Menu

L’Africa non deve inseguire nessuno

SarrFelwine Sarr è economista, filosofo, scrittore e musicista. A fianco dell’insegnamento (prima presso l’università Gaston-Berger di Saint-Louis in Senegal, dal 2020 alla Duke University negli States) porta avanti un lavoro di divulgazione che lo rende tra i più noti intellettuali africani contemporanei. Dirige, insieme alla storica dell’arte Bénédicte Savoy, la commissione che sta indagando lo stato del patrimonio culturale africano trafugato durante il periodo coloniale e presente nei musei francesi.

intervista a cura di Martino Ghielmi per vadoinafrica.com

 

 

Come reimmaginare il rapporto Africa-Europa?

Emerge sempre più forte la necessità di reinventare l’immaginario delle relazioni tra i nostri due continenti per comprendere che siamo entrambi parte della stessa comunità umana.

Le relazioni attuali sono frutto del colonialismo e, nonostante una formale “indipendenza”, restano ancora fortemente asimmetriche.

Ritengo che il compito oggi più urgente per gli africani sia quello di liberarsi dalle mitologie della cosmologia Occidentale che ci sono state “vendute” come l’unica via di realizzazione in campo economico e politico.

Più che discutere di afro-pessimismo vs afro-ottimismo dobbiamo renderci conto che è necessario lasciare alle comunità la facoltà di ideare autonomamente ciò che desiderano diventare. Qual è il significato del vivere insieme? Cosa significa “benessere”? Che spazio dare ai valori spirituali? La questione ecologica. La questione culturale. Il nodo cruciale del senso dell’agire umano.

Tutte queste questioni non fanno parte del discorso sullo “sviluppo” o la “democratizzazione” che altro non sono che nuove espressioni della “missione civilizzatrice” di un tempo.

Credo che l’Africa sia in possesso degli strumenti culturali per diventare un laboratorio capace di reinventare questi concetti, a beneficio peraltro del mondo intero.

In che situazione si trova oggi l’Occidente?

Non si è ancora reso conto che gli archivi del mondo sono molteplici. Quello occidentale ha dominato per cinque secoli ma appare oggi sempre più esausto. Se vogliamo affrontare le grandi sfide del presente (ecologia, mobilità, uso delle risorse) dobbiamo attingere ad altri archivi tra cui quelli dell’America Latina, dell’Asia e dell’Africa.

Forse l’Europa pensa di vivere su un’isola o una bolla separata dal resto del mondo. Ma non è così. E non può chiamarsi fuori dalle sue responsabilità storiche. Il fenomeno delle migrazioni ben rappresenta la dimensione globale di queste dinamiche. Se le risorse accumulate da una minoranza nei secoli non verranno condivise, il resto del mondo verrà a prendersele. Ma è molto più che un “dare indietro”.

Oggi la più grande sfida per l’Occidente è de-costruire le modalità con cui ha concepito l’alterità.

Per rinnovare questa relazione occorre costruire una nuova orizzontalità basata sulla comune appartenenza al genere umano. Avere il coraggio di un rispetto reciproco che è,  prima di tutto, rispetto di sè. Forse potrebbe aiutare rendersi conto che, nel 2050, l’Europa rappresenterà solo il 4% della popolazione mondiale. Per giunta la più anziana!

Cosa dire al mondo “umanitario” che desidera “aiutare l’Africa”?

Noi africani non abbiamo bisogno di aiuto. Abbiamo bisogno di rispetto. Al continente servono relazioni con cui poter condividere e scambiare con il resto del mondo.

Chi vuole “aiutare” spesso ha la presunzione di sapere già di cui c’è bisogno. Troppo spesso di saperlo meglio dell’altro stesso, da cui si pensa di non aver nulla da imparare.

Non è così.

L’idea di “aiuto allo sviluppo” non è altro che una traduzione, aggiornata al presente, del concetto di “missione civilizzatrice” in voga all’inizio dell’avventura coloniale. Attenzione, non sto criticando l’idea della solidarietà. Ma occorre simmetria e mutuo rispetto perchè sia reale.

Una solidarietà non basata sull’ascolto reciproco diventa subito dipendenza e dominazione.

 

Quale ruolo per le diaspore nel dialogo tra continenti?

Le comunità diasporiche sono radicate in un territorio distante da quello di origine e, per questo, devono imparare a convivere tra due culture. Il senegalese residente in Italia, ma anche l’italiano emigrato in Senegal, sono obbligati a imparare qualcosa dell’altra cultura per entrarci in relazione. Interagendo con entrambe le parti, le diaspore possono compiere una sintesi empatica.

Essere allo stesso tempo “insider” e “outsider”.

Le diaspore possono sperimentare cosa cambiare conoscendo due background culturali.

Queste persone sono preziose perchè sono spesso in grado di attivare ponti economici e sociali. Sono tra i più preziosi strumenti che abbiamo per la mutua comprensione tra territori e società.

Una paura serpeggia tra l’Europa: quella dell’invasione africana.

Lo so bene. In Senegal siamo preoccupati per la situazione italiana, polarizzata su precomprensioni irrazionali. Rispetto a Francia e Regno Unito, in Italia c’è ancora grande ignoranza del continente africano e le diaspore sono poco organizzate e scarsamente in posizioni di responsabilità. La paura non è mai una buona situazione per riflettere, ma credo sia necessario lavorare sugli stereotipi.

La Francia, il Paese europeo che conosco meglio, ospita quasi 90 milioni di turisti ogni anno. Trovo paradossale che il discorso pubblico si polarizzi così tanto intorno a qualche decina di migliaia di migranti. Sono però ben consapevole che stiamo parlando di questioni pre-razionali.

Cifre e dati statistici che dimostrano come non esista alcuna “invasione africana” non sono sufficienti. Il discorso xenofobo si nutre di paure a livello psichico ed è anche su quell’area che bisogna provare a lavorare per evitare guai.

 

Di cosa avete discusso a “Les Ateliers de la pensée” a Dakar?

Nel gennaio 2019 abbiamo trattato i temi dell’epistemologia (filosofia della scienza) e dei nuovi saperi nel contesto delle sfide della vulnerabilità dei gruppi umani.

Un momento di confronto tra intellettuali, ricercatori e artisti da un mondo sempre più multipolare. Perchè le questioni che affrontiamo, a partire dalla de-colonizzazione delle menti, sono di interesse globale.

Ci siamo resi conto che se vogliamo che la nostra critica all’eurocentrismo possa contribuire davvero alla costruzione di un nuovo mondo, non possiamo escludere l’Occidente. Perchè il mondo è uno solo e sta a noi trovare il modo di abitarlo come esseri umani.

 

 

 

Osservatorio Repressione è un sito indipendente totalmente autofinanziato. Puoi  sostenerci donando il tuo 5×1000 e darci una mano a diffondere il nostro lavoro ad un pubblico più vasto e supportarci iscrivendoti al nostro canale telegram