Rivolte, torture, affollamenti, malattie, l’inquietante rapporto di Human Rights Watch Brasile sulle carceri brasiliane
Il 3 gennaio le forze speciali della polizia brasiliana hanno fatto irruzione nel carcere Anisio Jobim a Manaus, nello stato di Amazonas. Lo spettacolo davanti ai loro occhi deve essere stato raccapricciante, morti, sangue a terra e sulle pareti, alla fine il conto delle vittime è stato di 60 prigionieri uccisi, molti sono stati decapitati. Una violenza di gruppo ferocissima scaturita dallo scontro tra membri delle due maggiori gang che costituiscono la popolazione carceraria: il Primero Comando da Capital e il Comando Vermelho. Solo quattro giorni dopo una nuova strage, una vendetta, che ha provocato 33 morti nella prigione di Agricola de Monte Cristo a Boa Vista, capitale dello Stato di Roraima. Il presidente del Brasile, Michel Temer, ha definito i massacri un «devastante incidente», una definizione che presupporrebbe una casualità non prevedibile ma che nasconde ragioni profonde.
Maria Laura Canineu, direttrice di Human Rights Watch Brasile, scrive nel suo ultimo rapporto: «Nel corso degli ultimi decenni, autorità brasiliane hanno sempre abdicato alle loro responsabilità di mantenere l’ordine e la sicurezza nelle carceri. Questo fallimento viola i diritti dei prigionieri ed è una manna per bande, che fanno uso di prigioni come terreno di reclutamento».
Secondo il Ministero della Giustizia un detenuto brasiliano ha una probabilità tre volte superiore, rispetto a qualsiasi altro prigioniero nel mondo, di rimanere ucciso. Per le statistiche ufficiali nel 2014 il rapporto tra guardie carcerarie e detenuti nello stato di Amazonas era di 1 a 10. HRW ha potuto verificare come in alcuni istituti «le guardie pattu- gliano solo il perimetro esterno e non entrano nei blocchi delle celle». In molte prigioni il controllo è gestito dai cosiddetti “chaveiros”, detenuti spesso condannati per omicidio, selezionati dalle stesse guardie, ai quali vengono addirittura consegnate le chiavi di intere sezioni.
Il rapporto mette in evidenza il sovraffollamento dei penitenziari che determina il potere delle organizzazioni criminali. Solo attraverso di esse è possibile per un nuovo arrivato acquistare un posto per dormire. Le celle senza finestre sono piene di muffa, feci e urina, decine di uomini sono costretti a lottare per un minimo spazio vitale. Costruite per ospitare circa 372mila persone, le carceri brasiliane, sempre secondo il Ministero della Giustizia, contano 622mila detenuti. Il Brasile è il paese con la quarta popolazione carceraria più grande del mondo dopo Stati Uniti, Cina e Russia. I dati ufficiali si riferiscono al 2014, anno nel quale il numero dei detenuti registrò un incremento record del 161% rispetto al 2000.
Nel febbraio del 2016 l’Onu ha pubblicato le conclusioni del relatore speciale contro la tortura Juan Mendez. Il documento è giudicato come il più duro nei confronti del sistema penitenziario brasiliano. Si parla di maltrattamenti e torture con una sola indicazione: ridurre la popolazione carceraria. Per Mendez «il Brasile dovrebbe discutere seriamente la sua politica di carcerazione di massa, le sue origini e le conseguenze». Sotto accusa la politica sulle droghe e le storture giuridiche. Attualmente più di un terzo degli uomini e il 63% delle detenute si trova in prigione per reati legati al consumo o al piccolo spaccio di stupefacenti. Proprio la politica di criminalizzazione ha consegnato le prigioni in mano ai cartelli criminali. Come rileva HRW, il 40% dei detenuti è in attesa di processo, spesso sono messi in cella insieme a chi è stato condannato per reati gravissimi ed è facilissimo che i più deboli cerchino la protezione delle gang. Quest’ultime affiliano nuovi soldati, un vincolo che rimane anche una volta usciti dal carcere. Di fronte all’impotenza, un’ossessione securitaria ha travolto il Brasile, ad esempio nello stato di Pernambuco è stato varato il programma denominato Patto per la Vita che concede ricompense per i poliziotti che compiono più arresti. Si è anche pensato di ridurre l’età per la responsabilità penale da 18 a 16 anni, una misura approvata dalla Camera dei Deputati nel 2014 ma che ha incontrato l’opposizione del Senato e del governo quando ancora era in carica la presidente Dilma Roussef. Se applicata la legge potrebbe mandare in carcere fino a 40mila minorenni ogni anno.
Sul modello degli Stati Uniti anche in Brasile stanno sorgendo carceri totalmente private. La prima è stata inaugurata nel 2013 a Ribeirão das Neves nello stato di Minas Gerais. In realtà prigioni esternalizzate esistevano in almeno altre 22 località, in questo caso tutta la gestione è stata data completamente in mano ai privati, il pubblico garantisce il 90% minimo di posti occupati e la selezione dei detenuti per facilitare la riuscita del progetto. Per Robson Sávio, coordinatore del Nucleo di Studi Socio- Politici dell’Università di Minas, questo successo può essere dato solo con un aumento delle detenzioni o con il reinserimento sociale del detenuto. La convinzione è che la privatizzazione tenda alla prima delle ipotesi. Basta consultare documenti pubblici, come ha fatto l’agenzia di giornalismo investigativo Publica, per capire che un detenuto in una prigione statale costa circa 1300- 1700 reais al mese; nel progetto di Neves, il consorzio di imprese ( GPA) che ha vinto l’appalto riceve dalle autorità 2700 reais per ogni detenuto e ha la concessione del penitenziario per 27 anni, prorogabile fino a 35. Riempire prigioni in ogni modo è dunque una grande fonte di profitto, il risultato è il massacro di Manaus.
Alessandro Fioroni da il dubbio
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