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Le intimidazioni della polizia contro chi vuole manifestare

Sabato 16 giugno siamo stati a Roma. Una manifestazione autorizzata, organizzata dall’Unione Sindacale di Base a cui anche Potere al Popolo, ha aderito.

Questo il trattamento riservato dalle Forze dell’ordine a tutti i pullman in arrivo al casello. Il nostro pullman è stato fermato addirittura due volte. La prima volta la polizia è salita sul pullman e ha detto che dovevamo mostrare i documenti davanti alla nostra faccia e ci avrebbero fotografato tutti.

identificazioni

La stessa cosa è accaduta a tutti i pullman che si sono recati a Roma a protestare contro il governo. A chiedere maggiori diritti, a chiedere che venissero mantenute le promesse di governo come l’abolizione della Riforma Fornero, del Jobs Act, a denunciare che non si può morire perché ti sparano alla testa mentre cerchi lamiere per ripararti quando ti sfruttano per una miseria come bracciante.

La disposizione è stata data dal Viminale, cioè dal Ministero degli Interni. Cioè da Matteo Salvini.
La democrazia sta scomparendo piano piano. Anche manifestare il dissenso è sempre più difficile, aumentano le intimidazioni. Come l’altro giorno, quando 3 giornalisti che indagavano sui soldi fatti sparire dalla Lega sono stati trattenuti in caserma per ore senza motivo.

Stiamo diventando uno stato di polizia senza accorgercene, dove se vuoi manifestare contro il governo, si fa una bella foto alla tua faccia e al tuo documento. Del resto tutte le promesse di questo governo non verranno mantenute. Non ci sono le coperture. L’unico modo sarà fare ulteriore tagli alla spesa pubblica, aumentare le privatizzazioni, peggiorare i servizi, ed ecco che è bene avere una stretta sulle proteste e chi non vuole accettare questo stato di cose.

Se è lecito che un agente chieda i documenti a qualcuno, è altrettanto vero che ci dovrebbe essere un motivo e non un’azione sistematica verso tutti i gruppi che vanno a un corteo autorizzato. Il metodo della schedatura “volante” su un pullmann, con foto dei documenti di identità e dei volti non ci pare il massimo della democrazia e trasparenza.

Una domanda viene spontanea: poi quelle foto che fine fanno? Vengono distrutte? Vengono conservate in qualche modo? Si segnala che quella persona quel giorno ha manifestato? Che ha una determinata idea politica? Chi gestisce questi dati? Con quale diritto?

E ora arrivano anche i taser, oltre che la garanzia di impunità alle forze dell’ordine: leggi di più qui

Potere al Popolo

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C’è un clima pesante e non è colpa dell’umidità

Gli episodi di repressione e intimidazione ai tempi di Salvini.

Dai filmati di un salvataggio della Sea Watch sequestrati ai giornalisti all’interrogatorio di altri tre giornalisti sull’inchiesta rispetto ai presunti flussi finanziari della Lega su cui indagano, dall’indifferenza per Giulio Regeni al no al codice identificativo per i poliziotti, fino ai manifestanti identificati preventivamente. L’idea di L’Italia dei sogni di Matteo Salvini commentata da Italo Di Sabato dell’Osservatorio repressione.

Giambattista Vico, filosofo del 1600, parlava di corsi e ricorsi storici: fasi salienti della storia che ricorrono nei secoli, conservando la forma e variando nel contenuto. Sappiamo bene che l’Italia ha vissuto l’ultimi decenni della sua vita monarchica sotto un regime dittatoriale, il fascismo, la cui prima garanzia di controllo era un corpo di polizia violento ed insieme una repressione della libertà di stampa e di parola, che evitasse di sollevare voci critiche nell’opinione pubblica.

Se è sempre azzardato fare paralleli storici forti, diversi casi di cronaca degli ultimi giorni restituiscono un clima quantomeno inquietante. Ad esempio il fatto avvenuto lo scorso 10 giugno a Reggio Calabria, quando alcuni giornalisti sono stati obbligati dalla Questura della città calabra a consegnare i file video del salvataggio di migranti operato dalla nave ong See Watch, su cui erano a bordo.
Oppure il no del ministro degli interni Salvini al codice alfanumerico identificativo sul casco dei poliziotti, discussione di lunga data che ebbe origine dopo i fatti del G8 di Genova del 2001.

O ancora: l’interrogatorio effettuato dalla polizia di Bolzano, su richiesta della procura di Genova, a tre giornalisti genovesi che indagavano sull’ipotesi di flussi finanziari della Lega.
Senza dimenticare le dichiarazioni di Salvini sul caso di Giulio Regeni, per cui più che cercare la verità sulla morte del ricercatore italiano è importante mantenere i rapporti con il governo tutt’altro che democratico di Al Sisi.
E infine, la solidarietà espressa sempre da Salvini al poliziotto che, a Genova e per difendere il suo collega, ha ucciso un ragazzo ventenne  che rifiutava il TSO.
Una carrellata di notizie indice del clima politico e sociale che va profilandosi in Italia dopo l’insediamento del governo giallo-verde di Giuseppe Conte. E, sopratutto, dopo la pretesa di Matteo Salvini di essere nominato ministro degli Interni.

A commentare ai nostri microfoni questo è Italo Di Sabato dell’Osservatorio Repressione: “È un pessimo clima costruito nell’arco degli ultimi vent’anni, in cui di fatto si è distrutto con una serie di politiche penali qualsiasi idea di Stato Sociale. Oggi serve sia un’ulteriore criminalizzazione di una serie di soggettività, ossia migranti, poveri, marginali; sia bisogna costruire intorno a questo un consenso sociale: convincere cioè l’opinione pubblica che il pericolo proviene da chi contesta o è più povero di te”.
E se i più poveri sono i migranti, i contestatori sono i giornalisti e chi manifesta il proprio pensiero pubblicamente. Da qui si comprende pure il motivo di fermare tutti i pullman che sabato scorso si dirigevano a Roma per la manifestazione di Potere al Popolo ‘Prima gli Sfruttati’ con lo scopo di identificare uno per uno i manifestanti.

È in questa chiave repressiva, quindi, che si può comprendere il no del ministro degli Interni al numero identificativo. “Oltre ad essere il prezzo da pagare per tutte le promesse fatte ai sindacati della polizia –  continua Di Sabato – il punto è che oggi serve una polizia sempre più ademocratica e disposta a reprimere anche con la violenza chiunque esce fuori dal coro unanime che si sta costruendo. Il codice identificativo è in tutte le polizie europee e perfino in quella Turca; l’Italia non lo vuole perché preferisce garantire ulteriore impunità alle forze dell’ordine”. Una polizia, ricorda Di Sabato, le cui fila sono composte da gente addestrata sui campi di guerra e del tutto avvezza alla violenza.

Marta Campa

ASCOLTA L’INTERVISTA A ITALO DI SABATO:

da Radio Citta Fujiko

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