no.
Certo, l’accoglienza di persone ucraine che fuggono dalla barbarie della guerra putiniana non può che essere considerata positivamente e incoraggiata. Nondimeno essa rivela l’ipocrisia – a dir poco – della politica europea e delle politiche dei singoli Stati dell’Ue: l’una e le altre praticano un’accoglienza discriminante, che distingue tra le persone rifugiate, perlopiù da accogliere o almeno da accettare, e quelle migranti, soprattutto se provenienti dal Sud del mondo.
Tuttavia, non si creda che siano esclusivamente il colore della pelle e/o l’origine nazionale a ispirare discriminazione, ripulsa e disprezzo verso le/gli altre/i. Come ho scritto più volte, chiunque può essere razzizzata/o, soprattutto se appartenente a una classe subalterna. Lo dimostra in modo esemplare la storia dell’immigrazione albanese in Italia, che esordì il 7 marzo del 1991, quando ben 27.000 migranti sbarcarono nel porto di Brindisi. Cinque mesi dopo, l’8 agosto del 1991, la nave mercantile Vlora, stipata da 20.000 migranti, attraccò nel porto di Bari. Da allora in poi, per non pochi anni le/gli albanesi divennero capro espiatorio esemplare e oggetto di discriminazioni e violenze razziste.
V’è da aggiungere che, mentre in Ucraina furoreggiava e furoreggia tuttora la guerra putiniana, nel Mediterraneo centrale si susseguivano le stragi di migranti. Gli ultimi novanta o forse cento, che hanno perso la vita alla fine di marzo e di cui si è saputo tardivamente, non sono stati ancora conteggiati. Ma alla data del 28 marzo, erano già 299 quelli morti o dispersi dall’inizio dell’anno nel tentativo di attraversare il Mediterraneo centrale. Di una tale tragedia i media hanno parlato/scritto alquanto poco, tutti presi com’erano dalla guerra in Ucraina.
da Comune-Info