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Le garanzie individuali costituzionali e le “zone rosse”

Autoritarismo a tutto spiano. Una denuncia del direttivo della Camera Penale di Milano.

di  Direttivo della Camera Penale di Milano

Diminuiscono i reati (ma aumentano gli arresti); e forse proprio per rassicurare ancora di più i milanesi, si istituiscono le zone rosse. Che, niente paura (in via del tutto eccezionale, rispetto al main stream, non si intimorisce ma si rassicura soltanto), non sono quelle dell’epoca della pandemia, dove tutta Italia assisteva angosciata all’attribuzione di un colore per poterne desumere i propri residui spazi di libertà, ma sono quelle istituite, richiamando il potere prefettizio ex art. 2 TULPS, con un recentissimo provvedimento milanese, peraltro analogo ad altri del tutto simili adottati a Bologna e Firenze a cavallo degli anni 2018 e 2019.

Il Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica, nella seduta del 27 dicembre, ha infatti sollecitato un provvedimento contingibile ed urgente, poi formalmente adottato dal Prefetto di Milano, che istituisce appunto “zone rosse” al fine di fronteggiare “la presenza di soggetti molesti e aggressivi, dediti alla commissione di reati e non in regola con la normativa in materia di immigrazione, tale da incidere negativamente sulla percezione di sicurezza dei cittadini e dei turisti che fruiranno di quelle aree“.

Ancora una volta, pur a fronte del calo dei reati rispetto all’anno precedente, che è proprio il Prefetto a richiamare nel comunicato con cui si annuncia l’adozione del provvedimento1, la percezione d’insicurezza – vera o presunta – diviene l’occasione per restringere spazi di libertà.

Così nelle zone rosse, per tre mesi (non solo e non tanto, dunque, per una presunta emergenza legata ai festeggiamenti per la fine dell’anno), si prevede il “divieto di stazionamento ai soggetti che assumono atteggiamenti aggressivi, minacciosi o molesti, e risultino destinatari di segnalazioni dell’Autorità giudiziaria per reati in materia di stupefacenti, contro la persona, contro il patrimonio per i delitti di furto constrappo, rapina, danneggiamento, invasione di terreni ed edifici, detenzione abusiva di armi od oggetti atti ad offendere e che costituiscano un concreto pericolo per la sicurezza pubblica, tale da ostacolare la libera e piena fruibilità delle infrastrutture del trasporto e delle aree urbane individuate“.

E ovviamente anche in questo caso è pronta la sanzione penale da applicare nei confronti dei contravventori: l’art. 650 c.p. e l’art. 17 TULPS, norme espressamente richiamate nell’ordinanza prefettizia, che puniscono con arresto o ammenda i trasgressori di provvedimenti diretti- questa almeno la finalità dichiarata – alla tutela dell’ordine pubblico.

Al di là di facili considerazioni di tipo sociologico sui bersagli non dichiarati dell’iniziativa assunta dalla Prefettura di Milano (ove addirittura si evoca una sorta di presunzione di pericolosità per i giovani extracomunitari di “seconda generazione“), non possiamo, da avvocati penalisti, non preoccuparci per i riflessi che il prowedimento determina sulle garanzie individuali.

In primo luogo, allarma il fatto che diritti tutelati a livello costituzionale e convenzionale, anche attraverso una esplicita riserva di legge, quali quelli alla libertà personale (l’allontanamento forzoso la viola senza dubbio) e di movimento, vengano compressi con provvedimenti dai contenuti tutt’altro che tipici, che rimandano a categorie impalpabili (atteggiamenti aggressivi? Concreto pericolo per la sicurezza pubblica?), e di durata non corrispondente alle presunte ragioni di urgenza legittimanti il provvedimento di natura eccezionale.

Si sottrae, così, spazio al controllo democratico garantito dal procedimento legislativo e, attraverso interventi di soft law, s’interviene su libertà fondamentali del cittadino. In secondo luogo, che tali provvedimenti si rivolgano contro persone destinatarie di mera segnalazione all’autorità giudiziaria è dato altrettanto preoccupante, contrario al principio della presunzione di non colpevolezza e peraltro anche al buon senso, trattandosi in diversi casi di tipologie di reato perseguibili a querela suscettibile di remissione.

Infine, sorprende che la Prefettura adotti tale provvedimento nonostante analoghe ordinanze – sempre ispirate da logiche securitarie e accompagnate da campagne emergenziali – siano state annullate dai giudici amministrativi proprio per le ragioni poc’anzi esposte (genericità dei presupposti e inammissibili presunzioni legate precedenti di polizia non verificati): il TAR della Toscana, sezione Il, annullò con sentenza del 23 maggio 2019, un’ordinanza del Prefetto di Firenze che aveva istituito zone rosse sulla scorta di motivazioni sovrapponibili a quelle sottese al provvedimento dello scorso 27 dicembre.

Sembra proprio che Milano voglia anticipare i tempi, introducendo per via amministrativa una parte del progetto securitario contenuto nel “ddl sicurezza” in discussione al Senato e sul quale anche il Consiglio d’Europa ha espresso proprio in questi giorni riserve e allarmi. Per questo noi avvocati penalisti non possiamo tacere. Anche se ci circonda un silenzio assordante.

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