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Lettera aperta ad Amnesty International delle detenute del carcere Lorusso e Cotugno di Torino: tra Covid-19 e mancanza di misure alternative

Riceviamo e molto volentieri pubblichiamo questa lettera aperta ad Amnesty International da parte delle detenute del carcere Lorusso e Cotugno che stanno vivendo l’ennesima situazione più che difficile tra Covid-19 e mancanza di misure alternative. Le detenute aderiscono anche all’appello in favore di Dana

Buongiorno,

siamo un gruppo di detenute del padiglione femminile del carcere di Torino.

Vi scriviamo per aderire all’appello divulgato da Riccardo Noury, in seguito all’arresto di Dana Lauriola, dovuto al fatto che le sono state negate le misure alternative al carcere, su decisione del Magistrato di Sorveglianza competente. Appello di cui condividiamo tutte le motivazioni. E anche se siamo noi donne a scrivere siamo certe di riportare il pensiero dei nostri compagni nei padiglioni maschili e nelle altre carceri.

Cogliamo questa occasione per stare al fianco di Dana e di coloro che subiscono certe decisioni, ma ci rivolgiamo proprio a Voi, Amnesty, riconoscendo il Vostro valore ed il Vostro interesse verso tutti coloro i cui diritti non sono rispettati.

Vi chiediamo di non rimanere inascoltati e che l’appello scritto per Dana si estenda a tutti noi detenuti perché siamo tutti uguali rispetto al fatto che molti dei nostri diritti (troppi) vengano messi da parte e non valutati.

Per quanto riguarda il sistema penitenziario ci sarebbero moltissimi temi da trattare ma più di tutti, con questo scritto, vorremmo evidenziarne due:

  • Accesso alle misure alternative
  • Il Covid-19 in carcere tra sovraffollamento e colloqui con il distanziamento
  • ACCESSO ALLE MISURE ALTERNATIVE

Nonostante l’esistenza di leggi che propongano un’alternativa alla carcerazione e quindi una risoluzione sia al problema del sovraffollamento, sia a quello del reinserimento sociale, troppo spesso non vengono applicate poiché soggette alla discrezionalità del magistrato competente.

Crediamo fermamente che il diritto ad accedere a tali benefici dipenda tanto dalla volontà del reo, quanto a coloro che fanno parte dell’area trattamentale.

In primo luogo, però, è competenza del magistrato di sorveglianza credere nell’effetto rieducativo della pena, qui a Torino invece, oltre alle mura del carcere, ci scontriamo con il muro della severità di alcuni magistrati.

Questi ultimi, tendono a non applicare le misure alternative sminuendone così l’importanza e sminuendo inoltre i percorsi rieducativi che un detenuto intraprende. Si comportano come pubblici ministeri, hanno un atteggiamento inquisitorio (che non sarebbe previsto dal loro ruolo), comportamento che si evidenzia anche davanti a “sintesi comportamentali lodevoli”, ma non solo, pur avendo diritto e le “carte in regola” si contano più rigetti che accoglimenti delle nostre istanze (vedi il caso di Dana Lauriola a cui se ne aggiungono tantissimi altri, che non hanno fatto scalpore non avendo un “movimento” a loro sostegno).

Tutto ciò è contraddittorio rispetto alla finalità della pena che per la costituzione dovrebbe essere rieducativa e rispettosa dei diritti.

Si produce così un effetto negativo che ci vede impotenti e l’impotenza si sa non ha mai risvolti costruttivi. Ma poi è incoerente questo modus operandi anche nei confronti del diritto in sé e delle leggi esistenti.

L’Italia ha il primato delle pene più severe d’Europa ed è tra i primi paesi in Europa per la percentuale di recidiva, percentuale che però si abbassa notevolmente tra coloro che hanno intrapreso un percorso di reinserimento (già dal carcere).

Nessuno tra i politici, nonostante le pressioni dei costituzionalisti e di alcuni magistrati, si occupa di questo tema, noi non siamo un buon sponsor di propaganda, peccato che siamo anche noi cittadini aventi doveri e aventi diritti come coloro che sono liberi…

Tutto ciò è incivile non solo per noi, ma anche per quella società in cui prima o poi rientreremo.

  • IL COVID-19 IN CARCERE: TRA SOVRAFFOLLAMENTO E COLLOQUI VISIVI RIDOTTI… E DISTANZIATI.

Da quando questa subdola pandemia condiziona la salute, l’economia e la quotidianità di tutti voi là fuori è come se le vostre vite, date le privazioni e il distanziamento, assomigliassero un po’ alle nostre, e questo purtroppo non è bastato per aprire un dibattito serio sul tema delle carceri.

I divieti che si aggiungono a quelli che già viviamo stanno appesantendo moltissimo la nostra detenzione. Le regole di distanziamento per evitare il contagio sono impossibili da rispettare, pur volendo, all’interno del carcere a causa del sovraffollamento, delle celle non a norma, delle docce comuni. Ma anche del fatto che, pur essendo un ambiente “chiuso ed isolato”, questo vale solo per noi detenuti perché in realtà gli operatori entrano ed escono. Eppure, il rigoroso rispetto dei protocolli sanitari viene imposto quando effettuiamo un colloquio con i nostri familiari (che nel decreto di marzo scorso venivano definiti congiunti e gli unici con cui non si doveva/poteva essere distanziati).

