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Lamorgese la ministra del manganello

Il pretesto dei “provocatori” per manganellare gli studenti che protestano, ma nonostante la repressione gli studenti torneranno in piazza in tutta Italia venerdì 18 febbraio

«Anarchici e centri sociali hanno provato a trasformare le manifestazioni in scontro fisico con la polizia». Così la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, nell’informativa al Senato sulle violenze contro studenti e manifestanti, butta la palla nella solita vecchia mischia ancora una volta il governo giustifica le violenze chiamandole scontri, mettendo sullo stesso piano corpi armati di polizia e manifestanti disarmati usando come spauracchio l’eterna menzogna di anarchia come sinonimo di disordine e violenza.

Ma, di grazia, ordine è forse questo che non reggerebbe neppure un giorno se non fosse sostenuto dalla violenza, questo che i governi difendono con tanta brutalità di mezzi polizieschi e militareschi?

È ordine forse la società in cui viviamo, nella quale il benessere, anzi l’orgia dell’esistenza è permessa soltanto a pochi privilegiati che non lavorano e che quindi nulla producono, mentre la moltitudine dei lavoratori, condannati alla fatica ed agli stenti, poco o nulla possono godere di tante ricchezze soltanto da essi create?

Se ordine fosse, perché la forza delle armi, delle manette, della prepotenza governativa in una parola per mantenerlo? (Tiziana Barillà)

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Le coincidenze, qualche volta, spiegano più si un lungo saggio analitico. Perché rivelano improvvisamente quello che con molta cura un potere in pieno delirio di onnipotenza cerca di nascondere.

Primo elemento della coincidenza. Ieri, alla Camera, il ministro dell’interno Lamorgese – prefetto di carriera, dunque un “tecnico di polizia” elevato alla carica politica – ha letto la sua informativa sui numerosi pestaggi effettuati la scorsa settimana contro studenti medi che manifestavano dopo la morte di Lorenzo Parelli, in una fabbrica, all’ultimo giorno di cosiddetta “alternanza scuola-lavoro”.

Doveva rispondere a numerose interrogazioni – tra cui la prima proposta dalla nuova componente “ManifestA”, formata da quattro deputate elette con i Cinque Stelle ma in dialogo ora con Potere al Popolo, Rifondazione, ecc, per dare uno sbocco parlamentare anche ai conflitti sociali, altrimenti relegati tra i “fatti di cronaca” oppure ignorati.

Come ci si poteva attendere da un ministro “tecnico”, i rapporti della Digos sono stati presentati come verità assoluta, anche se smentiti da decine di riprese video visibili sui social.

E dunque le cariche indiscriminate e violente, contro ragazzi assolutamente inermi, privi di qualsiasi messo “atto ad offendere” e persino di qualche protezione dalle “offese” poliziesche, sono diventate nella sua informativa una “risposta” – con qualche “eccesso di proporzionalità” – alla “presenza di elementi che cercavano lo scontro”.

E quindi giù le solite frasi ad uso di giornalisti-stenografi:

A Torino “Assieme ad appartenenti ai collettivi studenteschi erano presenti numerosi militanti del noto centro sociale Askatasuna, espressione locale del movimento di autonomia operaia, distintosi per episodi criminosi nel corso di manifestazioni e occupazioni”.

A Roma “l’intenzione era arrivare allo scontro” (non si è capito se per colpa degli onnipresenti “anarchici” o degli ancora evocati “centri sociali”. La “prova”, secondo Lamorgese, sarebbe testimoniata anche dal travisamento di alcuni manifestanti con caschi, cappucci e soprattutto dal ripetuto lancio di fumogeni e bombe carta contro gli appartenenti alle forze dell’ordine, alcuni dei quali raggiunti da calci e pugni tanto che alla fine della giornata tra gli operatori di polizia contusi quattro hanno dovuto far ricorso alle cure mediche”.

