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L’egemonia della sicurezza contro la democrazia

«L’avversario politico diventa un delinquente comune e quindi la legge lo colpisce come tale»: le parole di Concetto Marchesi in Assemblea Costituente restituiscono perfettamente il senso del disegno di legge «eco-vandali».

di Alessandra Algostino da il manifesto

Disegno di legge che, sin dal nome mediatico, racconta di una delegittimazione e criminalizzazione del dissenso. È evidente, come ha argomentato su queste pagine Riccardo De Vito, l’obiettivo del provvedimento: colpire le manifestazioni pubbliche e il senso politico-sociale delle azioni ambientaliste.

Riprendo un passaggio dell’articolo 4, che estende le ipotesi relative al reato di deturpamento e imbrattamento (art. 639 c.p.) e si distingue per la mancanza di ogni pudore giuridico, per la sua prepotenza nel costruire una fattispecie ad hoc ad immagine e somiglianza di alcune azioni di Ultima Generazione: «Se il fatto è commesso su teche, custodie e altre strutture adibite all’esposizione, protezione e conservazione di beni culturali esposti in musei, pinacoteche, gallerie e altri luoghi espositivi…». È lo stesso «stile» del decreto “rave” e del decreto “Caivano”. La norma è la risposta politica al singolo caso concreto, appiattita sull’immediato.

Intendiamoci: il diritto è un fenomeno sociale in interazione con la realtà, ma in questi casi è utilizzato alla stregua di comunicato politico. Questa tuttavia è solo una parte del discorso; esiste una chiara ideologia che accomuna i singoli provvedimenti: la costruzione di un modello autoritario e repressivo nell’affrontare il disagio sociale (il decreto “Caivano”) come la protesta (dai rave agli attivisti ambientali). È la declinazione egemone della sicurezza, antitetica rispetto alla «sicurezza dei diritti» e alla sicurezza sociale, che individua i propri nemici nel dissenso, nella marginalità sociale e nei migranti.

Il disegno di legge contro l’eco-attivismo è paradigmatico del filo nero che coopta nella repressione il diritto penale, come quello civile e amministrativo: previsione di nuovi reati, inasprimento delle pene per quelli esistenti, sovradeterminazione delle fattispecie penali, abuso degli strumenti cautelari e delle misure di prevenzione, introduzione di multe e richieste di risarcimenti. È il laboratorio repressione sperimentato in Val di Susa contro il movimento no Tav e affinato in via legislativa negli anni attraverso i vari decreti sicurezza, multi-partisan, anche se l’attuale governo si distingue per l’accanimento autoritario (pacchetto sicurezza Berlusconi 2008-2009, decreti Minniti 2017, decreti sicurezza Salvini 2018-2019, decreto rave e decreto Piantedosi 2022-2023).

L’intento è sia repressivo sia preventivo: si mira a punire, criminalizzare e delegittimare la protesta, a dissuadere altri potenziali partecipanti, producendo quel «timore ragionevole in altri cittadini coinvolti in mobilitazioni sociali o che vorrebbero partecipare ad esse» che la Corte Interamericana dei diritti dell’uomo ha denunciato. Il cumulo di pene e sanzioni pecuniarie e la costruzione mediatica del «vandalo» amplificano l’effetto deterrente, disincentivando l’effettiva partecipazione sancita quale obiettivo dalla Costituzione.

Riprendo un altro passaggio del disegno di legge: la pena è aumentata se il fatto è commesso «in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico». La manifestazione da diritto, un diritto co-essenziale rispetto alla democrazia, in quanto ne concretizza l’essenza pluralista e conflittuale, diviene una aggravante. Dalla tutela delle opinioni anche quando disturbano o inquietano (Corte europea dei diritti dell’uomo), dalla consapevolezza del «rapporto necessario fra democrazia e dissenso» (Bobbio), dalla considerazione che lo Stato di diritto è «qualcosa di più complesso e sottile» rispetto alle «semplici proposizioni draconiane, secondo le quali i crimini devono essere puniti» (Dworkin), si è giunti all’accanimento contro chi agisce per l’attuazione di un valore costituzionale, che, nel 2022, il legislatore ha voluto inserire in Costituzione.

Senza «libertà di stampa e di riunione illimitata, libera lotta d’opinione…», «la vita pubblica s’addormenta» (Rosa Luxemburg). É questo il fine, una democrazia anestetizzata? O forse, questo è solo il mezzo? L’eco-attivismo è punito in quanto critica il modello di sviluppo e costituisce manifestazione del conflitto sociale, un conflitto che il neoliberismo, insieme forte per la sua egemonia e debole per le sue contraddizioni, vuole, e «deve», cancellare? Se così è, la democrazia, che del conflitto garantisce l’espressione, è una vittima insieme collaterale e strutturale della lotta di classe vinta dall’alto.

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