Il tutto risulta fortemente incongruente ed incoerente, siamo ammassati tra “estranei” in strutture fatiscenti con scarsa igiene però ci viene vietato di stringerci alle nostre famiglie; coloro che fruiscono dei permessi premio per coltivare gli affetti, al rientro devono stare in quarantena non potendo lavorare (scelgono quindi di rinunciare ai permessi per non rischiare l’occupazione interna).

Chi lavora qui, invece, entra, esce, va in ferie, permesso, etc etc… ma non è sottoposto ad alcun isolamento fiduciario, il Ministero si affida al loro buonsenso…. Assurdo, ingiusto.

Non c’è equità neppure davanti alla salute e all’emergenza.

C’è un semplice calcolo che descrive in modo elementare qual è il nostro diritto all’affettività: 6×12=72 (6 ore al mese di colloquio consentite X 12 mesi = 72 ore l’anno à 3 giorni), questo vale per i detenuti comuni. Chi è al 41bis/AS ne ha ancora meno.

Questi “3 giorni” a cui abbiamo diritto, già in una situazione di normalità sono una violazione del diritto all’affettività e violano la dignità.

La pena è nostra e dei nostri parenti. Durante questo anno sono stati ridotti e durante il lock-down sostituiti da videochiamate di 25 minuti. Quindi abbiamo fatto grandi rinunce che ci hanno reso tutto più difficile e che ci stanno provando nel profondo.

Genitori che non possono abbracciare i minori, obbligati dietro un plexiglass, anziani che venendo qui rischierebbero.

La gestione della prima ondata qui dentro è stata fallimentare, la direzione sanitaria ha avuto un comportamento assurdo che ovviamente è ricaduto solo su noi e su chi cerca di far bene il proprio lavoro qui dentro.

Il Ministero ha applicato misure insignificanti dal punto di vista sanitario, ma improntate solo sul rispetto della “SICUREZZA”. Nulla è stato fatto bene.

Nel resto d’Europa ci sono state misure di clemenza e deflattive, qui in Italia al già alto numero di detenuti, se ne aggiungono altri giorno per giorno.

Nessun organo d’informazione si occupa di noi.

Siamo fantasmi. Per tutti. Eppure, usciremo prima o poi…

Si sta creando una bomba sociale qui dentro. Si respira aria di sofferenza mista a rabbia per l’essere inascoltati. ULTIMI TRA GLI ULTIMI. Cresce la sfiducia verso un Sistema Statale che ci mette nel dimenticatoio.

Siamo come un malato a cui vengono vietate le cure dal proprio medico, in questo caso il Governo e chi lo compone. Veniamo trattati come numeri di matricola, non come persone, così è controproducente sia per noi, sia per lo Stato stesso, che accoglierà gente solo più sfiduciata.

In Italia, dopo le elezioni regionali, nel gioco del “dare e avere” tra partiti di coalizione, sono stati modificati i Decreti Sicurezza, proprio per la loro indegna struttura, scelta coraggiosa da parte del PD perché tutto ciò non si estende ai carcerati. Non ci si rende conto del pericolo o meglio non siamo argomento vincente in propaganda, ma non si dovrebbe essere sempre e solo in campagna elettorale, specie sul tema giustizia.

Dato che sappiamo che solo la nostra voce non farà presa sull’opinione pubblica e sui “potenti”, ci rivolgiamo a voi. Speranzose di non rimanere inascoltate ma di essere sostenute nella nostra pacifica richiesta di attenzione.

Scontare la pena così rende “doppia” la reclusione già solo per questo.

Richiediamo al Governo di prendere in esame di nuovo misure meno afflittive (indulto, libertà anticipata di 75 gg, misure alternative), non come un regalo di clemenza, ma come un diritto acquisito.

Se si pensa alle rivolte dello scorso marzo, in cui 12 compagni detenuti sono morti, i promotori del “buttiamo via le chiavi” li hanno dipinti come “fuori controllo”, “incivili”, ma si sarebbe dovuto pensare al disagio che li ha portati a morire così.

Troppo spesso si hanno due pesi e due misure, in tutto questo non c’è una forma di giustizia che sia “giusta”.

Per favore riportate a chi di dovere le nostre richieste.

Vi ringraziamo per l’attenzione.

In attesa di un positivo riscontro Vi salutiamo.

#CERCAVI GIUSTIZIA TROVASTI LA “LEGGE”

Alleghiamo Firme 3^ Sezione Femminile

MARINA ADANZA

VALENTINA FABRIS

YELENIA REGGIANI

TERESINA LEUZZI

SARA LUSCI

STEFANIA CALABRIA

YUDERCKI MONTERO

DANA LAURIOLA

REGINA HOPIC

ROSA CATANIA

HINDIA SMERYEL

DEXDEMONE DERVISHI

ASSUNTA CASELLA

SHOLAKE SHOLAPO

SARAH CHABANE

ROSALIA FALLETTA

LETHIRAPATHY BAVANI

PAOLA MAZZONI

TERESA CRIVELLARI

da notav.info