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Cattive memorie. A margine del “caso Battisti”

Cesare Battisti è stato scarcerato.  Il tribunale federale brasiliano nella notte del 6 ottobre gli ha concesso la libertà, accogliendo la richiesta di habeas corpus avanzata dai suoi legali.

Una decisione provvisoria, tengono a sottolineare i media. Battisti è comunque colpito da un obbligo di firma e dal divieto di lasciare lo stato di San Paolo.

L’ex militante dei Proletari Armati per il Comunismo che negli ultimi anni si è visto riconosciuto lo status di rifugiato politico in Brasile ma che pochi giorni fa è stato arrestato dalla polizia brasiliana mentre, secondo le autorità, cercava di riparare in Bolivia.

Il governo brasiliano – sotto la guida del golpista e leader della destra Michel Temer – avrebbe però pronto un piano per la sua estradizione in Italia già nei prossimi giorni, a condizione che non sconti l’ergastolo, incostituzionale secondo la legge brasiliana, ma al massimo 30 anni di carcere.

Radio Onda d’Urto ne parla del caso Battisti con la giornalista ed ex prigioniera politica Geraldina ColottiAscolta o scarica

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Era passato poco più di un anno dalla fine del regime quando Togliatti amnistiò i criminali fascisti. Quasi quarant’anni dopo qui ancora si parla di mandare in galera Cesare Battisti.

La risposta è in un articolo di Giorgio Agamben, uscito sul manifesto del 23 dicembre 1997.

Cattive memorie

La classe politica italiana rifiutando l’ipotesi dell’amnistia per i reati degli anni di piombo si condanna al risentimento: ciò che dovrebbe essere oggetto di indagine storica viene trattato come un problema politico di oggi.

Come molte categorie e istituzioni delle democrazie moderne, anche l’amnistia risale alla democrazia ateniese. Nel 403 avanti Cristo, infatti, dopo aver abbattuto la sanguinosa oligarchia dei Trenta, il partito democratico vincitore prestò un giuramento in cui si impegnava a “deporre il risentimento” (me mnesikakein, letteralmente “non ricordare i mali, non aver cattivi ricordi”) nei confronti dei suoi avversari. Così facendo, i democratici riconoscevano che vi era stata una stasis, una guerra civile e che era ora necessario un momento di non-memoria, di “amnistia” per riconciliare la città. Malgrado l’opposizione dei più faziosi, che, come Lisia, esigevano la punizione dei Trenta, il giuramento fu efficace e gli ateniesi non dimenticarono l’accaduto, ma sospesero i loro “cattivi ricordi”, lasciarono cadere il risentimento. Non si trattava tanto, a ben guardare, di memoria e di dimenticanza, quanto di saper distinguere i momenti del loro esercizio.

Rimozioni

Perché oggi in Italia è così difficile parlare di amnistia? Perché la classe politica italiana, a tanti anni di distanza dagli anni di piombo, continua a vivere nel risentimento, a mnesikakein? Che cosa impedisce al paese di liberarsi dai suoi “cattivi ricordi”? Le ragioni di questo disagio sono complesse, ma credo si possa rischiare una risposta.

La classe politica italiana, salvo alcune eccezioni, non ha mai ammesso apertamente che vi sia stata in Italia qualcosa come una guerra civile, né ha concesso che il conflitto degli “anni di piombo” avesse un carattere genuinamente politico. I delitti che sono stati commessi in quegli anni erano quindi e restano reati comuni. Questa tesi, certamente discutibile sul piano storico, sarebbe, tuttavia, pur sempre legittima se non fosse smentita da una contraddizione evidente. Poiché, per reprimere quei reati comuni, quella stessa classe politica ha fatto ricorso a una serie di leggi eccezionali che limitavano gravemente le libertà costituzionali e introducevano nell’ordinamento giuridico principi che erano sempre stati considerati a esso estranei. Quasi tutti coloro che sono stati condannati, sono stati inquisiti e processati in base a quelle leggi speciali. Ma la cosa più incredibile è che quelle leggi sono tuttora in vigore e gettano un’ombra sinistra sulla vita delle nostre istituzioni democratiche. Noi viviamo in un paese che si pretende “normale”, nel quale chiunque ospiti in casa propria un amico senza denunciarne la presenza alla polizia è passibile di gravi sanzioni penali.

Lo stato di eccezione larvato in cui il paese vive da quasi vent’anni (ora 40, ndr) a così profondamente corrotto la coscienza civile degli italiani, che, invece di protestare e resistere, essi preferiscono contare sull’inerzia della polizia e sull’omertà dei vicini. Sia lecito ricordare – senza voler con questo stabilire nient’altro che un’analogia formale – che la Verordnung zum Schutz von Volk und Staat, emanato dal governo nazista il 28 febbraio 1933, che sospendeva gli articoli della costituzione tedesca che concernevano la libertà personale, la libertà di riunione, l’inviolabilità del domicilio e il segreto epistolare e telefonico, restò in vigore fino alla fine del Terzo Reich, cioè per tredici anni; le nostre leggi eccezionali e le disposizioni di polizia con esse connesse hanno largamente superato questo limite.

