Nei giorni scorsi a Bari erano stati arrestati due afghani e un pakistano con un’accusa pesantissima ovvero associazione finalizzata al terrorismo internazionale. L’operazione fu rivendicata in una conferenza stampa della Procura del capoluogo pugliese che ebbe le prime pagine di tutti i giornali e di tutti i media digitali.
La notizia non sfuggì al mitico – direbbe Homer Simpson – Matteo Salvini.
Il sito ilsudconsalvini.info annunciò una pronta visita di Salvini a Bari. I titoli dei giornali non lasciavano dubbi: pronti a colpire; volevano colpire Circo Massimo e Colosseo; scoperta cellula legata all’Isis, fermati militanti dell’Isis. Accade però che il Gip barese dichiara gli indizi di terrorismo insussistenti: uno dei tre arrestati è scarcerato. Per gli altri restano le accuse più banali di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Che dire? Tre considerazioni a margine.
La prima riguarda gli organi investigativi.
Supponiamo abbia ragione il Gip. Il punto non è l’eventuale errore giudiziario. Può capitare. Basta rimediare subito così come è avvenuto. Il punto è l’avere attivato la bomba mediatica. Quegli arresti – giusti o sbagliati – potevano avvenire senza la rivendicazione in conferenza stampa che, visto il tema, inevitabilmente va a diffondersi su scala globale.
I media di tutto il mondo infatti ne hanno parlato scatenando il panico, favorendo la diffidenza nei confronti delle persone straniere di fede islamica, alimentando le tensioni locali, aiutando i politici che vivono dell’altrui paura. Le azioni di polizia e degli organi investigativi richiedono discrezione, quanto meno nelle ipotesi di reato contestate.
Spesso accade che vengono indette conferenza stampa dopo un arresto e all’operazione di polizia viene dato un nome. Quel nome evoca a volte addirittura una fattispecie criminosa specifica commessa. Crimine che in fase di giudizio potrebbe essere invece derubricato, cambiato, cassato.
Resta però lo stigma. Resta la paura collettiva. Resta il danno sociale. Restano i titoli di stampa.
È del tutto legittimo che i magistrati dicano la loro su un referendum di rilevanza costituzionale. Più cautela servirebbe invece rispetto a inchieste il cui esito è incerto.
I nomi delle persone arrestate a Bari hanno fatto il giro del pianeta. Andrebbe verificato ora giornale per giornale, sito per sito, social media per social media che analogo spazio sia stato concesso alla notizia della scarcerazione.
La seconda osservazione riguarda la deontologia giornalistica.
Nella fase precedente alla sentenza definitiva di condanna i nomi dovrebbero essere citati con grande senso di responsabilità e dunque con parsimonia. La rete infatti li inchioda in eterno massacrando la privacy e la presunzione di innocenza. Si resta colpevoli a vita nonostante una possibile assoluzione giudiziaria.
Inoltre dovrebbe essere obbligatorio nella fase delle indagini l’uso del modo condizionale o dell’aggettivo presunto.
Infine vi è il tema specifico del terrorismo internazionale.
Non è questo un reato qualunque. Non viviamo in un momento qualunque. Dunque ancor più cautela dovrebbe essere usata in questo ambito evitando di indurre a facili assimilazioni tra immigrato, profugo, radicalizzato, combattente, terrorista.
Le parole vanno maneggiate con grande cura e nel rispetto delle libertà fondamentali.