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L’incertezza dello Stato italiano nel caso Regeni

Contro l’Egitto avrebbe dovuto ricorrere alle convenzioni internazionali, ma ha mantenuto una dimensione di basso profilo.

di Enrico Zucca

L’attuale normativa consente il processo all’imputato assente, ma con garanzie ritenute insufficienti in ambito internazionale e in distonia addirittura con gli standard europei. Non è un caso, dunque, che su questo punto critico sia intervenuta anche la riforma Cartabia. Già del tutto inevitabile, tuttavia, la decisione della Corte d’Assise di Roma, che ha annullato l’instaurazione del giudizio nei confronti di appartenenti ai servizi di sicurezza egiziani, imputati del sequestro, della tortura e dell’assassinio del nostro Giulio Regeni, perché non adeguatamente citati, a causa del muro opposto dall’Egitto. Invano s’era gettato il cuore oltre l’ostacolo, con una diversa ma fragile interpretazione delle norme che presiedono all’instaurazione del contraddittorio, in un processo il cui destino è già comunque segnato dall’improbabile esecuzione di eventuali condanne.

Ancora una volta si è chiesto alla sola magistratura totale supplenza, con le altre istituzioni incapaci di assumere chiare iniziative, a far da spettatori, in attesa, secondo la consueta formula liberatoria, che la giustizia faccia il suo corso. Appare surreale la costituzione in giudizio del governo italiano, nelle cui mani stanno proprio le redini dei rapporti con lo Stato che nega il processo. Grazie alle indagini condotte con determinazione dalla Procura di Roma si sa quel che basta per ritenere che la tortura e l’omicidio di Giulio siano riconducibili all’operato di agenzie statali egiziane, per quanto incerti siano il coinvolgimento della stessa sfera governativa ovvero la mera azione deviante di alcuni.

Questa situazione dai chiari risvolti internazionali -si tratta infatti di violazione eclatante della convenzione Onu contro la tortura cui l’Egitto aderisce, e che impone di consegnare i responsabili o processarli e punirli- è stata mantenuta in una dimensione esclusivamente domestica di basso profilo. Il punto è che quando uno Stato esercita la giurisdizione nei confronti di stranieri per fatti al di fuori del proprio territorio è il rapporto fra i rispettivi Stati a determinare il risultato. Sono le convenzioni ad agevolare questo rapporto e occorre invocarne adempimento in caso di violazione. V’è spazio, si è argomentato, per formalizzare il conflitto anche sul piano del diritto internazionale, ricorrendo a organi terzi o all’intera comunità internazionale. Lo Stato egiziano, pur sollecitato e coinvolto nelle indagini, ha coperto i suoi torturatori, dopo la disponibilità di facciata e, ovviamente, già rinunciando a seri accertamenti in casa propria.

Agli investigatori di Scotland Yard non è andata meglio con la Federazione Russa per l’indagine nel caso di Alexander Litvinenko, avvelenato con polonio a Londra nel 2006 da due ex agenti dei servizi russi. Niente di nuovo sotto il sole.

4: sono gli agenti egiziani imputati nel processo per l’omicidio di Giulio Regeni.

Le autorità della Federazione hanno reagito negando e ritorcendo le accuse, elevate nei confronti dei suoi cittadini, rifiutandone l’estradizione nel Regno Unito. Nessun processo penale si è aperto, ma gli inglesi hanno ripiegato su una commissione di inchiesta, alzando il tiro anche sul Cremlino. Finalmente il caso è approdato alla Corte di Strasburgo, che pochi mesi fa ha riconosciuto la piena responsabilità della Federazione Russa. Qui perseguire lo Stato per la violazione convenzionale è più agevole in quanto la Cedu ha un’apposita Corte cui possono rivolgersi anche i cittadini, come ha fatto la vedova Litvinenko. Ma far valere tutte le convenzioni internazionali, con ogni mezzo disponibile, è imperativo: se non rende giustizia con sanzioni individuali, impedisce agli Stati di nascondere il lato oscuro, contando sulla ipocrisia, l’ignoranza o la indifferenza degli altri. Quei crimini, infatti, servono da monito ai cittadini nei propri confini, come le vittime ordinarie nell’Egitto di Al Sisi, che hanno bisogno più che mai della fermezza nel caso Regeni.

da altreconomia