Risentimento

Non sorprende, allora, che la nostra classe politica non possa pensare l’amnistia, non possa deporre i propri “cattivi ricordi”. Essa è condannata al risentimento, perché in Italia l’eccezione è veramente divenuta la regola e paese “normale” e paese eccezionale, storia passata e realtà presente sono diventati indiscernibili. Di conseguenza, ciò che dovrebbe essere oggetto di memoria e di indagine storica, viene trattato come un problema politico presente (autorizzando il mantenimento delle leggi speciali e della cultura dell’emergenza) e ciò che dovrebbe essere oggetto di una decisione politica (l’amnistia) viene invece trattato come un problema di memoria storica. L’incapacità di pensare che sembra oggi affliggere la classe politica italiana e, con essa, l’intero paese, dipende anche da questa maligna congiunzione di una cattiva dimenticanza e di una cattiva memoria, per cui si cerca di dimenticare quando si dovrebbe ricordare e si è costretti a ricordare quando si dovrebbe saper dimenticare. In ogni caso, amnistia e abrogazione delle leggi speciali sono le due facce di un’unica realtà e non potranno essere pensate se non insieme. Ma per questo sarà necessario che gli italiani riapprendano il buon uso della memoria e dell’oblio.

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L’estradizione di Cesare Battisti. Si prepara una truffa all’italiana?

Dunque, giovedi pomeriggio il giudice della convalida ha tramutato il fermo di Cesare Batisti in custodia preventiva illimitata, sì illimitata. Direte voi, ma che cavolo di reato avrà commesso? Nessuno, il giudice non cita nemmeno l’infrazione amministrativa legata alla somma di denaro in eccedenza e non dichiarata che aveva con sé. Infrazione che comporta al massimo una multa. Le accuse di riciclaggio e detenzione di cocaina evocate in udienza si sono perse per strada.

Il magistrato contesta invece l’intenzione di lasciare il Paese. Battisti non aveva obblighi o vincoli di nessun tipo. Poteva lasciare il Brasile a suo rischio e pericolo quando voleva. Dunque la sua colpa sarebbe stata quella di provare a fuggire dalla libertà…. per giunta con i suoi documenti! Surreale! E’ palese l’intenzione di sequestrarlo in attesa di risolvere il negoziato segreto con l’Italia. E su questo punto stamattina “O Globo” ci racconta i retroscena della losca trattativa: pare che i brasiliani chiedano la commutazione dell’ergastolo a 30 anni. Infatti il loro codice penale non prevede la pena perpetua.

Uno dei principi cardine del diritto estradizionale è quello della “doppia incriminazione”, non si può estradare qualcuno per un reato che non è previsto nel proprio codice interno. La stessa cosa vale per le pene: non si estrada in Paesi che prevedono sanzioni superiori a quelle indicate nel proprio ordinamento. L’ergastolo è una pena capitale, come la pena di morte. Si ritorna, dunque, indietro: ai tempi di Lula il governo italiano, Napolitano in testa, rifiutò di commutare l’ergastolo a 30 anni e Mattarella provò a raccontare la favoletta che in Italia di fatto l’ergastolo non c’era perché l’istituto della liberazione condizionale può mettervi fine. Peccato che non sia automatico ma discrezionale, senza qui affrontare il nodo delle pene ostative.

Il rischio è che questa volta i brasiliani possano accontentarsi di una semplice dichiarazione, di un impegno verbale e non di una commutazione effettiva. Aggiungo che anche se avvenisse, non sarebbe garanzia di nulla. E’ già accaduto che persone estradate con commutazione dell’ergastolo da Paesi che non contemplavano questa pena, una volta giunti nelle carceri italiane si siano visti ripristinare la pena perpetua dalla magistratura che aveva sancito nel frattempo l’illegittimità dell’accordo stipulato dal ministero della giustizia.

L’unica vera garanzia sarebbe una commutazione a 30 anni con decreto del presidente della repubblica. Figuratevi voi Mattarella! Ma l’Italia non vorrà mai creare un precedente che l’obbligherebbe a scarcerare tutti quei prigionieri (tra cui ancora dei detenuti politici) in galera da oltre 30 anni, alcuni prossimi ai 40…. Vedrete che finirà con la solita truffa!

da contropiano

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il link all’articolo di Carmilla intitolato Il caso Battisti: tutti i dubbi sui processi e le condanne esposti punto per punto.