Le mani delle mafie dell’Est sulle armi «donate» a Kiev dall’Occidente
Emerge un traffico di ordigni bellici e di triangolazioni che coinvolgono anche l’Iran e la Russia. L’allarme era partito dall’Interpol
di
È una tremenda guerra, dagli esiti drammatici per tutti, anche per l’area Schengen per la libera circolazione nell’Unione Europea. I servizi segreti occidentali stanno piano piano smarrendo le tracce del diluvio di armi che gli alleati riversano da tempo in Ucraina. Protetti da voti governativi e parlamentari, i traffici legali stanno purtroppo alimentando circuiti clandestini: un buco nero gestito dalle mafie ucraine, con la complicità di trafficanti transnistriani, moldavi e romeni. Siamo finiti in un buco nero che divora tutto, con la probabile connivenza di ufficiali intermedi dell’esercito di Kiev. Jurgen Stock, direttore generale d’Interpol, non aveva sbagliato, mesi addietro: «L’enorme disponibilità di armi in Ucraina –aveva detto – si ripercuoterà sulla proliferazione di traffici illeciti a guerra finita». Stock non ci aveva preso solo sui tempi, perché l’Ufficio nazionale d’inchiesta finlandese ha già intercettato carichi provenienti dall’Ucraina e destinati a criminali finlandesi. A gestire i traffici sarebbero gruppi come Bandidos MC, che innervano molte metropoli ucraine. Il problema sta assumendo proporzioni inedite, perché sarebbero coinvolti pure Svezia, Danimarca e Paesi Bassi, raggiunti via terra e via mare dai mercanti di morte. Alcuni gruppi criminali sono attivi ormai dal 2016, altri sono più recenti. Il mercato in cui sguazzano è enorme e promettente, perché il confine fra Moldavia, Romania e Ucraina non è ermetico. A luglio, l’Ue aveva cercato invano di rimediarvi, creando in Moldavia «un hub di supporto alla sicurezza interna e al controllo delle frontiere». Ma qualcosa non ha funzionato. La frontiera è porosa, fitta com’è di boschi e foreste, difficili da sorvegliare.
È un affare anche per le mafie moldave e della Romania: un fucile di precisione occidentale frutta fino a 3mila euro, un’arma d’assalto vale fino a 1.700. E la rotta romena comincia a fare concorrenza a quella balcanica, da sempre porta girevole dei traffici clandestini diretti in Europa occidentale. Le gang criminali offrono di tutto, anche armi pesanti, razzi anticarro, mine e granate. I servizi segreti statunitensi e il dipartimento di Stato non se la sentono tuttavia di accusare Kiev. Ritengono più verosimile che ad alimentare i circuiti illeciti siano i russi e i loro “proxy” dell’est ucraino, entrati in possesso di molte armi occidentali, bottino di tante battaglie contro i regolari di Zelensky. Il generale Pat Ryder, portavoce del Pentagono, ha già messo le mani avanti: «Abbiamo nostri uomini all’ambasciata statunitense a Kiev. Con l’addetto militare, stiamo ispezionando gli equipaggiamenti che forniamo all’Ucraina. Finora non sono emerse falle nel sistema di controllo».
Ma la guerra produce caos e gli ufficiali americani non si spingono al fronte, dove il confine fra il lecito e l’illecito svanisce e prosperano i crimini. Su una cosa gli americani hanno tuttavia ragione: le armi occidentali catturate dai russi offrono a Mosca il destro per orchestrare altri traffici. Secondo “Skynews”, almeno un aereo cargo dell’intelligence militare russa avrebbe fatto la spola con l’Iran: stivava a bordo missili anticarro anglo-svedesi e armi antiaeree statunitensi. Un carico prezioso, ceduto ai pasdaran in cambio dei famigerati droni-kamikaze. Il Pentagono finora non conferma, ma neppure smentisce. L’affare sarebbe vantaggioso sia per gli iraniani, maestri nel copiare le tecnologie altrui, integrarle in armi indigene e cederle ai vassalli mediorientali, sia per Mosca: in un colpo solo il Cremlino avrebbe ottenuto sistemi iraniani chiave in mano senza urtare gli amici israeliani, timorosi che cacciabombardieri russi di ultima generazione fossero barattati con Teheran in cambio di armi.
da Avvenire