Surreale processo nella città terremotata a chi denunciava, rimuovendo le macerie, l’abbandono del centro storico
A L’Aquila si sta svolgendo un processo surreale. E’ il “processo alle carriole”. Era il 28 marzo 2010, una domenica, quando decine di cittadini si recarono “armati” di carriole nel centro storico ancora quasi del tutto chiuso, per rimuovere le macerie abbandonate della città.
Sono in tutto sei gli imputati, accusati di manifestazione non autorizzata e violazione della zona rossa, istituita con un’ordinanza del sindaco Massimo Cialente e del prefetto Gabrielli. A loro vanno aggiunti altri due manifestanti, accusati di violazione del silenzio elettorale – quella domenica si svolsero le elezioni provinciali – e il cui processo inizierà il prossimo 1 luglio. La legge dice che le liste non possono manifestare nel giorno delle elezioni nei pressi dei seggi ma non c’era nessun seggio in un centro storico desertificato dal sisma e soprattutto nessuna lista che avrebbe potuto ricondurre al “movimento delle carriole”.
Nell’ultima udienza, 48 ore fa, una funzionaria della Digos ha rivendicato come necessaria la denuncia per alcuni manifestanti, in quanto identificati in piazza IX Martiri durante quella domenica di marzo, ma ha dovuto ammettere come tutte “le domeniche delle carriole” furono manifestazioni assolutamente pacifiche di cittadine e cittadini esasperati per lo stato di abbandono del centro storico della città.
Il giudice Giuseppe Grieco ha indetto la terza udienza per il prossimo 27 settembre, quando a riferire alla corte saranno i testimoni chiamati dagli avvocati della difesa. Tra di loro, è probabile che saranno chiamati a testimoniare anche il sindaco Massimo Cialente, la neosenatrice Stefania Pezzopane e il Vescovo Ausiliare dell’Arcidiocesi di L’Aquila Giovanni D’Ercole che prese parte alla rimozione delle macerie.
«La cosa grave – denunncia il comitato 3e32 – è che mentre la Procura chiede il processo contro le carriole (ovvero contro quelli che hanno cercato di liberare il centro dalla macerie), il centro stesso a quasi quattro anni dal sisma è ancora chiuso, devastato, derubato, abbandonato a se stesso. Non esiste pianificazione, e neanche un’idea della città che sarà. Con questa accusa (l’ultima di una lunga serie), ci sembra quasi che si voglia processare la speranza di quelli che volevano solo esercitare il diritto di partecipare alla ricostruzione del proprio territorio, della propria vita, del proprio futuro».
«Questo non fermerà di certo la nostra battaglia per una ricostruzione giusta – si legge ancora nella nota del comitato 3e32 – Ci chiediamo come sia possibile che, tra le infiltrazioni delle cricche negli appalti per la ricostruzione, i cantieri dove molto spesso la sicurezza sul lavoro è un optional, lo spreco e la assoluta mancanza di trasparenza nella gestione dei fondi, la giustizia italiana non abbia di meglio da fare che portare avanti processi contro le carriole, CaseMatte, le manifestazioni a L’Aquila e a Roma, spendendo immotivatamente così tanto denaro pubblico. In ogni caso, questa accusa non ci spaventa, possiamo dimostrare che nessun reato è stato commesso e che le carriole meritano solo un ringraziamento e non una condanna penale. La città deve tenersi strette e difendere tutte quelle giornate di dignità, rabbia e riappropriazione che in ogni modo hanno tentato di non fare andare le cose come purtroppo sono poi andate, tra prefetti che ridono e macerie che sono ancora abbandonate nel centro storico non ricostruito. (continua a leggere su popoff)
Checchino Antonini
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