Licata 5 luglio 1960 – Sciopero generale contro la miseria. La polizia spara: 1 morto e 25 feriti
- luglio 05, 2024
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Il primo morto delle giornate di luglio ’60 è a Licata. Nella cittadina siciliana è stato proclamato lo sciopero generale: l’acqua che manca da un mese è soltanto una delle ragioni dello sciopero organizzato dal sindacato, con la giunta municipale in prima fila, i negozi e gli uffici pubblici tutti chiusi. Le altre erano la Centrale termoelettrica, promessa ma data a Porto Empedocle dai politici agrigentini; la crisi della miniera di Passarello (che sarà chiusa l’anno dopo) e la chiusura del Deposito Locomotive della stazione ferroviaria.
Gli scontri alla stazione
Ed è proprio alla stazione che la protesta di un’intera città degenera e assume le forme della rivolta e poi quelle della guerriglia urbana. Una rabbiosa sassaiola investe le forze dell’ordine; e nella piazzetta della stazione viene incendiata una Lancia Ardea. Un popolo contro lo Stato e contro chi in quel momento lo rappresenta. Uno Stato ritenuto responsabile della miseria e dei torti patiti lungo gli anni. L’acqua e il lavoro che mancavano, l’emigrazione forzata, il fatto che per molti “nun cc’era pani ni li furna”, erano parte di questi torti. C’erano poi le malattie sociali – la tisi, il tracoma – ancora non del tutto debellate. C’era la miseria. C’erano molte strade e interi quartieri senz’asfalto. Molte case prive di servizi igienici e pavimenti. Che resero necessaria la Legge Speciale del 1963 per Licata e Palma di Montechiaro.
La polizia risponde con estrema durezza.. Rimane ucciso Vincenzo Napoli, 24 anni, un giovane piccolo esercente, mentre cercava di difendere un bambino tenuto fermo ad un muro e picchiato dai celerini. Ventiquattro manifestanti, di cui cinque in gravi condizioni, sono rimasti feriti: Certo, il clima politico generale è quello che è, con la mobilitazione antifascista che ha imposto che non si svolgesse il congresso del Msi in programma a Genova e il governo Tambroni sull’orlo della crisi. Ma a Licata succede quello che è successo in decine di città e di paesi italiani nel dopoguerra, incendiati dalla miscela esplosiva tra rabbia popolare e brutalità poliziesca.
(da Ugo Maria Tassinari)