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Latina: Braccianti Indiani “dopati” per reggere i ritmi da schiavi

Succede a Latina, per aumentare le possibilità di sfruttamento. Il consumo abnorme di un farmaco per malati oncologici fa scoprire la prescrizione illecita a centinaia di braccianti indiani

Un farmaco per non sentire la fatica, per resistere a turni massacranti, per essere sfruttati meglio. “No pain”, nessun dolore. Specialmente quando sei indiano e lavori nei campi di qualche imprenditore italiano. L’ossicodone, l’oppioide contenuto nella medicina, è potente come la morfina ma ha meno effetti collaterali. Per questo viene utilizzato contro il dolore oncologico. Anche il caporalato è un cancro, per alcuni lo stesso capitalismo è un tumore per le società in cui si incista ma l’ossicodone non estirpa né l’uno né l’altro. Mentre il governo di Confindustria sblocca i licenziamenti e enfatizza le possibilità del subappalto, la sua avanguardia sul campo scopre le nuove frontiere della macelleria sociale.

“No pain”, nessun dolore. L’hanno chiamata così, i carabinieri del Nas, l’indagine che stamattina ha portato all’arresto di un medico di Sabaudia, e altre misure cautelari interdittive della sospensione per un anno dai rispettivi pubblici servizi contro quel dottore, un farmacista del posto, un avvocato e al divieto di dimora nella provincia di Latina per una donna di origine marocchina, dipendente della farmacia. I quattro destinatari dei provvedimenti, sono indagati a vario titolo per illecita prescrizione di farmaci ad azione stupefacente, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, frode processuale, falso e truffa ai danni dello Stato.

Le misure cautelari, emesse dal Gip del Tribunale di Latina, dott. Giuseppe Molfese, sono state eseguite con il supporto di militari del comando provinciale dei carabinieri di Latina. Ad aprile 2020 il monitoraggio sulla dispensazione dei farmaci ad uso stupefacente ha rivelato un consumo anomalo di un prodotto nella zona pontina, così gli investigatori sono risaliti al medico di medicina generale in convenzione con l’Ausl di Latina che rilasciava illecitamente – per finalità non terapeutiche – in favore di 222 propri assistiti di nazionalità indiana (per lo più impiegati nel settore agricolo), circa 1.000 prescrizioni mediche (per la gran parte a carico del Servizio sanitario nazionale) per la dispensazione di oltre 1.500 confezioni di un farmaco stupefacente (con principio attivo ossicodone), accertando che l’assunzione del medicinale avveniva non per curare patologie degli assistiti ma per poter loro consentire di effettuare dei gravosi turni di lavoro, che la maggior parte svolgeva nel settore agricolo attestando falsamente esenzioni di ticket sanitario causando cosi un danno al Servizio sanitario nazionale quantificato in oltre 24 mila euro.

Il medico ha inoltre prescritto indebitamente 3.727 ricette del indicando falsamente il codice di esenzione ticket a favore di 891 pazienti provocando un danno al Sistema sanitario nazionale per 146.052,89 euro complessivi; prescriveva farmaci, a carico del Ssn, mai consegnati ai pazienti intestatari delle ricette, il cui costo veniva rimborsato alla farmacista indagata; in concorso con gli altri indagati extracomunitari, formava falsi certificati medici finalizzati all’illecita regolarizzazione di cittadini extracomunitari, attestando falsamente la loro presenza sul territorio nazionale in epoca antecedente all’8 marzo 2020; ha redatto inoltre, in concorso con un avvocato del foro di Latina – anch’egli indagato e destinatario di misura interdittiva – un certificato medico in favore di un 51enne del luogo già colpito da ordine di esecuzione per la carcerazione e decreto di sospensione del medesimo, attestante false patologie psichiatriche da utilizzare per ottenere una misura alternativa alla detenzione.

Su questo i carabinieri sono stati piuttosto discreti ma la domanda è chi ha “consigliato” ai braccianti di imbottirsi di un oppioide prima di andare a lavorare? E’ stata la pressione degli agrari, la prescrizione specifica dei caporali, oppure una mossa di resilienza in qualche modo autonoma? Ovvio che la risposta non muta le responsabilità di un comparto che, in “Pontinistan” o altrove, è ispirato allo sfruttamento selvaggio, con o senza la certificazione della penetrazione delle agromafie. Per approfondire il tema dello sfruttamento dei braccianti in quella pianura si legga la ricerca del sociologo Marco Omizzolo, Sotto padrone. Uomini, donne e caporali nell’agromafia italiana (Feltrinelli).

Una cooperativa, InMigrazione, già nel 2014 aveva realizzato un dossier raccogliendo la testimonianza dei braccianti: “Doparsi come schiavi. Un esercito di braccianti indiani sikh sfruttati e costretti a doparsi per sopportare la fatica dei campi e le violenze dei “padroni”, a pochi chilometri dalla Capitale”. Una forma di doping, che preoccupa molto la comunità, vissuto con vergogna dai lavoratori di origine sikh perché contrario alla loro religione e cultura ma che per tanti di loro è l’unico modo per sopravvivere ai ritmi di lavoro insostenibili. Sono almeno 30mila, vivono in alloggi fatiscenti e sovraffollati, come ha dimostrato poche settimane fa un focolaio di covid proprio a Sabaudia che ha coinvolto molti di loro. Lavorano anche 12 ore al giorno nei campi a margine del Parco nazionale del Circeo dove invece la Roma bene si crogiola in un incrocio magico di ecosistemi, biodiversità, storia, leggende. «Un lavoro usurante fatto anche sette giorni su sette sotto il sole cocente come sotto la pioggia.

Una routine dello sfruttamento continua che genera frustrazione, prepotenze e un lucroso business in mano a spregiudicati sfruttatori e a volte anche a neoschiavisti e ma osi. La sera la schiena, il collo e le mani che fanno male, gli occhi arrossati dal sudore, dalla terra e in alcuni periodi dell’anno anche da pesticidi usati senza le dovute precauzioni e cautele; eppure non ci si può fermare», si legge nel dossier. Già sette anni fa era chiaro che il traffico è saldamente in mano a trafficanti italiani, “la sostanza” come la chiamano gli indiani li spinge anche a cercarla al mercato dell’eroina di CastelVolturno. Nata come associazione, dal 2015, InMigrazione è diventata cooperativa per sperimentare progetti e innovative metodologie per concretizzare percorsi d’aiuto efficaci con e verso i migranti in situazioni di disagio. Esperienze concrete che sappiano diventare buone pratiche riproducibili, per contribuire a migliorare quel sistema di accoglienza e inclusione sociale degli stranieri.

Checchino Antonini

da popoff