Da antichi frequentatori di piazze “agitate” sappiamo bene, per esperienza, che quei “referti” rilasciati dai medici della polizia sono quasi sempre dei “permessi premio” per quanto fatto in piazza (oltre che, a volte, conseguenza della furia con cui manganellano, colpendosi anche tra loro).

Ma fa niente…

Il ministro ha ovviamente reso omaggio formale alle parole di Mattarella, velatamente critiche verso l’operato della polizia. E dunque ha sciorinato il consueto frasario di circostanza: Desidero rinnovare da parte del governo e mia il cordoglio alla famiglia per la morte di Lorenzo Parelli che con impegno e la freschezza dei suoi 18 anni testimoniava la determinazione del nostro Paese a rialzarsi dalla crisi devastante indotta dalla pandemia“.

Sono i giovani ad aver risentito di più di restrizioni, disuguaglianze, marginalità e occasioni”, addirittura “in un quadro di angoscia esistenziale che ha cambiato i nostri comportamenti creando distanze umane sconosciute e incidendo profondamente nella nostra società“.

E che ci azzecca questa “condivisione di sofferenza” con le mazzate selvagge distribuite in ogni dove?

Nulla, naturalmente. “Ma la democrazia ha delle regole dalle quali non si può prescindere. Serve il bilanciamento del diritto di manifestare e la tutela della salute pubblica”.

E come intende “bilanciare”? Con l’introduzione delle bodycam, in modo da inquadrare meglio i manifestanti e assicurare la loro identificazione successiva, per aggiungere le denunce penali ai lividi e alle cicatrici seminate dai manganelli.

Ma naturalmente “L’utilizzo di tali apparecchiature avverrà nel pieno rispetto delle direttive impartite dal garante della privacy.” Non vi sentite già più sollevati?

Impagabile poi la giustificazione “ideologica”: “Credo si tratti di un passo importante destinato a rinsaldare ulteriormente il sentimento di vicinanza e affetto che lega i cittadini italiani alle forze di polizia garanti delle libertà civili sancite dalla Costituzione”.

C’è da sentirsi male di fronte a una tale manifestazione d’amore…

Poi però, nelle stesse ore, il secondo elemento della coincidenza arrivava a dimostrare come tutte quelle frasi siano soltanto fuffa a beneficio dei media compiacenti.

Sono state infatti depositate e quindi rese pubbliche – agli atti del processo a carico del Maresciallo Capo Fabio Manganaro per la vicenda del bendaggio di un arrestato, Gabriele Natale Hjorth, per l’omicidio del vicebrigadiere Mario Cerciello Rega – i commenti in una chat interna dei carabinieri.

Squagliateli nell’acido”, “fategli fare la fine di Cucchi”, “non mi venite a dire arrestiamoli e basta. Devono prendere le mazzate. Bisogna chiuderli in una stanza e ammazzarli davvero”, “ma qualche mazzata ai coglioni se la prenderà, alla fine non si torna indietro”.

Giusto per avere il senso della mentalità comune nella “truppa”…

Anche qui è partita immediatamente l’operazione “pulizia dell’immagine”, con l’Arma che promette provvedimenti disciplinari “Non appena gli atti con i nominativi dei militari coinvolti saranno resi disponibili”. Perché, come sempre, si tratterebbe solo delle solite “mele marce”.

Di sicuro tra le due vicende – pestaggio di studenti inermi e l’omicidio di un carabiniere – la distanza è enorme. Ma l’atteggiamento degli “agenti” è figlio della stessa subcultura: l’onnipotenza della divisa, l’estraneità a qualsiasi limite posto dalle leggi (oltre che dalla “morale” o dall’”etica”).

E quando hai ministri dell’interno così, oltre che vertici dell’Arma sulla stessa linea, quei “sottoposti” non possono che sentirsi protetti nella loro azione e confermati nelle proprie convinzioni.

Tanto più quelli che manganellano in piazza, sicuri di aver “solo eseguito gli ordini” arrivati dal ministro stesso (troppi pestaggi in contemporanea, in troppe città diverse, per essere solo “sfortunate coincidenze”). (da contropiano)