«Se indulto e amnistia non sono attuabili a causa delle diverse visioni politiche, la reintegrazione della liberazione anticipata speciale di 75 giorni estesa a tutta la popolazione detenuta compreso il 4bis, è una strada possibile». È la richiesta delle detenute del carcere Lorusso- Cotugno di Torino contenute nel loro appello sottoscritto da loro, con tanto di nome e cognome. Fanno presente che il Covid-19 ha ufficialmente fatto ingresso nel padiglione femminile, che conta un centinaio di donne ristrette. «Al momento ci sono alcuni casi di positività accertata, altre compagne sono in attesa dell’esito del tampone, altre invece sono state preventivamente isolate». La Direzione e i coordinatori del padiglione femminile, in accordo con l’area sanitaria, prontamente hanno messo in campo le misure per contenere e monitorare il contagio dal tampone rapido alla sanificazione di celle e spazi comuni.
Chiedono una risposta delle istituzioni
«Viviamo però – fanno presente le detenute – ore di angoscia e di impotenza rispetto a tutto ciò: poiché agli sforzi del singolo (inteso come le direzioni dei penitenziari) deve rispondere l’istituzione centrale».Agli appelli dei detenuti, dei garanti dei detenuti, delle camere penali, dei magistrati di sorveglianza delle associazioni, di senatori a vita, di ex-ministri, di scrittori, artisti, dei famigliari e della gente comune per misure di clemenza come amnistia, indulto e misure deflattive, secondo le detenute deve conseguire una risposta delle istituzioni. «Con la nascita di questo governo di larghissime intese – prosegue l’appello -, si è sentito parlare di europeismo, rispetto della costituzione, soprattutto di “discontinuità”. Allora l’antica lotta tra giustizialisti e garantisti deve essere superata con una presa di posizione che evidenzi civiltà e rispetto dei diritti, che la comunità europea stessa chiede all’Italia, che è “maglia nera” per quanto riguarda la giustizia in tutte le sue accezioni».
Chiedono di non discriminare chi è in carcere per reati ostativi
Le detenute spiegano che eventuali misure non devono discriminare chi è dentro per reati ostativi, perché i gap del sistema carcerario colpiscono tutti indistintamente così come le insidie che ha aggiunto la pandemia. «Se questa proposta fosse retroattiva al 2015, data in cui venne sospesa, il sovraffollamento si ridurrebbe permettendo condizioni migliori sia a noi reclusi, sia a chi opera all’interno delle carceri, dando utilità e funzionalità al proprio operato», osservano sempre le detenute nell’appello rivolto alla ministra della giustizia Marta Cartabia.
L’appello ricevuto dall’associazione Yairaiha Onlus
Le detenute del carcere di Torino spiegano che la pandemia ha messo a rischio la salute di tutti coloro che sono all’interno: reclusi, poliziotti, personale pedagogico, psicologi e operatori sanitari e ha anche reso la loro reclusione pesantissima dal punto di vista psicologico e dell’affettività: sono state ancora più isolate. Le detenute hanno ben presente che la pandemia, tra gli effetti nefasti, ha aumentato il divario tra ricchi e poveri. «Anche noi da qui dentro attraverso i canali d’informazione siamo rimaste basite davanti alle immagini delle code davanti alla Caritas e nessuno meglio di noi può comprendere cosa voglia dire la solitudine obbligata degli anziani nelle Rsa, la distanza forzata, la mancanza di un abbraccio», osservano le detenute, spiegando che bisogna superare il concetto che il carcere sia un “pianeta a sé”. Sono ben consce che, nonostante non sia più un argomento tabù, rimane comunque argomento divisivo e difficile da trattare in sede parlamentare. «Ma la discontinuità va dimostrata a tutto campo. La pena non deve avere un’accezione “vendicativa” e retributiva, ma essere utile sia noi sia alla società che ci riaccoglierà da liberi», chiosano le detenute.L’appello, ricevuto ieri dall’associazione Yairaiha Onlus, è stato prontamente inoltrato a tutte le sedi competenti. «Nel testo di questa lettera – spiega Sandra Berardi, la presidente dell’associazione – emerge chiaramente una rinnovata fiducia nelle istituzioni e nella società civile e chiedono, finalmente, un cambio di passo rispetto al passato nel rispetto dei principi di uguaglianza e di utilità della pena sanciti dalla Costituzione».
Damiano Aliprandi
da il dubbio