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Lettera al ragazzo che si è ucciso perché denunciato per cannabis

Caro Alberto, scusaci se non siamo riusciti a salvarti da leggi e ipocrisia.
Adesso vogliamo giustizia. Alla fine dell’assemblea che ha riunito metà paese le persone escono che hanno ancora gli occhi rossi per aver versato le ultime lacrime in ricordo di Alberto. Se questa vicenda è un po’ l’esempio di quello che sta provocando in Italia l’intolleranza mista all’autoritarismo, al tempo stesso sempre da questa piccola grande storia, che nasce per la tragica morte di un ragazzo suicidatosi dopo essere stato denunciato per cannabis, possiamo trovare gli elementi e le pratiche per uscire a guardare in avanti rispetto al dibattito sulle droghe. Paradossalmente quella comunità pacificata, chiusa verso il diverso, sulla quale la destra ha costruito la sua egemonia antimoderna fatta di capri espiatori e slogan intolleranti si dimostra solidale, aperta, pronta ad indignarsi ed a mobilitarsi quando l’autoritarismo passa il limite del vivere civile. Un paese che si mobilita per chiedere legalità nei confronti del comportamento delle forze dell’ordine è un paese che dimostra di avere alto il senso della democrazia, e di questi tempi non è da poco. In questa vicenda infatti emerge in maniera chiara come – al di là di quanto possono dire sondaggi e classe politica – il corpo sociale è in grado di padroneggiare discussioni in maniera molto più intelligente di chi li rappresenta, senza cadere in stereotipi o farsi travolgere dalla paura rispetto ai fenomeni complessi. Ma soprattutto, quello che impressiona è come gli interventi che si susseguono, svelino come un ingranaggio mediatico e normativo, possa sconvolgere la vita di un ragazzo normale.Le ipocrisie dettate da una doppia morale vigente in questo paese, di una classe politica che proietta nella società la sua ideologia morale, intollerante nei confronti di chi sgarra, senza confrontarsi mai sul piano della realtà producono uno stigma che marchia a fuoco la pelle. “Smascherato” c’era scritto sul giornale locale, “giovane di buona famiglia”, “insospettabile”, quasi a dare l’impressione che un giovane beccato con un po’ di fumo debba diventare da lì in poi un “deviante fluorescente”. Come ha detto Don Gallo in assemblea: «Quando si inizia a stigmatizzare la sostanza si finisce per stigmatizzare il consumatore, e questo provoca danni enormi». L’arrivismo poi ha condotto un colonnello dei carabinieri in cerca di punti di carriera, a non esitare nemmeno un attimo, convocando una conferenza stampa che ha fatto passare un semplice sequestro di sostanza di un consumatore, per una brillante operazione antidroga. Nello stesso giornale il sequestro di decine di kg di cocaina ha avuto paradossalmente meno spazio che la storia di Alberto.La precarietà invece, mista ad un giornalismo che ha perso ogni funzione critica hanno fatto il resto. Le redazioni sono ridotte e non fanno più inchiesta, non verificano la notizia, – dice in un intervento non facile per il clima in sala il presidente dell’ordine dei giornalisti dell’Emilia Romagna – se poi i giornalisti mettono elementi di critica, sono spesso ricattati dalle condizioni di precarietà che li rendono troppo deboli nei confronti di direttori che non esistano un attimo ad allungare le notizie, semplici fatti di cronaca così si mischiano a pettegolezzi per vendere qualche copia in più. Ma questo clima, fatto da comportamenti che hanno agito come aggravanti, è spinto da leggi assurde e dal dibattito politico. Se la Fini Giovanardi che mette insieme un consumatore con uno spacciatore fa solo pena, altrettanto danno fanno le dichiarazioni di Amato sulla tolleranza zero e degli sceriffi, perché il clima politico le forze dell’ordine lo annusano molto bene e si comportano di conseguenza. E qui mi sento in pieno di condividere ancora una volta quello che ha detto Don Gallo – “scusaci Alberto non per quello che ti hanno fatto, ma per quello che ti abbiamo fatto”. Scusaci, se puoi, di non essere riusciti in un anno e più di governo a buttare giù quella maledetta legge, scusaci se puoi di non essere riusciti a fermare quel vento intollerante che soffia oggi così forte. A nessuno sfugge che ci sia una enorme difficoltà di parlare di questi argomenti nel nostro paese. Lo sanno bene gli amici di Alberto, che guardano avanti e non perdono la speranza e vogliono che il loro blog ( amicidialberto.blogspot.com) divenga un laboratorio in cui si possa discutere in maniera civile di droghe, dal basso. Dobbiamo diventare un battaglione dice uno di loro, perchè da soli non si vince. Allora è anche da questa vicenda che si può pensare di ricostruire quell’intellettualità diffusa che analizzi i fenomeni sociali e riconquisti spazio nel discorso pubblico, uno spazio pubblico che non deleghi alla tecnica, alla scienza, il pallino del piano discorso ma apra il confronto, e ricostruisca attraverso la presa di voce un’idea di società in cui libertà e partecipazione generino tessuto sociale contro ogni intolleranza e demagogia.
Francesco Piobbichi – resp. naz.le Politiche sociali Prc